Errori giudiziari: L’amara storia di Miss Greta Gila
20 Maggio 2022Killnet colpisce ancora e minaccia, di nuovo, l’Italia
23 Maggio 2022In ricordo di Falcone, “Scusa Giovanni!”
di Valter Giovannini (ex Procuratore Aggiunto di Bologna)
Ore 17,57 del 23 Maggio 1992, due vetture blindate Fiat Croma corrono veloci in autostrada verso Palermo. Nella prima a bordo ci sono il Giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza. Falcone è al volante, un innocente vezzo quello di guidare personalmente la Croma quando rientra a Palermo. Uno spicchio di normalità in una vita, da anni, blindatissima. Al seguito, nella vettura di scorta, gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. All’altezza dell’uscita per Capaci un enorme boato sconvolge la tranquillità di un sonnolento e caldo pomeriggio quasi estivo. In un condotto per acque di scolo che passa sotto l’autostrada sono stati fatti deflagrare, mediante un telecomando, 400 kg di tritolo. Decine di metri di asfalto si sollevano inghiottendo le due vetture. Muoiono immediatamente Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta. Falcone spirerà poco dopo in ospedale tra le braccia del suo amico e collega Paolo Borsellino. Si salverà, per pura fatalità, solo l’autista giudiziario.
Il fumo che avvolge il luogo dell’attentato, oltre che inghiottire cinque vite di persone perbene, spezza, forse per sempre, i sogni di cambiamento che una larga parte della società civile siciliana riponeva nel lavoro di Falcone e Borsellino. I due magistrati si conoscevano fin da bambini essendo nati entrambi in un popolare quartiere di Palermo. Camminarono sempre insieme fino al momento in cui l’odio mafioso non li uccise, a distanza di poco tempo l’uno dall’altro (Borsellino e la sua scorta vennero massacrati, appena due mesi dopo, nell’attentato di Via D’Amelio a Palermo).
Dopo la sua morte Giovanni Falcone divenne, anche per tutte le istituzioni, un eroe civile. Per la gente semplice e che conduce vite normali lo era già da anni. Purtroppo in vita non ricevette i riconoscimenti che gli sarebbero spettati per la sua integrità, intelligenza e lungimiranza nel saper interpretare e contrastare l’espansionismo mafioso, sia sotto l’aspetto più violento dello stesso che sotto quello più subdolo e pervasivo rappresentato dal volto economico e finanziario. Giovanni Falcone venne osteggiato da consistenti settori della magistratura che si opposero a varie nomine che avrebbero potuto condurlo a gestire al meglio indagini di respiro nazionale ed internazionale. Si arrivò addirittura ad insinuare che, in occasione di un fallito attentato con esplosivo che venne posto sulla scogliera nei pressi di una casa che, nel periodo estivo, il Giudice prendeva in affitto, l’atto fosse in qualche modo una messinscena finalizzata ad ingigantire il suo mito. Miseri ed infondati pettegolezzi ascrivibili anche a chi poi lo pianse platealmente in pubblico. Falcone come Borsellino avevano l’imperdonabile qualità di essere magistrati atipici e soprattutto empatici con la gente comune. Parlavano chiaramente, dicendo pane al pane e vino al vino, senza nascondersi dietro fumisterie verbali e astratti concetti giuridici che, sicuramente ancora in quei tempi, non pochi magistrati utilizzavano abitualmente nel parlare dei più disparati fenomeni.
Io all’epoca ero un giovane Pubblico Ministero che lavorava in una Procura della Repubblica della Lombardia ma ancora oggi ho negli occhi le sconvolgenti immagini che la televisione trasmise quel sabato pomeriggio. Ricordo lo sgomento, il desiderio forte che non fosse vero ma soprattutto la rabbia sia per quanto accaduto e sia perché in un recente passato avevo sentito circolare quelle voci sibilline e spesso anonime sul Giudice Falcone.
Sono passati decenni da quel giorno e il ricordo è sempre vivo tra la gente comune. Le commemorazioni ufficiali si sono susseguite negli anni con partecipazione da alcuni sentita, e da altri vista come una pratica da sbrigare.
Una cosa però non ho mai ascoltato: qualcuno che si scusasse per come era stato trattato in vita Giovanni Falcone. Per quel poco o nulla che può valere, poiché anche io all’epoca ero un collega di Falcone, e pur senza alcuna colpa lo faccio adesso: scusa Giovanni!