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Legge sulla cittadinanza, tra ius temperato e ius scholae

di Salvatore Baldari

Si torna a discutere di legge sulla cittadinanza.

L’ok arrivato in Commissione Affari Costituzionali della Camera ha riaperto il dibattito pochi giorni fa, preparando il terreno per l’approdo in aula.

Dal momento che il count-down della fine della legislatura è ormai partito se consideriamo che nel mezzo ci saranno la pausa estiva, il lungo iter della legge di bilancio e probabilmente il tema della legge elettorale, pare piuttosto improbabile, per la riforma della legge sulla cittadinanza, anche solo l’approvazione alla Camera.

Non parliamo poi del passaggio insidioso al Senato.

In ogni caso, questa è l’occasione utile per tornare a riaccendere i riflettori sulla riforma di una legge datata 30 anni e, quantomeno fuori tempo, dal momento che ritiene “italiano” chi è nato in Brasile, Argentina o Australia da genitori italiani o a loro volta discendenti di italiani, anche se l’Italia l’ha vista soltanto in qualche video su Youtube, mentre ritiene “straniero” chi è nato e cresciuto nel nostro Paese, ma è figlio di immigrati.

Una prima discussione sul tema è del 2015 con l’approvazione alla Camera, senza però ottenere mai la ratifica del Senato dello “ius soli temperato”, cioè la possibilità di richiedere la cittadinanza per i figli di immigrati stabilmente residenti in Italia.

Negli ultimi giorni, a distanza di qualche anno, la proposta di legge è sul cosiddetto “ius scholae”. Potranno richiedere la cittadinanza i figli di immigrati, nati in Italia o arrivati entro i 12 anni, dopo aver frequentato almeno 5 anni di scuola. Anche in questo caso non vi è automatismo, ma occorre inoltrare una richiesta.

Per quantificare la platea degli eventuali beneficiari, bisognerà prima chiarire se tra i “5 anni di scuola” sono considerati anche asilo nido e scuola dell’infanzia. Il testo attuale sembrerebbe escluderli, concedendo la possibilità di richiedere la cittadinanza solo alla fine del ciclo della scuola primaria.

Fatte queste premesse secondo l’autorevole fonte Lavoce.info gli alunni stranieri nati in Italia sono 574 mila, a cui andrebbero aggiunti gli stranieri nati all’estero entrati nel nostro sistema scolastico, per raggiungere una quota imprecisata, sino agli ottocento mila.

Gli oppositori a questa proposta sostengono di non vederci implicazioni pratiche, in quanto secondo la normativa attuale i nati in Italia da genitori stranieri possono chiedere la cittadinanza a diciotto anni e anche chi non ha cittadinanza italiana può tranquillamente frequentare la scuola o intraprendere un’attività lavorativa.

Nei fatti, la situazione nel nostro paese è profondamente cambiata rispetto al 1992, anno a cui risale la normativa sopracitata, attualmente in vigore.

In quel periodo, l’immigrazione in Italia era caratterizzata dall’arrivo di lavoratori adulti, che solo successivamente hanno chiesto il ricongiungimento familiare.

Più recente è invece il fenomeno di minori nati da genitori stranieri, le cosiddette “seconde generazioni”, che non poteva essere previsto trent’anni fa e che richiede ormai un adeguamento normativo.

Nel resto d’Europa, ciascun Paese ha disciplinato la materia con approcci più o meno

differenti. La Germania ammette automaticamente la cittadinanza se uno dei due genitori abbia un permesso di soggiorno permanente o se i genitori vi risiedono da almeno 8 anni. In Belgio, la condizione per l’automatismo della cittadinanza è che almeno uno dei due genitori sia nato nel Paese o vi abbia vissuto almeno 5 degli ultimi 10 anni.

Francia e Olanda prevedono un “doppio ius soli”, riconoscendo la cittadinanza se, oltre al minore, anche uno dei genitori è nato nel paese.

Alcune ricerche si sono concentrate sull’impatto delle naturalizzazioni dei più giovani. Richiamando in causa l’esperienza tedesca, la riforma che nel 2001 ha introdotto lo ius soli ha mostrano che l’ottenimento della cittadinanza comporta un effetto positivo sulle prestazioni scolastiche dei minori stranieri, riducendo il loro tasso di abbandono.

E l’Italia è proprio il paese europeo con il più alto tasso di abbandono scolastico tra i giovani immigrati. Il 32,1 per cento dei giovani immigrati in Italia in età 18-24 anni, a fronte dell’11 per cento dei nati in Italia.

Divario che si riflette anche nella scelta della scuola superiore. Tra gli italiani, il 52 per cento frequenta un liceo, mentre fra gli stranieri il 30,9 per cento.

Dei dati questi che si ripercuotono nel nel mercato del lavoro, per cui gli stranieri sono naturalmente indirizzati verso professioni meno qualificate e meno pagate.