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La transizione ecologica va gestita anche socialmente
di Salvatore Baldari
Siamo ormai rassegnati da diverse settimane, a vedere sugli schermi luminosi dei distributori di carburante prezzi che lievitano, di giorno in giorno. Prezzi che hanno sfondato la soglia del 1,8 euro/litro per la benzina e che viaggiano stabilmente oltre 1,65 euro/litro per il diesel. Livelli di prezzo che non si vedevano così dal 2014 e non si salvano neppure il Gpl e il metano, anzi è proprio il gas naturale ad aver registrato l’incremento più evidente e brusco, raddoppiando il proprio costo in pochi mesi.
Osservando gli andamenti dall’inizio dell’anno, emerge che nel periodo gennaio-ottobre 2021 il prezzo industriale della benzina, ovvero al netto delle tasse, è aumentato di 19 centesimi euro/litro, quello del gasolio di 17 centesimi, in entrambi i casi meno delle analoghe quotazioni internazionali.
Un dato che ci fa comprendere come i prezzi italiani al netto delle tasse siano i più bassi d’Europa. Dall’ultima rilevazione della Ue emerge infatti che benzina e gasolio in Italia costano 4/5 centesimi in meno rispetto alla media europea. La differenza del prezzo alla pompa risiede nella componente fiscale. Sui prezzi dei carburanti grava una componente fiscale che supera il 60% del prezzo finale, ponendoci al primo posto in Europa per il gasolio e al secondo posto per la benzina, dopo la frugale Olanda.
Tassa sulle tasse, le accise per un miliardo in più
Non a caso, l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, l’associazione degli artigiani e delle piccole imprese, stima che, con l’aumento del costo del carburante, quest’anno lo Stato incasserà un maggior gettito di circa 1 miliardo di euro, tanto da far parlare di “una tassa sulle tasse”.
Una situazione a cui saranno le famiglie e le aziende i soggetti più esposti, tanto direttamente quanto indirettamente. Oltre al maggior esborso per il rifornimento alle vetture, ne risentiremo sul maggior costo dei trasporti, che inciderà sui prezzi finali dei prodotti. Ed anche il riscaldamento domestico subirà le conseguenze di questo aumento generalizzato.
E, le prospettive non sono per niente confortanti.
L’aumento dei prezzi dei carburanti coincide con la ripresa della produzione globale, dopo gli stop imposti dalla pandemia. Durante i lockdown, con le attività produttive ferme, si erano accumulate grandi quantità di petrolio, che la rapida ripartenza ha bruciato, accrescendone la domanda. Quando la domanda cresce e l’offerta non è in grado di tenere il passo, i prezzi aumentano. L’Opec, ossia l’organizzazione che riunisce i maggiori produttori di petrolio, ha deciso di mantenere basse le scorte di greggio, nonostante gli appelli degli Stati Uniti.
Entrando nello specifico, il Brent europeo in un anno è passato da 41 a 85 dollari al barile, al pari del Wti americano, da 39 a 84 dollari.
Il costo del metano, tra Cina e Russia
Il prezzo del metano, invece, è stato molto condizionato dalla ripresa post-pandemica cinese, che sta assorbendo quantità crescenti di gas naturale. A ciò vanno aggiunte altre chiavi di lettura come le riserve europee particolarmente basse, i tagli di forniture verso l’Europa dalla Russia, a causa di manutenzioni, i ritardi nelle autorizzazioni a esercire nuovi metanodotti di importazione e trasporti marittimi rallentati.
Anno termico, prezzo record del gas quintuplicato in pochi mesi
Il 1^ ottobre, inoltre, è iniziato il cosiddetto “anno termico”, che si è aperto con un costo del gas di cento euro per Megawattora in Europa, un prezzo record, cinque volte quello dei primi mesi del 2021.
Accanto le incertezze economiche derivanti dalla pandemia, in realtà, diversi analisti intravedono, in questo aumento di prezzi spropositato dei carburanti, un’altra causa che potrebbe in realtà essere quella principale. Stiamo entrando sempre più nel vivo di una nuova epoca delle relazioni tra “Signori” del petrolio e del gas, i Paesi Occidentali e i mercati, ovvero l’epoca della transizione ecologica.
A farne da guida, si è posta l’Unione Europea, con il Green Deal che ha l’obbiettivo dichiarato di concentrare gli investimenti pubblici comunitari sulle rinnovabili. Se il gas potrebbe anche salvarsi da questa stretta, il destino per il petrolio pare invece segnato.
Il primo green bond, raccolta da 12 miliardi
Il Green Deal europeo ha avuto un immediato impatto anche sugli investimenti privati, tanto è vero che l’emissione del primo “green bond” ha raccolto sul mercato dodici miliardi di euro, riscuotendo ordini superiori 11 volte l’offerta.
Dal 2022 la Bei non finanzierà fonti fossili
A ciò va aggiunta la decisione della Bei (Banca Europea per gli investimenti), pronta a non finanziare più fonti fossili dal 2022. Dall’altra parte dell’Oceano, il nuovo inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, propenso a riprendere gli impegni dell’Accordo di Parigi messi da parte dal precedente Presidente, starebbe già studiando una strategia simile a quella messa a punto da Bruxelles. Ma, nel frattempo, anche negli Stati Uniti sono stati i mercati e gli investitori i primi a marcare la direzione. Al culmine dell’ultimo decennio in cui banche e privati hanno indirizzato verso i produttori di petrolio e gas, quasi un trilione e mezzo di dollari, adesso ormai si sono dichiarati indisponibili a continuare ad investire denaro in quegli stessi settori. In nome della transizione energetica, stanno diminuendo gli investimenti nei nuovi giacimenti.
Usa, “carbon neutral” al 2050?
Un recente rapporto della Iea (Agenzia internazionale dell’energia) rileva che, per essere “carbon neutal” entro il 2050, gli Stati Uniti dovranno raggiungere il picco massimo di consumi di greggio entro il 2025. Tuttavia, in base agli investimenti attuali in energia verde, la stima si sposta al 2035. Ed è per questo, che all’amministrazione Biden si stanno chiedendo sforzi maggiori.
Tutti segnali che indicano un cambio di approccio rispetto al recente passato, quando ogniqualvolta l’Opec spingeva verso l’alto l’asticella dei prezzi, i Governi e la finanza intervenivano senza esitazione per finanziare con sussidi i padroni dei fossili.
I consumatori in mezzo al guado
Purtroppo, però, questo cambio di approccio, lascia aperta una grande criticità, quella legata ai consumatori. I membri Opec sono consapevoli che alzare il costo dei carburanti contribuisce ad alimentare il fantasma di una transizione ecologica ad alto impatto sociale per i cittadini a basso e medio reddito. Basti prendere in considerazione il fenomeno delle auto, con un crollo delle vendite dei veicoli benzina e diesel, tuttavia non compensato da una crescita di acquisto di mezzi totalmente elettrici o ibridi, anche a causa del loro costo proibitivo per gran parte delle famiglie. Va richiamata in questo caso la strategia europea Fit for 55 (di cui ci siamo occupati quest’estate, quando abbiamo messo a confronto le emissioni di gas-serra delle grandi potenze mondiali), che ha stabilito uno stop alla vendita di auto benzina e diesel nel 2035.
Quando nel mese di marzo, cogliemmo l’occasione dell’istituzione del Ministero per la Transizione Ecologica nel Governo Draghi, per approfondire i temi legati alla svolta economica ed ambientale, già ci soffermammo sui suoi possibili impatti sociali.
Sicuramente, questo diventerà sempre più un tema di attualità, perché se la finanza e i Governi si stanno spostando verso la rivoluzione verde, i cittadini/consumatori sono pronti a farlo?