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di Simone Cataldo
Giubbotto antiproiettili, divisa militare, fucile a portata di mano e… un paio di tacchi medi. Questa è la storia delle soldate ucraine impegnate nello scontro nell’est industriale del Paese con i separatisti sostenuti dalla Russia. Sono 13.500 le donne che hanno combattuto questa guerra, molte di più quelle impegnate in questo momento in attesa di far esplodere il colpo in canna (o forse no).
Eroine o, come è meglio dire, al servizio del loro Stato. Ebbene sì perché a loro non è pesato arruolarsi e servire la patria al fronte, nonostante gli stereotipi e i tabù che privano le donne della propria libertà personale. Freddezza, senso di appartenenza e adrenalina da vendere. Tutte caratteristiche che, in qualche modo, fugherebbero i dubbi che si annidano in ogni angolo del mondo.
Ma c’è una parte che non è d’accordo. A far parte di questa sfera, apparentemente molto più grande di quanto si possa pensare, diverse figure. Dalle famiglie delle ragazze alle cariche più importanti del Rada (il Parlamento ucraino), opinioni che non aiutano una già difficile situazione che macchia, per l’ennesima volta, la figura dell’uomo.
Molestie e stupri sul fronte ucraino
Infatti le paure delle persone più care delle soldate sono legate alle condizioni al fronte, luogo in cui ancora una volta a farla da padrone sono molestie sessuali e insulti. Scene già viste, ma ciò nonostante raccapriccianti e che incutono rabbia tra i cittadini ucraini e la popolazione mondiale. A dare visione a quanto accade al fronte è stato il progetto Battaglione Invisibile, con la promotrice Hanna Hrystenco che ha documentato negli anni la serie di nomignoli, prese in giro, molestie sessuali ed episodi di stupro ai danni delle donne da parte dei commilitoni maschi. A detta della ricercatrice quanto accade è mal certificato, ovvero, le statistiche riportate di questi avvenimenti dai media nazionali e canali ufficiali risultano molte meno.
Discriminazioni e violenze sono il culmine di un sistema militare che già di suo esclude le donne dai ruoli più importanti. Non è di certo una novità dato che a farla da padrone sono gli stereotipi, oltre che il maschilismo e l’arretratezza di un mondo (quello militare) che sembrerebbe crescere lentamente sotto il punto di vista organizzativo e sociale. “È un sistema conservatore e patriarcale che persiste nel tempo. Lo stesso è progettato per non prendersi cura delle donne, soggetti che spesso non hanno nessuno a cui esporre le proprie lamentele” così Iryna Suslova, leader del movimento femminile “ZA MAJBUTNE” ed ex membro del parlamento ucraino, che da anni combatte per la parità di genere e contro la discriminazione. Ciò nonostante, lei sottolinea come negli ultimi tempi ci siano stati dei miglioramenti, infatti “fino a cinque anni fa le donne non potevano ricoprire i ruoli di carriste, cecchine, lavorare in fanteria e partecipare a gruppi di sondaggio e ricognizione”.
Nel frattempo si ragiona sullo sviluppo di meccanismi internazionali che vadano a combattere le molestie al fronte. Una promessa di Victoria Arnautova, consigliere del Comandante in capo alle Forze armate ucraine sulle questioni di genere, la quale – nonostante le dichiarazioni di rito – conclude il suo discorso specificando che “è necessario adottare condizioni come la riservatezza e l’anonimato, la possibilità di considerare i casi senza pubblicità”. Un passo indietro significativo che vede una donna non remare con le proprie simili.
L’ultimo caso di violenza, ad esempio, è quello vissuto dal medico militare Iryna Bazykina che a Radio Freedom ha raccontato come, dopo aver chiesto a un comandante di andare al fronte, quest’ultimo l’avrebbe invitata a casa per discutere del futuro. Una volta raggiunto l’immobile del commilitone, Iryna sarebbe stata aggredita, venendo poi minacciata anche da altri militari per impedire di presentare il caso. Ovviamente il medico non si è lasciata intimidire, ma a nulla è servito dato che il caso a pochi giorni di distanza è stato archiviato “per insufficienza di prove”. Qualcuno ora vada a spiegare ad Arnautova che il silenzio e la mancata pubblicità delle violenze darà maggiori stimoli a chi già in passato ha abusato delle soldate ucraine.
Onore dunque a loro, donne resilienti e guerriere vere. Molte di loro spesso hanno subito ripercussioni perché non accettavano di tacere di fronte alle molestie, ma nessuno mai ha veramente cercato di combattere in maniera pubblica questa problematica tanto reale quanto deprimente.
La protesta delle soldatesse con i tacchi
Pertanto, pochi giorni fa, le protagoniste di questa storia hanno deciso di dire la loro e lo hanno fatto attraverso un paio di tacchi medi. Il 24 agosto saranno passati trent’anni dall’indipendenza dell’Ucraina all’indomani della disgregazione dell’Unione sovietica e, in vista della parata nazionale, il governo ha diffuso le foto delle prove in cui vengono ritratte le soldate in marcia, a ranghi compatti, con tacchi medi al posto degli anfibi. Immagini che hanno sortito rabbia tra i cittadini, ma non solo, perché per l’ennesima volta il Rada è andato in contrasto con la scelta. Ad alzare la voce in parlamento sono stati i rappresentati dell’opposizione ovvero coloro che affiancano l’ex presidente Petro Poroshnko: hanno definito l’utilizzo dei tacchi «un’idea idiota e dannosa». In prima linea a sostenere tale teoria sono stati i compositori di Golos, partito che sul fronte politico si colloca al centro.
Foto che dunque non sono state prese bene, e tanto meno capite. In tutto ciò il Rada chiede le scuse da parte del governo, perché ritiene che queste immagini indeboliranno la posizione dell’esercito ucraino al fronte contro i russi. Dunque non è servito nemmeno un plateale gesto di protesta per attivare l’opinione pubblica, anzi lo stesso a detta di molti andrebbe ad indebolire l’immagine del Paese e del suo corpo militare. L’unico ramo ad indebolirsi invece è quello femminile, ma la speranza comune è che le stesse donne si possano imporre il prossimo 24 agosto ed utilizzare i tacchi a Kiev. Onore a voi che state lottando per vincere uno scontro all’interno di un’altra battaglia che va avanti dal 2013, proprio come i vostri disagi sociali. Onore a chi, nonostante nasca con meno diritti riconosciuti e con pregiudizi culturali alle spalle, continua a combattere. La vittoria è dietro l’angolo, non mollate.