Ucraina, mille giorni di guerra e arriva l’attacco russo più violento

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Ucraina, mille giorni di guerra e arriva l’attacco russo più violento


Quello del 17 Novembre è stato definito il più vasto attacco aereo del Cremlino degli ultimi mesi contro il territorio ucraino. La Polonia ha fatto decollare i propri jet da combattimento lungo il confine, mobilitando tutte le forze disponibili.

Mille giorni di guerra, quasi tre anni.

L’Europarlamento ha messo in calendario una riunione straordinaria il 19 novembre per celebrare il coraggio del popolo ucraino e per testimoniare come l’Europa resti al fianco di Kiev. Alle belle cerimonie, però, fanno da contraltare piogge di missili e droni, che mai come negli ultimi giorni si stanno riversando dai cieli dell’Ucraina.

Dopo oltre settanta giorni, la capitala Kiev è tornata sotto attacco. Gli ultimi attacchi combinati della Russia hanno sollevato macerie e seminato morte a Sumy, Dnripro, Mykolaiv, persino Odessa.

Quello del 17 Novembre è stato definito il più vasto attacco aereo del Cremlino degli ultimi mesi contro il territorio ucraino, coinvolgendo almeno 120 missili, anche balistici e ipersonici e 90 droni. Le autorità di Kiev hanno fatto sapere di essere riuscite ad intercettarne 140, ma il raid è stato talmente imponente da far scattare l’allarme in Europa.

La Polonia fa decollare i jet da combattimento 

La Polonia ha fatto decollare i propri jet da combattimento lungo il confine, mobilitando tutte le forze disponibili. Il premier polacco Donald Tusk non ha usato troppi giri di parole: «Nessuno fermerà Putin con una telefonata. Il raid di Domenica ha dimostrato che la diplomazia delle telefonate non può sostituire il sostegno reale dell’intero Occidente all’Ucraina». Riferendosi alla telefonata di venerdì 15 novembre del Cancelliere tedesco Olaf Scholz al leader russo. Un po’ come già accaduto questa estate, quando subito dopo il viaggio di appeacement di Orbàn a Mosca, Putin rispose bombardando i bambini malati di cancro nel più grande ospedale oncologico della capitale.

“È questo il destino comune a tutti i pacifinti, mossi più dalla vanità, dal dogmatismo e dalla convenienza personale che dallo spirito umanitario. Diventano facili prede della propaganda dell’aggressore e creano soltanto ulteriori danni”. Scrissi in merito all’epoca. E adesso quella mia riflessione torna ancora d’attualità.

«Putin non vuole la pace e non è pronto a negoziarla», ha sentenziato Macron. In generale, negli ultimi mesi gli attacchi dei droni russi sono enormemente aumentati. A ottobre i droni lanciati dalla Russia sono stati oltre 2.000, contro i 1.400 a settembre e 800 ad agosto, mentre nei tre mesi compresi tra maggio, giugno e luglio erano stati in tutto 1.100. Una escalation massiccia che mette sempre più sotto pressione le difese ucraine, anche perché i russi hanno anche cominciato a lanciare finti droni senza esplosivo, per costringere gli ucraini a sprecare le munizioni.

Gli attacchi incessanti hanno spesso per oggetto infrastrutture militari ed energetiche, con l’effetto di demoralizzare la popolazione, costretta ancora dopo tre anni, a guardare continuamente le app che segnalano gli allarmi antiaerei.

Truppe nordcoreane

Nel frattempo, sul fronte gli ucraini arretrano ormai da tempo su tutta la linea e, adesso, nella regione russa occupata del Kursk, si ritrovano a fronteggiare anche le truppe nordcoreane, spedite dal dittatore Kim Jong-un.

A giugno, quella di Putin al leader nordcoreano fu la prima visita di Stato nel Paese in ventiquattro anni e, in quell’occasione, fra brindisi e spettacoli di danza, i due siglarono un patto di reciproca difesa.

Nel frattempo, a Bruxelles il neo-Segretario della NATO ha incontrato Blinken, Segretario di Stato uscente degli Stati Uniti, il quale ha ribadito come il Presidente Biden si impegnerà in tutti i modi per consegnare i pacchetti di aiuti militari già approvati, prima della fine del suo mandato.

Il sì di Biden all’uso di missili in Russia, nella regione di Kursk

La novità è stata rilanciata dall’agenzia di stampa Axios nelle ultime ore: Biden ha autorizzato l’Ucraina a utilizzare missili a lungo raggio per colpire le forze russe e nordcoreana nella sole regione di Kursk. Una decisione che va a tratteggiare un ulteriore attestato a sostegno di Zelensky. Non ci è dato sapere se questa decisione fosse stata comunicata dal Presidente in carica al Presidente designato Donald Trump nel corso del loro colloquio di transizione, andato in scena la settimana scorsa.

Il G20 a Rio

Di certo c’è che i nuovi risvolti dello scenario ucraino saranno al centro del dibattito del G20 in corso a Rio de Janeiro, creando non poche spaccature, fughe in avanti e dando non pochi grattacapi ai funzionari che dovranno stilarne la dichiarazione finale.

Nel frattempo, c’è una Ucraina stanca.

Mille giorni infiniti per chi combatte in trincea, ma anche per chi assiste l’esercito dalle retrovie. Mentre i russi avanzano a un ritmo mai visto prima, al fronte, dal lato ucraino, mancano le armi e le munizioni, come sempre, ma soprattutto i ricambi, con soldati costretti a tenere le posizioni ad oltranza. Non ci sono più uomini, nonostante la nuova legge sulla mobilitazione. Quasi mille giorni di guerra hanno stancato anche la società ucraina, costretta a subire blackout continui, e che peggiorano di anno in anno, a far studiare i bambini e i ragazzi on-line o in strutture sotterranee. Secondo gli ultimi sondaggi, di Urainska Pravda, il 32% degli ucraini sarebbe pronto al compromesso territoriale pur di avere la pace subito. Il Presidente Zelensky che conosce il sentimento della propria popolazioneha recentemente dichiarato non a caso: «Entro il 2025 la guerra va fermata con mezzi diplomatici».

Fermare la guerra oggi significa rinuncia ai confini del ‘91 e concessioni pesanti: oltre il 20% di territorio e rinuncia all’ingresso della Nato.

Perché la pace, come la storia, è scritta dai vincitori, che al momento sono i russi. Per questo Zelensky continua a ripetere, al tempo stesso, che le consegne delle armi sono decisive, perché avvicinano la fine giusta della guerra. Una teoria che l’arrivo di Trump alla Casa Bianca mette sempre più in discussione, a meno che l’Europa, oltre alle riunioni e alle cerimonie, non decida di sostituire gli Stati Uniti come fornitore principale di armamenti a Kiev.

Il 2025 è alle porte.

E bisognerà vivere il nuovo anno dimostrando di sapere cosa vuol dire proteggere la spinta verso un negoziato che, però, non può essere un negoziato disarmato. In fondo, negli ultimi giorni, Putin non ha aspettato, bombardando più che mai. Tutelando l’Ucraina si tutela l’idea di fondo per cui nessun Paese libero può essere aggredito da nessun altro e che i Paesi liberi quando vengono aggrediti trovano solidarietà nel mondo. È la solidarietà della democrazia che fa la libertà.

Alla faccia di chi, mille giorni fa, all’inizio dell’invasione dava per certa la fake-news della fuga di Zelensky dall’Ucraina o di chi mille giorni dopo ha dato per certa la fake-news che l’Ucraina stesse sviluppando un’arma nucleare.

Malafede, spacciata per pacifismo.

Ogni segnale di distensione non coordinato non significa fare un favore alle ragioni della pace, ma alimentare una guerra che è la ragione costitutiva del potere oligarchico di Putin. Non abbiamo bisogno di appeasement, ma di pace. Non abbiamo bisogno di pacifisti, ma di costruttori di pace.