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15 secondi per incontrarsi

di IssyLes
Psicologa e autrice di pubblicazioni scientifiche su tematiche relative alla psicologia delle emozioni e della salute.

Sono 15 i secondi per raccontarsi su Instagram, 15 secondi è la durata massima di una story.

Per gli adolescenti questo è un gesto quotidiano, un gesto da compiere in multitasking, bevendo una bibita o sorseggiando un caffè.

La velocità sembra essere cruciale nel tracciare i confini della narrazione sui social network. Soli in casa in un pomeriggio di pioggia o nella metro di una grande città, gli adolescenti possono scorrere il dito sul  loro fedele smartphone e consumare immagini, scoprire scenari, personaggi noti o sconosciuti nei quali rispecchiarsi, confondersi o identificarsi.

E quale ragazza o ragazzo potrebbe mai resistere alla tentazione di appropriarsi dei propri 15 secondi per raggiungere l’altro nello spazio virtuale del web?

I dati raccolti nel 2019 dall’Osservatorio nazionale sull’adolescenza su 3.900 ragazzi tra 11 e 13 anni e 9.000 adolescenti tra 14 e 18 anni, indicano che, in poco più del 40% dei casi, il tempo medio di utilizzo dello smartphone passa, con il crescere dell’età, da due a sei ore al giorno. Questi dati sono evidentemente lo specchio di un bisogno di rimanere connessi, di incontrarsi e di curiosare nella complessità del mondo esterno desiderato e a volte anche temuto. Reale o commercialmente indotto che sia, questo bisogno non può essere ignorato e nemmeno etichettato come semplice atteggiamento di frivolo intrattenimento. Questo bisogno, abilmente intercettato dai social network, prende così la forma di una narrazione strutturalmente influenzata dalla natura del device e delle app utilizzati. Brevi commenti testuali, spesso contenenti neologismi, accompagnano il susseguirsi mutevole di immagini preventivamente contraffatte da effetti, contrasti cromatici e dissolvenze, narrazioni che rappresentano desideri, identità immaginate, futuri fantasticati.

E nel presente mutevole delle comunità attuali globalizzate, diventa sempre più arduo per i giovani immaginarsi un futuro. Si rafforza così il bisogno di raccontare per lasciare una traccia di sé, per costruire mappe identitarie non più legate ad un territorio ma sempre più globali, fluide, mutevoli che possano viaggiare velocemente, raggiungere i propri contatti, gli “amici” di Facebook, i followers di Instagram o gli iscritti al canale YouTube. La propria narrazione del mondo, il proprio punto di vista, poiché pubblicati, divengono pubblici.

Oggi più che mai l’identità di ciascuno, giovani compresi, è frutto di un intreccio culturale e la multimedialità diventa uno strumento perfetto per rappresentare i livelli di questo intreccio.

Ecco che i social network diventano luogo di migrazioni, trasferimenti, passaggi, attraversamenti di confini e di territori non più compiuti a piedi ma tra le maglie infinite del web quasi scavalcando la propria corporeità, dalla quale tutto ha origine, come esseri alati, veloci, immateriali.

L’auspicio che si può affidare a questo nuovo modo di raccontare il mondo è che esso, cavalcando e scavalcando le mire economiche e commerciali dei social network, possa aiutare i giovani a rappresentare futuri scenari di scambio culturale affinché pubblicare un contenuto, una storia, un post, un video, diventi un gesto capace di creare nuove geografie, nuovi ponti, reali e non solo virtuali.

L’immagine in copertina di Iris Semprevivo è protetta da copyright.