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Intervista a Maurizio Betti, referente dell’help line
di Lorenza Cianci
A Bologna quest’anno si soffiano le prime trenta candeline del Telefono Amico Gay e Lesbico (TAG). Era il 1992 e la cabina telefonica alfa del TAG si trovava nella storica sede del centro sociale “Cassero LGBTQI + Center”, a Porta Saragozza. Si inaugurava, quell’anno, la prima help line LGBTQI + del bolognese: un canale di supporto psicologico e informativo per la comunità, soprattutto nelle ore serali e feriali. Un telefono con tutti i fili: anonimo, informale, ascoltante, non giudicante. Una tappa preziosa sulla rotta del supporto psicologico inclusivo, anche per i e le più giovani.
Oggi, la vita del Telefono Amico LGBTQI+ è lunghissima, e le richieste arrivano anche attraverso le e-mail e i profili social del servizio. Le voci del TAG rispondono al numero 051 555 661, dal lunedì al venerdì, dalle venti alle ventidue.
Ne abbiamo parlato con Maurizio Betti, referente del servizio Telefono Amico LGBTQI +, nell’ambito della nostra inchiesta sul supporto psicologico ai e alle giovani adulte (+) over 18.
Maurizio Betti. Com’è nata la sua esperienza al Telefono Amico LGBTQI+?
«Quando c’era ancora il Cassero a Porta Saragozza, nel 2001. Lessi un manifesto che parlava proprio di Telefono Amico. Quando è arrivata questa possibilità, mi iscrissi volentieri. Perché sapevo che, comunque, era complicato. Quanto era difficile, questo percorso. E quanti erano passati».
Come sono cambiati i giovani da allora e come è cambiato il loro approccio ai temi LGBTQI +?
«Sono insegnante alle superiori: i giovani li vedo bene, tutti i giorni. Sono oltre trent’anni che insegno: il cambiamento è stato grande. Rispetto a questi temi, direi che, una volta, non erano nemmeno vagamente accennati. Adesso, sono diventati temi su cui, comunque, tutti hanno un’opinione: i ragazzi hanno una visione molto più serena rispetto a quella che avevamo noi, una volta. Hanno una coscienza: che non è tutto come è stato loro raccontato. In questo, hanno contribuito molto, probabilmente, i media, con le serie tv: una rappresentazione nel sociale dell’omosessualità che è decisamente cambiata, rispetto a trent’anni fa. Trent’anni fa, l’omosessualità era quella di film molto stereotipati. Adesso questi temi sono entrati, praticamente, in un modo o nell’altro, in tutte le case».
Come mai il Telefono Amico LGBTQI+ risponde solo alle ore serali?
«All’epoca, comunque, come adesso, le persone avevano, solitamente, maggiori difficoltà a quell’ora piuttosto che durante le ore del giorno. Diciamo che, adesso, ci sono molti più modi per entrare in contatto con il Telefono Amico. C’è anche la mail, il profilo Facebook».
Dopo il primo ascolto con il Telefono Amico c’è la possibilità di richiedere un breve ciclo di incontri gratuiti?
«In qualche modo, c’è un bacino che usa il Telefono Amico come “filtro” per avere dei colloqui che noi chiamiamo “viso a viso”. Questo capita qualche volta con il Telefono Amico, ma molto spesso con la mail del Telefono Amico. Le persone sono, forse, facilitate a contattarci via mail e ad avere colloqui con i nostri operatori. Devo dire che è un’esperienza interessante: come utenti, e anche per gli operatori».
Dopo questo incontro “viso a viso”. Ammettiamo che l’operatore si renda conto che l’utente avrebbe bisogno di continuare il suo percorso terapeutico. Qual è l’iter da seguire?
«Noi, come Cassero, abbiamo anche uno sportello psicologico e le persone o i ragazzi che si trovano in difficoltà, che hanno bisogno di chiedere aiuto, possono avere un breve ciclo di colloqui con professionisti: il numero (di incontri, ndr) cambia, da uno all’altro (da persona a persona, ndr). E poi abbiamo la possibilità di proseguire. Abbiamo dei professionisti che hanno esperienza rispetto a queste tematiche, hanno competenza. E, ovviamente, non hanno nessun tipo di pregiudizio rispetto a questi temi».
Avete dei servizi, afferenti al servizio di Telefono Amico LGBTQI+, su territorio? E con il Comune o i Centri di Salute mentale? Non vi è mai capitato di interagire fra di voi?
«Sì, diciamo che i servizi afferenti esistevano fino al Duemila, più o meno. C’era la possibilità di essere seguiti da psicologi esperti. Esisteva una rete su territorio, a cui dovevano essere inviate le persone che si trovano in difficoltà. Cosa che poi è terminata, in quegli anni lì. Come servizi legati a noi, non c’è mai stato tanto: però, c’è stata collaborazione. Ad esempio, abbiamo cercato di far conoscere il servizio ai Centri di Salute Mentale. E, poi, la collaborazione con il Comune, attraverso l’Ufficio delle Pari Opportunità. Non solo con noi, ma con tutti i servizi del Cassero».
Il Cassero aveva un collegamento con i servizi su territorio fino agli anni Novanta e adesso non ce l’ha più?
«Noi, come Telefono Amico LGBTQI +, siamo nati negli anni Novanta. Però, quando c’erano i consultori, si poteva pensare di mandare le persone presso i consultori familiari. Da molti anni non c’è più la possibilità, per le persone, nei consultori, di poter avere un servizio di supporto psicologico. Cioè, una volta, i consultori facevano anche, quasi, una terapia psicologica gratis: se avevi una difficoltà, potevi aspettare uno psicologo o una psicologa disponibile, per poi proseguire, per tempi, anche, lunghi. Era un servizio molto importante, alla persona: un’altra cosa, rispetto ad adesso. Adesso, si sono impoveriti: perché, si sa, la situazione è diversa. Le energie e le risorse economiche sono cambiate».
Quale può essere un altro aspetto, al di là di quello economico della mancanza di fondi, legato alla tutela psicologica giovani e giovani LGBTQI +?
«I giovani LGBTQ sono una categoria un pochettino più a rischio, perché sono maggiormente discriminati, e subiscono un maggiore stigma. Il Cassero, da gennaio, ha vinto un bando come Centro Antidiscriminazioni: ha i fondi e la possibilità di aiutare molto meglio le persone in difficoltà. Rispetto ai giovani in generale, esiste uno sportello che è lo Spazio Giovani. C’è anche il SAP».
Quali sono i tempi di attesa del Telefono Amico? E sa qualcosa dei tempi di attesa del SAP (Servizio Psicologico a Giovani Adulti UniBo)?
«I tempi di attesa del Cassero non sono lunghi. Sin che riusciamo a gestirli, sono estremamente brevi. Il servizio di supporto psicologico dell’Università, ovviamente, offre anche, a volte, terapie più lunghe. Ma sicuramente i tempi di attesa sono lunghi. Spesso viene da noi chi è già passato dal SAP. Quindi, in pratica, nel tempo di attesa per il SAP, loro chiamano anche noi, a volte».
FOTO CREDIT: le immagini sono stata concesse da Maurizio Betti (TAG). Non è possibile riprodurle senza il Suo consenso espresso.