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di Antonella Testini
Non ci sarà un secondo lieto fine in materia di adozioni internazionali. Restano infatti bloccati in Cina i 35 bambini adottati da altrettante famiglie italiane che da due anni attendono la tanto sospirata “pergamena rossa” ovvero il via libera a preparare i documenti per andare a prendere i propri bambini. E sì. Perché un bambino “abbinato” a una famiglia che aspetta da anni, è un figlio già nato. Un figlio in carne e ossa che aspetta mamma e papà.
Il caso Cina
Contrariamente a quanto avvenuto per i bambini vietnamiti per i bambini cinesi il lieto fine è ancora lontano da scrivere. E il diritto di un bambino di abbracciare la propria mamma e il proprio papà al momento non sembra essere una priorità. Perché, a quanto pare, l’ennesimo incontro convocato la scorsa settimana tra le famiglie adottive e la Commissione adozioni internazionali ( Cai) si è concluso con l’ennesimo nulla di fatto. Una alzata di spalle e figli bloccati a più di 7000 chilometri di distanza dai propri genitori.
Il Ruolo della Cai
Un incontro convocato con largo anticipo, rinviato più volte e che alla fine, nell’ansia generale, è servito solo per dire che la Cina rifiuta qualsiasi tipo di collaborazione con l’Italia, teme per la salute dei bambini e li tiene lontani dalle loro famiglie.
Una decisione che lascia ancora più sbigottiti, se si pensa che tanto i bambini quanto i genitori italiani sono oramai vaccinati e pronti ad affrontare il viaggio, considerando tra l’altro che le famiglie hanno anche versato l’intero importo in denaro per completare le pratiche di adozione (30 – 40.000 euro circa).
“Ma non è questo che ci avvilisce” raccontano molte famiglie sulle pagine social. Ciò che preoccupa è infatti la decisione della Cina di negare qualsiasi tipo di contatto tra famiglie e bambini, nonostante la maggior parte siano bimbi special needs, con patologie importanti che potrebbero complicare ulteriormente la loro esistenza se non saranno immediatamente curate.
Le critiche dell’Ufai
“Nessun segnale positivo, nessuna partenza in vista, nessuna apertura – denunciano dall’Ufai -. La decisione delle autorità cinesi, di vaccinare i più piccini, ci aveva fatto sperare in un possibile happy end. Invece, la Cina ha respinto ogni richiesta, anche quella più facile da accogliere, come ad esempio fornire notizie un po’ più frequenti circa lo stato di salute dei bambini. Un report ogni sei mesi è un intervallo di tempo disumano per i genitori, soprattutto in questa drammatica situazione sanitaria”.
Dall’Unione italiana famiglie adottive arriva l’invito rivolto alla politica nazionale a intervenire con maggiore decisione per riportare i bambini in Italia, sebbene al momento pare sia “esclusa la possibilità che la Farnesina riesca a creare un corridoio umanitario, come per i bambini adottati recentemente in Vietnam, e consentire così alle famiglie di riunirsi con propri figli ancora in Cina. Decisione incomprensibile, visto che la Cina si prepara ad ospitare le Olimpiadi e quindi atleti e turisti da tutto il mondo”.
Alla famiglie adottive resta la tristezza dell’ennesimo Natale senza i propri figli e l’amara consapevolezza di essere sole, nonostante gli appelli rivolti tanto a Mattarella quanto a Draghi e pure al ministro Di Maio che di recente ha incontrato il suo omonimo cinese.
“Una totale débâcle per la CAI, per le nostre istituzioni, e per quella di tutti i Paesi che hanno pratiche adottive aperte con la Cina” commentano dall’Ufai per puntare il dito contro la Commissione internazionale a cui si chiede “empatia e sostegno, non modi autoritari e sbrigativi”.
“Che senso ha avuto convocare le famiglie, riunirle, caricandole di ansia e aspettative di settimana in settimana, per poi dire loro che non ci sono novità e accoglierle in un clima pervaso da nervosismo che forse mascherava l’imbarazzo del non avere nulla da dire?” lamenta Elena Cianflone, presidente Ufai, esortando la stessa CAI ad “operare nell’ interesse dei protagonisti principali di questa vicenda: i bambini, che da troppo tempo attendono mamma e papà”.