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Termovalorizzatore a Roma, che cos’è 

Ecco qualche dato sugli impianti e le emissioni

di Salvatore Baldari

È stato un annuncio a sorpresa quello del Sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, quando il 20 Aprile, in Aula Giulio Cesare ha dichiarato di voler realizzare un termovalorizzatore a controllo pubblico per la Capitale, descrivendolo come una ‹‹svolta storica per la città e anche per il Paese››.

Tanto è bastato per inaugurare un nuovo atto del pluridecennale dibattito fra i contrari e i favorevoli a questo tipo di tecnologia per il trattamento dei rifiuti.

E in men che non si dica, è diventato un tema politico, quando il 2 Maggio il Movimento 5 Stelle non ha partecipato, per protesta, al voto sul decreto per combattere i rincari, in cui il Governo ha inserito un articolo che trasferisce dalla regione Lazio alla città metropolitana di Roma il potere di pianificare la costruzione di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti, una sorta di via libera per la costruzione del termovalorizzatore annunciato dal Sindaco Gualtieri.

Nel manifestare la sua contrarietà, il capo del Movimento, Giuseppe Conte, ha detto fra le altre cose: «Non possiamo riconoscergli (a Gualtieri) una cambiale in bianco per la creazione di impianti a tecnologia obsoleta come gli inceneritori».

A questo punto, verrebbe da chiedersi, stiamo davvero parlando di impianti obsoleti e non sostenibili?

Innanzitutto, partiamo col dire che non stiamo parlando di ‹‹inceneritore›› ma di ‹‹termovalizzatore››.

Negli scorsi decenni, gli inceneritori non trasformavano il calore prodotto la produzione di energia e non rispettavano i livelli di emissione richiesti dalle normative. Le attuali tecnologie, al contrario, sono in grado di utilizzare i rifiuti per generare energia elettrica o termica, oltre ad avere un impatto ambientale assolutamente conforme agli standard.

Stando alle informazioni pubblicate da Utilitalia, l’energia prodotta dai 37 termovalorizzatori attualmente in funzione in Italia, è pari a 4,6 milioni di Mwh di energia elettrica e 2,2 milioni di Mwh di energia termica, corrispondente al fabbisogno di quasi tre milioni di famiglie.

Un contributo ancora lontano dai 126 impianti della Francia e dai 96 della Germania, che diventa ancora più rilevante se consideriamo come il 75% di quelli italiani sia concentrato nelle Regioni settentrionali, in particolare Lombardia ed Emilia-Romagna.

Dallo stesso documento Utilitalia si legge che al Centro e al Sud mancano tecnologie per trattare 5,7 milioni di tonnellate di rifiuti, altrimenti ‹‹continueremo a ricorrere in maniera eccessiva allo smaltimento in discarica››.Perché quella è l’alternativa ai termovalorizzatori.

La proposta alternativa di chi si oppone categoricamente ai termovalorizzatori è quella di un potenziamento della raccolta differenziata. Incrementare la differenziata rappresenta un obiettivo senza dubbio auspicabile e da perseguire con tutti gli sforzi, ma purtroppo non sufficiente per la gestione dei rifiuti. Come ci ricorda LaVoce.info, infatti, non tutti i materiali possono essere riciclati e a questi vanno aggiunti gli scarti del riciclo (solitamente circa il 20 per cento del totale).

Le soluzioni principali per i rifiuti non recuperabili sono due: l’incenerimento o la discarica.

L’impatto di polveri inquinanti dello smaltimento dei rifiuti per mezzo del termovalorizzatore è otto volte inferiore rispetto all’uso delle discariche tradizionali.

Se consideriamo una analisi effettuata da Ispra nel 2018, sul totale delle emissioni generate dalla gestione dei rifiuti, pari a 18,3 milioni di tonnellate di Co2, neanche l’uno per cento è ascrivibile all’incenerimento.Al contrario, il 75% è riconducibile allo smaltimento in discarica, la restante parte è distribuita fra smaltimento delle acque reflue e trattamento biologico.

I termovalorizzatori di nuova generazione, attraverso tecnologie di cattura delle emissioni, hanno inoltre la capacità di ridurre ulteriormente le emissioni, dimostrandosi a tutti gli effetti degli strumenti utilissimi agli obiettivi di decarbonizzazione, sanciti dagli impegni europei e internazionali.

C’è un ultimo aspetto da tirare in ballo.

Le Regioni che più di tutte ricorrono alle discarica hanno puntualmente una capacità disponibile non sufficiente e così, per lo smaltimento, ricorrono all’esportazione dei rifiuti, verso altre regioni o verso l’estero, aggravando la filiera di ulteriori costi economici e ambientali per il trasporto.

Proprio il Lazio, caso da cui siamo partiti in questo articolo, è al secondo posto nella graduatoria dei rifiuti mandati “in gita turistica”.

E, come ha recentemente dichiarato, senza troppi giri di parole, in una intervista a Il Messaggero, il Prefetto di Roma Matteo Piantedosi ‹‹più la filiera è lunga e più il sistema è poroso dal punto di vista criminale. Bisogna fondare la chiusura del ciclo dei rifiuti su una nuova impiantistica che metta al riparo dai pericoli, sia quelli ambientali, sia quelli di tipo mafioso››.

Per traguardare gli obbiettivi europei al 2035  del 65% di riciclaggio e di riduzione sotto al 10% del ricorso alle discariche, sarà fondamentale realizzare gli impianti per il riciclo e accettare che tutto ciò che non può essere riciclato venga destinato alla produzione di energia o carburanti, evitando lo smaltimento in discarica.