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di Silvia Cegalin
L’elaborazione del lutto è, fin dall’antichità e in ogni cultura, un atto essenziale per la crescita dell’individuo; eppure in questi ultimi tempi la pervasività dei device digitali e l’onnipresenza delle piattaforme, sono riusciti a penetrare anche in questa sfera intima dell’essere umano, stravolgendo completamente il momento del cordoglio.
Negazione della morte e immortalità virtuale: i griefbot
Attualmente dal mondo virtuale sono giunti molteplici escamotage per evitare l’elaborazione del lutto, uno tra questi è il griefbot.
Il grief-bot (robot del lutto) è la raccolta di tutte le informazioni contenute nei social network, nei siti e nei messaggi lasciati dal defunto.
Un insieme di dati che riesce a riprodurre in maniera realistica la copia avatar della persona deceduta, tanto che, se contattato, riesce a rispondere ai messaggi con lo stesso tono di voce, riproducendo anche battute somiglianti a quelle che faceva la persona in vita. I griefbot vengono spesso interpretati come l’incarnazione di un forte desiderio di ricordo della persona scomparsa, dietro di essi, tuttavia, è più plausibile che si celi l’incapacità di fare i conti con la realtà, ossia di accettare il fatto che quella persona non è più tra noi.
L’esigenza di interagire con avatar di persone decedute come se fossero ancora vive, inoltre, potrebbe causare una lettura distorta della realtà, e ostacolare quel processo del lutto fondamentale per accogliere il cambiamento in atto. Il rischio è che i griefbot possano snaturare il significato stesso della morte, perché, almeno virtualmente, ci rendono tutti immortali.
Diversi tipi di commemorazione: dagli account “in memoria di” alle tombe digitali
Diversamente dai griefbot, Facebook ha scelto una via più soft.
È possibile infatti trasformare l’account di un familiare deceduto in un profilo commemorativo (riconoscibile dall’aggiunta della scritta “in memoria di”) dove i contatti possono postare ricordi e dediche in onore del defunto, trasformando così il profilo in uno spazio condiviso di pensieri.
Il profilo celebrativo sposta il lutto da una dimensione reale ad una virtuale, ma c’è di più: se tale metodo può funzionare per superare il momento doloroso, dall’altro un quantitativo eccessivo di memorie “formato post” potrebbero alterare ed offuscare la nostra personale idea dello scomparso, potremmo, ad esempio, scoprire aspetti di lui/lei a noi ignoti; anche tale funzionalità include perciò dei limiti e andrebbe usata con moderazione.
Sempre in Facebook, da vari anni, è disponibile l’opzione “scegli un contatto erede”, opzione che permette di selezionare uno tra i contatti di Facebook per gestire il proprio profilo in caso di morte, possibilità che autorizza “l’erede” a svolgere determinate azioni, tra cui anche la chiusura dell’account.
Un metodo commemorativo alquanto bizzarro, e discutibile, sono invece le tombe con QR code inserito; una volta scansionato il codice si visualizza infatti l’account social o il sito del defunto, o una pagina creata dai familiari e amici per ricordarlo. A questo punto sorge spontanea una domanda: quanto è importante conoscere cosa postava una persona finché era in vita?
Rievocare un proprio caro è un atto più che naturale, è doveroso però interrogarsi se sia necessaria la ricerca continua dell’identità digitale del deceduto nei social.
Cremazione digitale: il diritto all’oblio da defunti non viene sempre tutelato
In opposizione all’immortalità virtuale del gemello digitale dello scomparso, c’è anche chi opta per la soluzione inversa, ovvero per la cremazione digitale preferendo, per se stessi o per i propri cari, la rimozione completa delle tracce lasciate dalle attività compiute in internet. Un’operazione che richiede passaggi burocratici, se non impossibili, comunque molto complicati in quanto i parenti devono innanzitutto provare la volontà del defunto di cancellarsi definitivamente dalla rete.
Un diritto all’oblio, o diritto alla cancellazione (Regolamento UE 2016/679, art. 17) che post mortem appare ancora più difficile da tutelare.