80.000 le Mutilazioni genitali femminili in Italia

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80.000 le Mutilazioni genitali femminili in Italia

Attualmente nel mondo sono più di 230 milioni le donne e ragazze ad essere state sottoposte alla mutilazione genitale femminile.

80.000.

In Italia sono circa 80.000 le donne che hanno subito mutilazioni genitali femminili, tra queste all’incirca 7.000 sono ragazze minorenni. A dirlo è uno studio elaborato da ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità, dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, e della Croce Rossa Italiana.

Per mutilazione genitale femminile, o MGF, si intende quando i genitali esterni di una ragazza vengono parzialmente o totalmente rimossi per motivi non medici. Una pratica tribale e ancestrale che risale a circa 2.500 anni fa e che ancora oggi viene praticata per marcare il passaggio dall’età infantile all’età adulta, nonostante in nessun testo sacro venga indicata come necessaria.

Le mutilazioni genitali sono infatti praticate soprattutto per motivi culturali e sociali, ed eseguite da pochi giorni dopo la nascita fino all’età dell’adolescenza. Le ragioni che spingono le famiglie a sottoporre le bambine a questo tremendo “rito di passaggio” sono legate alla falsa credenza che la procedura apporti benefici igienici ed estetici, promuova la fertilità delle ragazze e preservi la loro reputazione. Sottoponendosi all’operazione inoltre si dimostra alla comunità di avere abbastanza forza e coraggio da poter trovare marito (addirittura viene chiesto alle bambine di non piangere durante la pratica), riferisce l’Organizzazione mondiale della sanità.

Tale forma di violenza (mi consentirete di usare questa definizione) è spesso giustificata dalla convinzione che essa determini un “comportamento sessuale corretto”, in quanto si pensa che riduca il desiderio sessuale di una donna prevenendo così rapporti prematrimoniali.

Ovviamente queste sono tutte credenze senza alcun fondamento, e a pagare il prezzo dell’ignoranza sono, ancora una volta, le donne. Attualmente, nel mondo, più di 230 milioni di ragazze e donne sono state sottoposte alla mutilazione genitale; e se non si interviene ora, entro il 2030 si stima che 27 milioni di ragazze in più potrebbero subire questa violazione dei loro diritti e della loro dignità.

Nel frattempo però si sta assistendo a progressi in paesi come il Kenya e l’Uganda, dove l’azione collaborativa e le iniziative guidate dalla comunità locale stanno dimostrando che, rafforzando le alleanze e costruendo movimenti per i diritti alle donne, ci si può avviare verso un cambiamento.

Le mutilazioni genitali sono state documentate in 92 paesi in tutto il mondo, in particolare in Africa (ad esempio in Egitto, Etiopia o Nigeria), in Medio Oriente (Yemen, Iraq) e Asia (Indonesia), dove le mutilazioni genitali femminili sono ancora una pratica consolidata, radicata nei costumi tradizionali; ciò non significa però che in Europa e in Italia le ragazze e le bambine non siano a rischio.

La mutilazione genitale femminile in Italia

Prima di tutto è necessario dire che i dati a nostra disposizione sono approssimativi. Le mutilazioni genitali femminili sono attualmente un fenomeno sommerso, nascosto, e per questo talvolta è difficile inquadrarlo nella sua interezza. Per delineare politiche efficaci e fare in modo che esse vengano gestite correttamente dagli apparati sanitari e sociali sarebbe essenziale riportare in superficie questo fenomeno.

«La pratica delle MGF in Italia è una questione abbastanza recente, legata all’afflusso di migranti provenienti dall’Africa settentrionale e subsahariana che l’Italia ha sperimentato negli ultimi 20 anni» si legge nell’abstract del report citato all’inizio. «Il numero di donne sottoposte a MGF in Italia è ancora incerto. Tuttavia, stime basate sia su metodi diretti che indiretti riportano circa 60-80.000 donne e 7.000 minori colpite». Per contrastare le mutilazioni genitali femminili il nostro Paese ha sottoscritto la Risoluzione per la messa al bando universale delle MGF adottata dall’Assemblea della Nazioni Unite nel 2012 e la ratifica di numerose convenzioni internazionali ed europee, ha inoltre emanato una legge specifica (Legge 9 Gennaio 2006, n. 7 Prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di MGF quali violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine) – che include la reclusione per coloro che praticano mutilazioni e il divieto temporaneo di esercitare la professione medica nel caso dei medici coinvolti in tale pratica.

Dati molto simili a quelli del report citato in precedenza provenivano da un’altra indagine, condotta dall’Università Bicocca di Milano nel 2019, che stimava che in Italia nel 2019 fossero circa 87.600 le donne, tra i 15 e i 49 anni, a essere state sottoposte a MGF.

Mentre una ricerca del 2018 dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere sulle mutilazioni genitali femminili nell’Unione europea, indicava che in Italia erano a rischio dal 15 al 24 % delle ragazze su una popolazione totale di 76.040 bambine e ragazze minorenni provenienti da Paesi in cui era in uso la mutilazione genitale femminile.

In questo caso si noterà che, per questi ultimi due casi, non si tratta di ricerche troppo recenti, i numeri comunque appaiono alti e coincidenti, per questo è necessario continuare a denunciare le mutilazioni genitali femminili, promuovendo gli studi inerenti e rendendo tale argomento più presente nel dibattito giornalistico, mass mediatico ed educativo.

Le mutilazioni genitali femminili: conseguenze e rischi

Le mutilazioni genitali femminili sono una violazione dei diritti umani che infligge cicatrici fisiche, emotive e psicologiche profonde e permanenti alle ragazze e alle donne.

Di mutilazioni genitali ne esistono diversi tipi, tra cui: la clitoridectomia, ovvero la rimozione di parte o di tutto il clitoride, l’escissione e l’infibulazione. Quest’ultima è la forma più grave di MGF, in questo caso infatti i genitali della ragazza vengono cuciti. Se la donna rimane incinta, le parti intime verranno scucite per il parto per poi essere ricucite di nuovo. Per permettere alla bambina/ragazza di andare al bagno e avere il ciclo le verrà inserito un minuscolo pezzo di legno o di canna, lasciando così una piccola apertura.

Una pratica violenta, una forma di tortura, che riflette una disuguaglianza profondamente radicata tra i sessi e costituisce una forma estrema di discriminazione nei confronti delle ragazze e delle donne; pesantissime sono le ripercussioni, sia psicologiche che fisiche.

Tra le conseguenze psicologiche, l’Organizzazione mondiale della sanità, ha riscontrato che dopo la mutilazione genitale la ragazza presenta: disturbi psicosomatici e mentali, stati d’ansia, depressione, nevrosi, attacchi di panico, sindrome post traumatica e bassa autostima.

Mentre tra le conseguenze fisiche si annoverano: danni immediati e a volte fatali, tra cui: emorragia, shock, infezioni, tetano, lesioni alle articolazioni e arti superiori e inferiori procurate nel tentativo di immobilizzare le bambine e le ragazze durante l’intervento. A questi si aggiungo danni sul lungo termine: infezioni gravi, fistole, ascessi, cisti, cheloidi, ritenzione, incontinenza urinaria, dismenorrea, dolore alla minzione, rischio di aids ed epatite B e C. In alcuni casi la procedura si conclude con la morte della donna.

Sono comuni anche le disfunzioni sessuali e difficoltà nei rapporti sessuali e quando, nonostante questa difficoltà, la donna rimane incinta risulta maggiormente a rischio di complicanze durante il parto.


Photo credit: Edith Hulcoop via Unsplash