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A sorpresa il verdetto della Cassazione. La palla passa adesso alla Corte Costituzionale la quale, entro il 20 gennaio, dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità dei quesiti referendari.
Il verdetto della Corte di Cassazione di venerdì 12 dicembre è di quelli che spiazzano le forze politiche e sorprendono la stessa Corte Costituzionale. Via libera al referendum relativo all’intera legge sull’Autonomia Differenziata promosso dalle opposizioni e dalla Cgil. Niente da fare invece per quello che ne prevedeva l’abrogazione parziale. Un via libera quello dell’Ufficio centrale della Suprema Corte esteso anche agli altri quesiti in esame, riguardanti il Jobs Act, la riforma del lavoro varata alla fine del 2014 e le norme sul dimezzamento da dieci anni a cinque dei tempi di residenza legale nel nostro Paese, come requisito per la concessione della cittadinanza italiana. La Cassazione spalanca, quindi, le porte di una potenziale e massiccia stagione referendaria.
La palla passa adesso alla Corte Costituzionale, la quale entro il 20 Gennaio, dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità dei quesiti referendari. I referendum, se ammessi, dovranno tenersi in tarda primavera. La questione politicamente più scottante resta ovviamente l’autonomia delle Regioni, bandiera della Lega, su cui, appena un mese fa, il 14 novembre, proprio la Consulta aveva picchiato duro, dichiarando illegittimi sette punti della legge, fissando paletti sulle funzioni e sul ruolo del Governo nelle negoziazioni, rimandando il lavoro al Parlamento.
A sentire le dichiarazioni di un mese fa, una legge completamente demolita e da rivedere, pur nella sua legittimità costituzionale e pertanto pareva ormai improbabile l’orizzonte del referendum per abrogarla. Si comprende pertanto come nelle valutazioni di molti tecnici domini non solo la sorpresa, ma anche l’allusione a una sgrammaticatura istituzionale, una collisione fra le due corti, tanto più che i giudici costituzionali si erano spesi in oltre cento pagine di dettaglio, riducendo la riforma firmata dal Ministro Calderoli a un totem dal solo significato simbolico. Un totem che, invece, la Cassazione promuovendo il referendum abrogativo del provvedimento nella sua interezza rivitalizza e lascia in piedi.
Al di là di cosa deciderà la Corte Costituzionale a gennaio, la maggioranza di Governo si ritrova adesso di fronte a un bivio: percorrere la strada delle modifiche in Parlamento seguendo le indicazioni della sentenza del 14 novembre, così da evitare il referendum, o sfidare le opposizioni a raggiungere il quorum?
Va ricordato a tal proposito, infatti, che l’autonomia differenziata non è una riforma costituzionale, pertanto non sarà interessata da un referendum confermativo, valido a prescindere dall’affluenza alle urne. Occorre la metà più uno degli aventi diritto, che di questi tempi, non è cosa da poco. L’orizzonte temporale, indicativamente, maggio, giugno lascia ancora spazi di manovra alle compagini politiche, in quanto anche in presenza del referendum, il Parlamento può modificare il contenuto della legge, sino all’ultimo momento.
Di sicuro, i consiglieri e i vecchi lupi dei partiti di maggioranza stanno già valutando tutti i possibili scenari. È evidente che un referendum che raggiunge il quorum e che affossa la legge, sarebbe una sconfitta amara, da non ridimensionare per il Governo. La partita ne incrocia però anche un’altra: quella per l’elezione dei quattro giudici costituzionali di pertinenza parlamentare di cui alcuni mancano ormai da un anno e se ne rinvia l’elezione da mesi, di seduta in seduta. Le logiche di spartizione fra i partiti di maggioranza e opposizione in questo senso collidono con il galateo istituzionale e con i richiami del Quirinale, che quanto prima auspica il ritorno a un ripristino dell’architettura costituzionale.
Sino ad allora, la pronuncia sull’ammissibilità dei referendum, potrebbe a questo punto essere presa a undici giudici su quindici previsti, il minimo di legge, il numero più basso dell’intera storia repubblicana.