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4 Dicembre 2021“I disegni di Bologna la Rossa”: il presente nel passato per la mostra a cura di Art Motel
di Lorenza Cianci
Anche il 2 dicembre, un giovedì di pioggia e vento, il museo temporaneo del Navile, in acronimo MTN, è un universo di vetrate che presenzia religiosamente via John Cage, nel complesso edilizio che è la “Trilogia del Navile”. In quella zona, in un tempo antico, stava il mercato ortofrutticolo, a uno schiocco dalla stazione centrale. Sono le tre e il museo, lì, sembra fragile, nella totale assenza di anima viva del primo pomeriggio, nella pioggia e nel vento. Eppure, l’MTN soffia lo stesso, è «una sorta di organismo che si inserisce armonicamente nella vita della città», come cita il sito a lui dedicato. È un’entità che respira.
All’MTN, esposte nella mostra bi personale “I disegni di Bologna la rossa” ancora fino a domani 4 dicembre, sono due biografie parallele. Quella dell’artista Flavio Favelli, di origini fiorentine ma petroniano doc; quella dell’artista di origini perugine Margherita Borghesi, studentessa di fumetto e illustrazione all’Accademia delle Belle Arti di Bologna. Margherita, infatti, è l’artista selezionata per reinterpretare l’opera del volume a firma Favelli, Bologna la Rossa (Corraini Edizioni, 2019), i cui disegni salienti sono stati il materiale di partenza dell’illustratrice.
La selezione e la curatela dell’intera mostra sono di Art Motel, laboratorio di arte contemporanea. Nato nei primi mesi del 2020, a Bologna, da un’idea di Lucia Cataleta, digital strategist ed esperta di comunicazione, e Dario Molinaro, direttore artistico.
Nella mostra, le due creazioni artistiche, quella di Favelli e quella di Borghesi, sono esposte l’una al fianco dell’altra. Due volti generazionali, della donna e dell’uomo artista, si guardano da un capo all’altro della cornetta del tempo storico. Si dissociano, ma si riconoscono. Come fossero l’uno la potenza dell’atto. E viceversa.
L’identità smaterializzata: Flavio Favelli
È un’identità per contrasto, quella raccontata da Favelli: di ritagli e postscards, di spot pubblicitari, manifesti di sciopero, tessera del partito comunista del ’78, quella dell’Associazione cattolica del ’72, il manifesto di ArteFiera dell’‘80. Oggetti sparsi e pregni del tempo popolare, minimo e minuto, di felicità e indifferenza imperturbata. Oggetti incollati, illustrati, che si decompongono nella carta: nel nero pece, colore di fondo dell’illustrato. Si decompongono nel buco nero, del tempo e del dolore, intimo e universale. Nella notte luttuosadi una Bologna che è stata anche teatro di violenza, e strage. La Bologna a cavallo tra il ‘70 e il ‘91.
70, 80 e 91: sono i “segnacoli tempo” dell’esposizione artistica di Favelli, e anche i divisori mentali del suo volume del 2019. Il “segna tempo” 70 contiene: il ’74 della strage dell’Italicus, il ’77 dell’omicidio Lorusso, il ’78 dell’incidente ferroviario di Murazze di Vado. Il “segna tempo” 80, invece: la strage aerea di Ustica del 27 giugno, la strage di Bologna del 2 agosto. Il “segna tempo” 90, infine: la strage del Salvemini del 6 dicembre, la strage del Pilastro del 4 gennaio ’91, la strage dell’armeria di Via Volturno, del 2 maggio successivo. Le sue entità, nel buco nero, sono statiche: è un’ontologia di una ferita della nostra storia repubblicana.
È un’identità pregiata e filatelica, quella di Favelli. Quando si guarda la sua opera si sente, esatto come una memoria incorporata, quella sensazione di pienezza e dignità che si prova al momento in cui si incolla il francobollo su cartolina e si imbuca verso il cuore di persone care.
C’è della genuinità fresca nell’opera di Favelli: vivere il tempo nel tempo senza occuparsi delle teleologie. Che pendono, però, come spade di Damocle, sul presente già spacciato, comunque vissuto.
C’è della maturità piena, nell’opera di Favelli: la consapevolezza della malattia conclamata di sistema, della morte, dello stop: «È come se avesse fatto una sua personale reinterpretazione di ciò che stava vivendo, un po’ la sfera personale, un po’ quella storica», spiega la curatrice Lucia Cataleta.
È un’identità che si smaterializza. La smaterializzazione coincide con una fase di “riflusso” del racconto: un lungo elastico che slabbra, si sfilaccia, diventa globalizzato, ridiscute l’identità stessa e la problematizza. I pieni anni Novanta.
L’identità in perenne connessione: Margherita Borghesi
Margherita Borghesi ripropone il calendario temporale di Favelli, ma con gli occhi di un’artista che si affaccia al mondo nell’anno 2000 più 21: «Margherita, sia per età che per identità, ha rivissuto questi eventi con gli occhi di una ragazza di vent’anni, che vive a Bologna soltanto da due anni, tra l’altro uno di pandemia. Ed è andata nei luoghi che sono raccontati nel libro e ha rivisto quello che c’è adesso, reinterpretandolo a modo suo», ci conferma il curatore, Dario Molinaro.
Le sue entità su foglio campeggiano in una purezza bianca, sfavillante: c’è aria, spazio, elementi stondati e tondi. Niente è immanente. Si muove ogni cosa, come in un sogno: come fosse, la vita delle cose, in un movimento centripeto verso un destino intimo non rintracciabile. Quasi non si comprende, nei suoi occhi, come possa essere tutto in una perenne connessione. Eppure, lo è, nel suo mondo artistico di concetto, come il colore che usa: pieno, concettuale, dada. L’arco di tempo che dal ‘70 va al ‘91 diventa un razzo schiantato su un presente globalizzato ed arriva in una lavanderia di Via Mascarella, nel 2021 presente. In uno sticker a forma di elefante stampigliato sul muro dei portici. Su un leone, anacronismo del tempo che in cui era “a guardia” dei portoni bolognesi, divenuto vivo, ammansito dalla vita urban del presente. In una cabina telefonica, relitto di una socializzazione antica, una partita di basket in un’ora qualunque di educazione fisica all’istituto Salvemini, oggi.
C’è speranza, nell’opera di Borghesi: una speranza che si innesta perpendicolare alla teleologia scandita dall’ opera di Favelli. C’è la memoria. E la memoria, senza alcuna fascinazione mondana, sta proprio in quella perenne connessione, sulla base della quale tutto, per l’artista, si regge e campeggia nel bianco ancestrale del presente vivo.
La mission di Art Motel
Quella di intrecciare e valicare le frontiere tra generazioni di artisti, è la missione di Art Motel. I due curatori mi spiegano che: «l’idea nostra, come Art Motel, è di mettere sempre in collaborazione e confronto dei giovani artisti con artisti già affermati». L’esperienza è riuscita, anche per questa mostra: «Questa cosa, di fare un confronto tra artisti che appartengono a generazioni differenti, è stata in realtà recepita bene da lui (da Flavio Favelli, ndr), perché quando si sono incontrati c’è stato uno scambio, hanno parlato di quello che avevano fatto, Margherita ha spiegato. Quindi c’è stato quel confronto sincero che noi cerchiamo». E concludono: «È quello che vogliamo: che ci sia un dialogo tra le due generazioni». E che gli ideatori del Museo Temporaneo Navile, Silla Guerrini e Marcello Tedesco, hanno subito colto: «ci hanno dato un supporto in tutto, è stato un progetto fatto in comunione di intenti e sinergia, assieme a loro. L’idea è stata la nostra, gli artisti, anche, sono stati proposti da noi. Però, poi, tutto quello che vedi è stato realizzato insieme a loro».
Un’intuizione, quella del progetto laboratoriale di Art Motel nata durante il periodo di primo lockdown: «Abbiamo iniziato a fare questi incontri in periodo di pandemia, online, anche con i ragazzi dell’Accademia. Che ci raccontavano cosa facevano, chiusi in casa. Ci siamo resi conto che in quel periodo mancava loro un supporto, anche morale: su quello che invece è il mondo dell’arte, al di fuori del circuito accademico».
CREDITI FOTO: Le foto sono state realizzate da Daniela Altamura. Mi sono state gentilmente concesse dai curatori della mostra e Art Motel, Lucia Cataleta e Dario Molinaro. Non è possibile riprodurle altrove senza il consenso espresso Loro e dell’autrice degli scatti.