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Ad anno accademico iniziato, per i ”fuori sede” esercitare il diritto di voto non è proprio semplice ed economico. Poi, ci sono da chiudere le scuole appena riaperte.
L’articolo 48 della Costituzione italiana sancisce il diritto di voto come elemento fondante della convivenza democratica del nostro Paese. Come ogni diritto, anche le libere elezioni hanno un costo economico, suddiviso fra gli elettori ed è un fatto che ormai abbiamo imparato ad accettare tutti, senza pensarci su più di tanto. Ci sono tuttavia alcune categorie di cittadini su cui il costo del diritto di voto grava un po’ più degli altri.
La chiusura delle scuole
Ci pare normale, ormai, infatti che andare a votare significa chiudere le scuole per qualche giorno. Secondo i dati del Ministero dell’Interno almeno il 90% delle sezioni di voto si trova all’interno di una scuola. Interrompere l’istruzione di bambini e adolescenti per mettere in moto la macchina organizzativa del suffragio universale, è un conflitto fra due diritti che andrebbe conciliato.
Eppure, nel 2021, lo Stato aveva messo a disposizione dei Comuni due milioni di euro per allestire aree alternative come edifici di proprietà comunale, palestre, oratori, fiere e tendoni. Ma questa opportunità non è stata adeguatamente valorizzata dai Sindaci della penisola. Se ci affacciamo oltre i nostri confini, Svizzera, Francia, Regno Unito potrebbero raccontarci esperienze in cui si vota per corrispondenza o su più giorni durante la settimana, in ambienti predisposti ad hoc, fra cui addirittura gazebo nelle piazze.
Le difficoltà per gli studenti fuori sede
Giovani che vengono penalizzati, anche quando iniziano ad avere qualche anno in più e si affacciano al mondo della specializzazione o della professione. È il caso, dei cosiddetti “fuori sede”, studenti e lavoratori che si trovano in una Regione diversa da quella in cui hanno la residenza abituale. Lo Stato si limita a riconoscere dei rimborsi parziali per sostenere le spese del viaggio necessario a tornare a casa, ma non consente loro la possibilità di votare laddove si trovano. Probabilmente, costerebbe anche di meno e faciliterebbe la partecipazione al voto.
Nonostante l’art. 48 della Costituzione sia chiaro nello stabilire il diritto di voto, lo stesso diritto non è garantito a tutti loro.
Gli studenti universitari in Italia sono circa due milioni, di cui si stima un quarto siano fuori sede. Parliamo di una fetta di popolazione di almeno cinquecentomila persone, come se non permettessimo di votare all’intera città di Bologna, di Palermo o di Genova.
Eppure, ad oggi, già esistono meccanismi per poter permettere di votare in un seggio diverso dal proprio ad altre categorie di cittadini, come le forze armate, i rappresentanti di lista, i ricoverati in case di cura e i residenti all’estero.
Scuole chiuse e voto disagiato per chi studia fuori regione: presa così dovrebbe far riflettere e farci accorgere che c’è qualcosa che non va.