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21 Maggio 2021Grandi macigni sull’endometriosi. Tabù e diagnosi tardive gravano su una malattia dalle enormi sofferenze anche psicologiche
La testimonianza di Michela
di Roberta Caiano
Almeno tre milioni in Italia, 14 milioni in Europa e 176 milioni del mondo. Sono questi i dati che caratterizzano le donne affette da endometriosi, una patologia determinata dall’accumulo anomalo di cellule endometriali fuori dall’utero, le quali solitamente dovrebbero trovarsi all’interno di esso. Questa anomalia porta ad un’infiammazione cronica dannosa per l’apparato femminile, manifestandosi con forti dolori pelvici e sofferenze intestinali. La malattia può interessare la donna già nel suo primo menarca e accompagnarla fino alla menopausa. Difatti, sebbene generalmente sia ritenuta una patologia dell’età riproduttiva, ci sono rari casi di endometriosi anche in post-menopausa, riscontrati soprattutto in donne che assumono trattamenti ormonali sostitutivi. Molto spesso questo argomento rappresenta un tabù, anche se gli studi in merito stanno evolvendo verso una maggiore consapevolezza e sensibilizzazione del problema. Infatti, come testimoniano i dati del Ministero della Salute, “il picco si verifica tra i 25 e i 35 anni, ma la patologia può comparire anche in fasce d’età più basse”. Il fattore che assume maggiore rilevanza è senza dubbio quello che riguarda la diagnosi, la quale nella maggior parte delle donne arriva dopo un percorso tortuoso e dispendioso, con gravi ripercussioni psicologiche.
Se si considera che tra chi soffre di endometriosi, il 10-15% delle donne è in età riproduttiva e il restante coinvolge circa il 30-50% delle donne infertili o che hanno difficoltà a concepire, la strada verso la prognosi conclamata può arrivare in ritardo o con conseguenze cospicue. Stando ai numeri riferiti da svariate analisi e studi, nel 20-25% delle donne l’endometriosi è asintomatica mentre il restante 75-80% manifesta alcuni sintomi quali dolore pelvico cronico durante il periodo mestruale e premestruale, dispareunia, cefalea e stanchezza fisica cronica. Inoltre, alcune donne manifestano anche una lieve ipertermia, che può accentuarsi in periodo mestruale, e fenomeni depressivi. Ultima ma estremamente importante è l’endometriosi profonda infiltrante, definita in termini scientifici come deep infiltranting endometriosis, DIE, che comporta il dolore alla defecazione, a volte accompagnato dalla comparsa di sangue nelle urine o nelle feci. Com’è intuibile, la diagnosi dell’endometriosi non è rilevabile in maniera istantanea ma tiene conto di tutta una serie di elementi ai fini di determinare con precisione la soluzione definitiva. I sintomi elencati sono il primo campanello d’allarme, da cui l’endometriosi può essere sospettata sulla base dell’anamnesi, della visita ginecologica e di altri strumenti a disposizione del clinico. Come si legge ancora sul sito ufficiale del Ministero della Salute, gli studi istologici hanno infatti evidenziato che l’endometrio in questa malattia è simile all’endometrio normale, “ma ha un’alta capacità di adesività che gli permette di aderire a strutture extrauterine, come le sedi in cui l’endometriosi si sviluppa”. Per questo, la disamina certa della patologia può essere data dalla visualizzazione diretta laparoscopica, ossia una tecnica chirurgica di ispezione della cavità addominale, la quale può essere correlata o meno dall’esame istologico, oltre che da vari esami come visite ginecologiche, esplorazioni rettali, risonanza magnetica, ecografie pelviche transvaginali ed esami del sangue specifici.
Così come per i sintomi e la diagnosi, anche le ipotesi intorno alle cause dell’endometriosi si spendono in numeri studi e ricerche che vedono lo sviluppo della patologia non solo per le sue caratteristiche istologiche e la stimolazione ormonale, ma anche perché si stagna in un sistema immunologico che ne permette la crescita, creando conseguentemente uno stato infiammatorio cronico. Infatti, il passaggio di frammenti di endometrio dall’utero nelle tube e da queste in addome, rafforza i sintomi di dolore causati da questa patologia. Molte indagini, invece, sono ancora al vaglio per quanto riguarda la correlazione tra endometriosi e sterilità, sebbene non ci sia nulla di definitivo nel determinare che questa patologia da sola possa comportare l’infertilità. Tuttavia, nel 30-40 % dei casi di pazienti affette dalla malattia si riscontra la sub-fertilità e sterilità, avvalorando sempre di più l’ipotesi che l’endometriosi intacca l’apparato riproduttivo femminile, i tessuti coinvolti nell’attecchimento degli embrioni e le riserve ovariche, portando così all’impossibilità di fecondazione. Dunque, se scoperta in tempo una pronta diagnosi e un trattamento tempestivo possono migliorare la qualità di vita e prevenire l’infertilità. Esistono, infatti, dei trattamenti di cura per l’endometriosi quali l’assunzione di estroprogestinici o progestinici, sebbene non propriamente indicati per il lungo periodo per i notevoli effetti collaterali, oppure tramite il già citato intervento chirurgico dell’endometrio in laparoscopia, che può essere ripetuto più volte nel corso del tempo. Per tutti questi motivi, l’endometriosi è inserita nell’elenco delle patologie croniche e invalidanti, negli stadi clinici più avanzati, riconoscendo alle pazienti affette il diritto ad usufruire in esenzione di alcune prestazioni specialistiche di controllo.
Come testimonianza del valore invalidante e aggravante di questa patologia abbiamo raccolto la storia di Michela, 35 anni, la quale è invalida al 75% e convive con danni e conseguenze permanenti ad organi vitali ed è portatrice di neuromodulatore sacrale per vescica ed intestino neurologici e per il dolore pelvico cronico. La donna, proveniente dalla provincia di Venezia, ha cominciato il suo calvario di dolore intorno ai 13 anni, con i primi dolori durante il ciclo mestruale, fino ad arrivare ai 26 anni quando è arrivata la diagnosi di endometriosi profonda 4° stadio del setto retto-vaginale. Le sue sofferenze non trovavano un nome e spesso si sentiva inadeguata nel provare dolore senza sapere che fosse realmente attribuibile a cause reali e non solo soggettive. Come racconta la stessa Michela, “da allora ho subito tre interventi per endometriosi, quattro per la ricanalizzazione dell’intestino, e dopo sette anni, i miei dolori sono cambiati. L’endometriosi non è più il punto centrale, ma i miei sintomi sono diventati neurologici a causa dei danni nervosi permanenti, quali la neuropatia bilaterale del pudendo, vulvodinia, sacroileite e vescica ed intestino neurologici con conseguenze di autocateterismo”. Infatti, la donna spiega come a 28 anni ha perso la funzionalità e la sensibilità di questi organi a seguito di un intervento che l’ha segnata a vita con rimozione di entrambe le tube, del tessuto endometriosico, lasciando però due noduli intestinali e altre lesioni diffuse. L’anno seguente, durante un altro lungo intervento, è stata ripulita completamente dall’endometriosi anche se non dalle conseguenze invalidanti. Infatti, nel quarto intervento di ricanalizzazione la stenosi era ricomparsa e ogni settimana l’appuntamento in ospedale era d’obbligo. “A gennaio 2016 ho inserito ‘Mirena’, la spirale contraccettiva medicata al progesterone, per posticipare l’isterectomia – dice Michela – Sempre nello stesso mese ho ottenuto il 75% d’invalidità, soprattutto per gli ultimi due interventi molto complessi, ma in particolare per i danni e conseguenze permanenti del secondo intervento. Due anni più tardi, nel 2018, una visita reumatologica mi diagnosticava la fibromialgia, ennesimo regalo dell’endometriosi, subendo il mio quinto intervento dove mi è stato impiantato il neuromodulatore sacrale provvisorio sperando di recuperare almeno una parziale funzionalità vescicale e rettale. Infine, a luglio 2019 mi è stato impiantato quello definitivo”. Nonostante la soluzione sia stata un miglioramento nella vita di Michela, le problematiche intestinali sono ancora insistentemente presenti così come la sua invalidità e i suoi dolori. La sua storia è la prova che una tempestiva prevenzione e intervento possano aiutare a non arrivare in ritardo nella diagnosi di questa malattia con conseguenze spesso gravi e, appunto, invalidanti. La stessa donna, infatti, è la testimonianza di come questi argomenti debbano essere affrontati in maniera approfondita, liberando divieti e tabù sulle donne per accettare e parlare di una patologia di cui non bisogna vergognarsi. Sentirsi più libere di parlarne significa anche poter addivenire più spesso a diagnosi precoci.