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Roccamena, Comune a 36 km da Palermo e vicino a San Giuseppe Jato, cala il silenzio anche sui 14 corpi ritrovati nella grotta, con l’archiviazione dell’indagine
Che cos’è la coltre di silenzio? È quella che stavamo costruendo noi, in redazione. Ci arriva una segnalazione molto documentata e il nostro primo pensiero è “ma chi ce lo fa fare di calarci in questo problema”, “in fondo c’è ne sono tante di storie così, in Sicilia”. Poi, la tenacia della segnalazione e i primi documenti che leggiamo ci inducono a conoscere Roccamena, Comune di 1441 abitanti, a 36 chilometri da Palermo. E lo spaccato che emerge ci scaraventa all’indietro violentemente, mentre tutto intorno a noi è pandemia, Recovery fund e investimenti tanto attesi anche dal Sud.
Si scende verso la vallata, quasi a raggiungere il lago Garcia, poi si risale lungo una montagna, percorrendo i sentieri o, meglio, le trazzere. Infine, un masso, quello che ha nascosto fino al 2016 la cosiddetta foiba della mafia o cimitero di Cosa nostra: 14 corpi. E, proprio in questi giorni, è come se quel masso fosse stato rimesso al proprio posto, ancora più pesante: l’indagine è stata archiviata. A nessuna di quelle persone si è riusciti a dare un nome. Nel 2016, appena rinvenuti i corpi, una ventina i familiari di persone scomparse si sono presentate in caserma per chiedere di essere sottoposti alla prova del Dna. Il risultato di tutto ciò ad oggi è perciò nullo.
La storia
A Roccamena, cinque anni fa, nella grotta a circa 40 metri di profondità, non molto distante dal centro abitato ma in una zona impervia, sono stati ritrovati gli scheletri, tra le vittime anche due adolescenti e una donna. Dalle analisi svolte trova conferma la morte violenta di queste persone, in loco sono stati rinvenuti anche dei bossoli. In paese, si racconta che avessero messo a guardia della caverna una persona che doveva tenere lontani i passanti, essendo quella una zona di caccia dei conigli selvatici e di raccolta di verdure spontanee. Il pretesto per l’uomo, custode del “cimitero”, era di dover gestire una cava di gesso che pare non vendesse gesso a nessuno. La scoperta della fossa risale al 2016, e non è un caso: accade dopo la morte del boss di Roccamena Bartolomeo Cascio, amico fidato di Totò Riina. Ai Carabinieri di Monreale arriva la segnalazione da parte di una persona che conosce il cimitero da almeno venti anni, ma avrebbe atteso la scomparsa del boss per poterne parlare.
La diga Garcia e mille ettari di terreni
La storia si intreccia con le indagini del Giudice Cesare Terranova e con l’inchiesta di Mario Francese sulla diga Garcia, oggi a lui intitolata, e con i traffici delle famiglie mafiose di Castelvetrano e di Corleone.
Un anno prima di essere ucciso dalla mafia, il giornalista Mario Francese era venuto a Roccamena per raccontare il grande affare della diga, che aveva scatenato gli interessi delle cosche, per la speculazione dei terreni, pare acquistati per un paio di miliardi e rivenduti per 17 miliardi di lire, poi per gli appalti. Negli articoli di Francese, ci sono già i nomi di mafiosi, come i corleonesi Riina e Provenzano*, che qui a Roccamena avevano l’amico Bartolomeo Cascio.
Bartolomeo Cascio ‘Vartuliddu’ e Matteo Messina Denaro
Cascio era, insieme ai fratelli Giambalvo, uomo di fiducia di Riina. “Cascio partecipa al gruppo di fuoco con Bagarella (…), libero e capace di assumere un ruolo di primo piano per gestire la crisi dovuta ad arresti e divisioni, come ad esempio gestire un’eventuale reggenza del mandamento di Corleone, dovuta a una difficoltà della famiglia dei Lo Bue. Fu proprio in quei giorni che Riina affidò a Matteo Messina Denaro il compito di colpire il Giudice Falcone a Roma”. Sono stati ricostruiti capillarmente anche i rapporti con gli imprenditori collusi, dall’eolico ed energia pulita alla grande distribuzione, dalle cave e calcestruzzi all’agroalimentare**. Tutti sapientemente orchestrati da Matteo Messina Denaro, che è ancora latitante dal 1993. Eppure sembra che Roccamena la si voglia tener fuori: appare come un luogo dove non è accaduto e non accade nulla di particolare. Come se fosse un lembo di terra ritagliato, al centro del triangolo Palermo-Trapani-Agrigento che occulta il proprio ventre. Una zona blindata, tanto da poter seppellire 14 persone ignote. Eppure è un Comune con cui si intreccia la storia di Matteo Messina Denaro, in contatto con vari personaggi di Roccamena, ma in nessuna testimonianza di pentiti figurano vicende svoltesi lì, tantomeno descrizione dettagliate di fatti o dell’articolazione del sistema.
Roccamena oggi
Gli anni Duemila vedono innanzitutto lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni, a firma del ministro Pisanu, “per forme di ingerenze da parte della criminalità organizzata” ***. È la giunta Gambino, anno 2006. Poi, seguono tante questioni amministrative controverse, campi da calcetto come se piovesse, segnalati da diversi servizi televisivi, fino a un sindaco, Tommaso Ciaccio, che si autonomina dirigente del proprio ufficio tecnico, a seguito di un problema con il dirigente in pectore. “Più volte ho ricoperto questo incarico, la legge prevede che in un Comune con meno di 3.000 abitanti il capo dell’ufficio tecnico possa essere anche un amministrativo, e nonostante diversi esposti ricevuti, non sono mai stato rimosso. Non è neanche previsto un titolo di studio. Altri sindaci svolgono lo stesso ruolo pur non essendo né architetti né ingegneri”, spiegava all’epoca Ciaccio. La querelle era nata relativamente alla gara per la gestione rifiuti, assegnata a Co.ge.si.La stessa società poi interdetta per mafia e menzionata nella relazione 2020 della Commissione regionale antimafia, presieduta da Claudio Fava, sul sistema dei rifiuti siciliano, nella quale sono state evidenziate gravi anomalie****.
Attualmente c’è un’amministrazione comunale eletta nel 2019. Unico candidato sindaco, unica lista. Naturalmente eletti. Il sindaco di allora, Tommaso Ciaccio, è ora presidente del consiglio comunale. Non c’è opposizione politica. Sarà tutto perfetto, ma ci appare zona franca anche per quanto riguarda la dialettica istituzionale. Sul sito del Comune guardiamo l’annosa questione della gestione dei rifiuti: la raccolta differenziata è intorno al 20% circa, pare sia il sistema porta a porta. Chilogrammi di organico raccolti 0.
Diverse le interrogazioni parlamentari presentate finora alla Commissione antimafia. Nessuna risposta, finora. Eppure continuiamo a credere che si possa ancora dare un nome alle 14 persone vittime di lupara bianca, e che soprattutto si possano ricostruire le vicende di questo territorio, per farlo uscire dallo status di terra di persone senza nome e senza storia. Per nobilitarlo come una bellissima terra che sa raccontarsi davvero, nel cuore della Sicilia. (dlc)
http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=17&id=1000827