Colpa del medico, e poi?
17 Dicembre 2020I nuovi poveri
23 Dicembre 2020La bella di giorno, la periferia cosmopolita spiata dalle fessure
La Bolognina, il quartiere bolognese che si rinnova con la logica dell’innesto
L’abbiamo scelta come periferia di una città metropolitana italiana, come quartiere che parla di come siamo, di un presente molto diverso dai secoli cristallizzati nei centri storici. È la Bolognina, da noi ribattezzata la Bella di giorno, perché si mostra bizzarra, volubile, ma sempre senza veli.
L’inchiesta l’abbiamo svolta in semilockdown, il 13 ottobre, per vedere i luoghi sotto la lente della doppia difficoltà, quella ordinaria e quella straordinaria. Siamo partiti, è da confessare, per vedere i luoghi dello spaccio, come si osservano le scimmie ammaestrate ma imprevedibili, alla fine ci siamo distratti con una donna cannone di periferia.
La Bologna piccola si è sviluppata quando la città storica si è aperta con la demolizione delle mura, ma era nata ancor prima, con la costruzione della stazione ferroviaria, nel 1859. È sorta come il luogo degli alloggi degli operai, originari del ferrarese e di tante altre parti d’Italia, come città della ferrovia. Nel 1889 arriva il Piano regolatore di Bologna. Case dei lavoratori costruite spontaneamente, a cui si aggiungono, dal 1906 in poi, gli alloggi popolari edificati dalle cooperative, la prima è quella di via Tiarini. È nata strana, come “seconda” Bologna, subito sorpassata dalla terza Bologna, quella che si è interposta tra il centro storico e i quartieri popolari della prima periferia, come primo rattoppo urbanistico. Eppure la personalità non è di quelle che si lasciano surclassare facilmente. Si mostra sonnacchiosa, ma è un po’ come il fuoco sotto la cenere.
Per raggiungere piazza dell’Unità, passiamo davanti ad alcune palazzine in stile liberty che hanno scavallato i due secoli passati per trapuntare il quartiere. Svetta la palma in giardino: qualcosa di esotico, tra la nebbia e gli umori di periferia, ci suggerisce che non è come sembra. Poi, un palazzone in stile Ventennio, ben tenuto, una piccola vetrina ci parla di affitti, c’è n’è per tutti i gusti, i canoni confermano la voce che circola tra gli studenti universitari in cerca di casa: oltre il ponte della ferrovia, costa meno. Arriviamo in piazza dell’Unità, il cuore del quartiere che non è nemmeno più un quartiere, essendo stato fagocitato in Navile, ma come luogo di identità sociale è sempre la Bolognina. Campetto da basket, anzi un surrogato di “due canestri”, cavallino per i bambini, poche panchine mal ridotte, tutto nei toni del marrone e grigio. Il Comune ha un progetto nel cassetto che la farà assurgere a piazza, degna della Bella di giorno. Sarebbe bello potere anticiparne il rifacimento, rispetto al piano più complesso che contempla anche moderne tranvie, perché la piazza, con quel degrado, sussurra storie di uomini e donne, ma soprattutto grida il sogno di centro del mondo. Ci soffermiamo davanti al piccolo monumento di marmo, quasi illeggibile, la mappa 1884-1889, con il reticolo che, dalla città antica, portava alla campagna, la via Galliera. Sembra un fiore a campanella rovesciato, con le quattro strade principali che si dipanano un po’ come vogliono: via Ferrarese, via Saliceto, via Corticella, via Arcoveggio. Poi, il colpo di coda della Bella di giorno: George Floyd (14/10/1973-25/5/2020) in una grande foto apposta da Bologna resistente. Persone nella piazza, alle ore 9, nessuna.
Ci spostiamo in via Matteotti, in un equilibrio strafottente tra baluardi di tradizione, come le storiche pasticcerie, e inserti di attualità, come il negozio di ortofrutta che, con datteri e ogni tipo di zucca e zucchina, mostra le abitudini dei clienti, ma anche l’identità del gestore. Il tour diventa rassicurante, scandito da un luogo ricorrente, che si ripete come le fermate dell’autobus: è il negozio del momento, il barbiere e parrucchiere Aziz. Il servizio del taglio di capelli uomo e barba si può trovare ogni cento metri. Il fotogramma è da incorniciare: le luci e gli arredi direttamente da Marrakesh e l’anziano della Bolognina che, felice, siede sulla poltrona. Con 5 euro è presto fatto.
In via Albani, ci accoglie il mercato coperto. Nasce nel 1934 per i residenti, rappresenta la rivendicazione di autonomia di un quartiere che vuole avere servizi propri per non dipendere dal centro, che rifiuta sin dalle origini di essere un quartiere dormitorio. Ed è ancora lì. I banchi sono ricchi di orgoglio alimentare: le carni, i formaggi e il pesce, frattaglie e prodotti semi sconosciuti ormai, come se fossero le radici culinarie un po’ di tutti. Peccato che molti box siano serrati.
Per raggiungere il mercato, facciamo una passeggiata di schizofrenia sociale e urbanistica. Da un lato della strada, le gru pubbliche per demolire e ricostruire un grande edificio, e prima ancora una bellissima residenza dei primi del Novecento, appena riportata all’originario splendore. Poi, sul lato destro, un angolo organizzato già da metà mattina, propedeutico allo spaccio diurno, anche in tempo di pandemia. Sedie di risulta, telaio in metallo e seduta in plastica marrone o in formica verde per i padroni dell’androne, protetto da sbarre. Il soggetto fa percepire, già a qualche metro di distanza, che non è opportuno nemmeno incrociare il suo sguardo. Via Colonna, case popolari, riammodernate, in parte. Il lato ancora fatiscente si sbriciola in piccoli balconi che davvero non si capisce come facciano a resistere senza crollare. Stridono alla vista e al pensiero: un affaccio sul mondo, sui dintorni, così miserabile da sperare che nessun bambino vi si affacci mai. Pochi metri più in là, chiediamo a un’anziana signora di aggiornarci su un negozio storico che non c’è più: vorrebbe intrattenersi ricordando quell’epoca per lei rassicurante, ma prevale il timore più attuale, per cui risulta schiva, parla a una distanza siderale, di ultrasicurezza. È una delle cose che colpisce di più, la reticenza indotta, ormai autoimposta.
Ci spostiamo In via Fioravanti, dove ci attende il nuovo The student hotel (una meraviglia al posto dell’ex Telecom), già in parte imbrattato, ma è orgogliosamente prepotente nell’ambizione che sembra non curarsi di quello schizzo di pittura. In fondo, è dirimpetto anche a Liber Paradisus, la sede comunale che svetta per modernità e che, già solo nel nome, rappresenta una sfida vinta dal quartiere. Prossima tappa: via Ferrarese, ma non prima di essere tornati in piazza dell’Unità che ha preso vita, ora si spaccia, alle spalle di due anziani. Arriviamo, poi, nella zona storicamente vissuta dalla comunità cinese, dagli Anni Trenta e dopo i fatti di piazza Tienanmen. Dopo il distributore di merendine e biscotteria, tutte verdeggianti, con i costi intorno ai 20 e 30 euro per gli snack a base di cannabis, troviamo l’erboristeria che mostra i rimedi dell’antica medicina cinese e alcune attività che reclamizzano viaggi per persone e per merci, da e per la Cina. Poi, raggiungiamo la farmacia comunale che, a sorpresa, ci riceve in cinese: cartelli su porta e vetrine parlano a una clientela cinese abituale, persino l’angolo per misurare la pressione arteriosa,
Lasciamo il quartiere, con un’immagine in testa: un bel muscolo tonico, irrorato da capillari molto fragili e da coaguli da sciogliere.
Si ringrazia P.G. per la collaborazione e Adolfo Tonelli per tutte le foto.