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di Licia Califano
Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università degli studi di Urbino e componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali dal 2012 al luglio 2020.
Campagne elettorali con monitoraggio di gusti e bisogni degli elettori, da Obama a Trudeau ne sono state fatte oramai diverse. E ora che siamo nel pieno di una delle campagne elettorali più importanti, quella che porterà all’elezione del Presidente degli Stati Uniti, come si stanno affinando queste tecniche di profilazione dell’elettore? E soprattutto come i Big data stanno cambiando il rapporto tra democrazia, rappresentanza e società?
L’utilità della profilazione elettorale consiste principalmente nella ottimizzazione dell’invio di messaggi elettorali, basati sulla previsione di comportamento ed opinione degli individui, studiandone le abitudini e le “impronte digitali” lasciate sul web. Trattandosi a tutti gli effetti di una profilazione (viene anche usato il termine tecnico di micro-targeting), questo tipo di trattamento genera dei problemi dal punto di vista della privacy, a maggior ragione perché parliamo di dati idonei a rivelare potenzialmente opinioni e orientamenti politici e, dunque, dati che necessitano di una particolare tutela.
Le principali problematicità, analogamente a quanto visto per la profilazione commerciale, sono connesse all’opacità o assenza totale delle informazioni sul trattamento, al mancato rispetto del principio di legalità, all’assenza di una base legale, dal momento che nella maggior parte dei casi tali dati sono raccolti in origine per finalità del tutto diverse da quelle di marketing elettorale.
Ma le criticità non si fermano alla privacy; la profilazione elettorale genera una serie di problemi che purtroppo non si limitano solo alla protezione dei dati personali. Potremmo dire, semplificando, che la tutela dei dati è funzionale alla tutela di altre libertà costituzionali e dello stesso sistema democratico.
L’elettore è sempre più assimilato a un consumatore e in questo schema il primo rischio che intravedo è, anche qui, quello della massificazione delle opinioni, a tutto detrimento del pluralismo informativo e politico.
In secondo luogo, si innesta un silenzioso meccanismo di svuotamento e, dunque, delegittimazione degli eletti e con essi dei partiti politici. Questi ultimi originariamente svolgevano in via esclusiva il ruolo di intermediazione tra classe politica e società, tra eletti e cittadini. Una intermediazione ormai non più necessaria perché la “lettura” dei bisogni dei cittadini è affidata ad algoritmi e a tecniche di elaborazione e di calcolo, il più delle volte nell’ottica funzionale ai leader di ciascun partito. Nell’era dei big data, dunque, i partiti politici hanno man mano perso il ruolo originario e sfruttano le informazioni nella convinzione di vincere le campagne elettorali, senza però rendersi conto che in questo modo in realtà non fanno altro che indebolire progressivamente loro stessi.
È la democrazia “ibrida” di cui parla Ilvo Diamanti, dove vi è ormai un elevato grado di “disintermediazione”.
Non vorrei essere fraintesa: l’utilizzo dei mezzi di comunicazione nell’era digitale non è un male in sé. Al contrario, essi potrebbero rappresentare una risorsa per la democrazia rappresentativa, purché ci si limiti a concepire la rete e i social network in maniera strumentale e non finalistica, preservando il ruolo fondamentale di intermediazione democratica offerta dai partiti e dagli altri soggetti intermedi quali sindacati e associazioni.
Nella profilazione come elettori, per quali fini e in che modo i partiti politici possono usare i dati relativi ai cittadini, senza sconfinare in violazioni?
Da anni il Garante ha cercato di fornire le corrette indicazioni ai partiti in tal senso. Il caso “Cambridge Analytica” ha certamente rappresentato un terribile spartiacque in tal senso, dal momento che ha rivelato un sistema molto complesso e strutturato finalizzato alla profilazione elettorale. Vorrei a tal proposito ricordare che il Garante italiano ha applicato a Facebook una sanzione di 1 milione di euro per gli illeciti compiuti nell’ambito del caso “Cambridge Analytica”. La sanzione, sebbene comminata all’epoca ancora sulla base del vecchio Codice Privacy, ha fatto seguito al provvedimento del Garante del gennaio 2019 con il quale l’Autorità aveva vietato a Facebook di continuare a trattare i dati degli utenti italiani coinvolti in quella vicenda.
Inoltre, proprio per adeguarsi alle nuove sfide che provengono in particolare dai social network, il Garante ha, da ultimo modificato e ri-approvato il provvedimento sul trattamento dati da parte dei partiti politici e nel corso delle campagne elettorale nell’aprile 2019, in occasione delle ultime elezioni europee (doc. web 9105201). Nel provvedimento si trovano anche indicazioni importanti relative alla profilazione su larga scala e all’invio di messaggi mirati sui social network (cd. micro-targeting). In questi casi, contrariamente a quanto si pensa, i dati personali non sono liberamente utilizzabili ma possono essere trattati solo se si verifica una delle condizioni di liceità previste dal Regolamento europeo 679/2016.
L’immagine in copertina di Iris Semprevivo è protetta da copyright.