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I focolai sono nati vicino alle falde acquifere più colpite dalla siccità, si irrigano le verdure anche con acqua di fogna.
Se l’astronomia ci insegna che in Oriente il sole sorge e in Occidente tramonta, la realtà vede il Medio Oriente nel mezzo tra luce ed ombre. In questo periodo più che mai la crisi energetica, il conflitto in Ucraina e la tensione politico-economica mondiale oscurano la drammatica situazione in cui versano i Paesi mediorientali reduci da mesi e anni di guerre, vuoti istituzionali e povertà. In particolar modo l’Iraq, la Siria e il Libano da settimane stanno lottando contro l’epidemia di colera tanto da far lanciare l’allarme sanitario da parte dell’Oms, l’Organizzazione Sanitaria Mondiale. In questi territori, i cambiamenti climatici uniti alle cattive condizioni dei sistemi sanitari e idrici hanno fomentato l’onda epidemiologica del colera che si è estesa a macchia d’olio e continua a preoccupare sempre di più.
Il colera in Iraq
Il primo ad essere stato colpito dall’emergenza infettiva è stato l’Iraq, che con l’arrivo della stagione calda lo scorso maggio ha visto una situazione di estrema siccità e di inquinamento delle acque potabili causando così la formazione del batterio vibrione del colera (il vibrio cholerae) da cui è appunto partita l’epidemia. La causa del focolaio è stata provata dal fatto che lo sviluppo del colera è partito dalle zone limitrofe alle falde acquifere maggiormente colpite dalla siccità e confermata dal dossier dell’associazione Save The Children, la quale afferma che “in Iraq, il colera ha colpito prevalentemente il nord del Paese. Gli sfollati interni sono stati particolarmente colpiti dall’epidemia, che si ritiene sia stata causata da verdure irrigate con acqua di fogna, a causa della siccità dei fiumi principali. Tuttavia, poiché la prolungata siccità continua a colpire i sistemi di irrigazione, si teme una nuova epidemia di colera nelle prossime settimane. Gli spostamenti di persone attraverso i confini potrebbero accelerare una potenziale epidemia”. Infatti i casi di colera nel Paese nel corso dell’estate sono saliti quasi a 900, facendo temere così una potenziale epidemia anche in Giordania, dove le autorità hanno adottato tra le misure di prevenzione ai confini con l’Iraq e con la Siria il controllo degli alimenti che entrano nel Paese e la sorveglianza del colera.
La diffusione del colera anche in Siria
La Siria, difatti, segue a ruota l’Iraq la cui epidemia di colera si è probabilmente diffusa per le stesse cause, ovvero per “il consumo da parte delle comunità di acqua contaminata e di cibo irrigato da fiume Eufrate che sta registrando livelli idrici storicamente bassi, principalmente a causa della peggiore siccità in Siria degli ultimi decenni”. Secondo il dottor Ibrahim Shihab, consulente sanitario di Save the Children per il Medio Oriente, il Nord Africa e l’Europa orientale, “la diffusione di questa malattia potrebbe essere una catastrofe per la regione, dove le infrastrutture mediche e igieniche sono già fragili. I bambini sono particolarmente vulnerabili alle epidemie di colera. In Siria, quasi il 35% dei casi riguarda persone di età inferiore ai 10 anni. L’infezione da colera può avere un impatto molto negativo sulle donne incinte e sui bambini sotto i 5 anni, che già soffrono per altre malattie, malnutrizione e mancanza di accesso ad un’assistenza sanitaria di qualità”. In un Paese come quello siriano già martoriato da più di 11 anni di guerra, il colera è senz’altro il colpo di grazia per una popolazione già al limite. Soltanto due settimane fa la Siria contava oltre 13mila infezioni e 60 morti per colera, ma la preoccupazione di un aumento è più che reale. A questo si aggiunge la notizia diramata pochi giorni fa dall’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria secondo cui circa mille profughi siriani, per lo più donne e bambini rifugiatisi in Libano dal 2011 quando è scoppiato il conflitto, sono stati rimpatriati in Siria. Da mesi è in atto un coordinamento tra le autorità libanesi e quelle siriane per il rimpatrio dei rifugiati, ma con l’avvento del colera la diffusione della malattia diventa ancora più pericolosa.
Il Libano tra epidemie e gravi crisi economiche e sociali
Il Libano e la Siria, infatti, condividono un lungo confine che permette non soltanto spostamenti liquidi ma soprattutto una propagazione del morbo più velocemente. Da quando è stato dichiarato il 5 ottobre 2022 il primo caso di colera nella zona settentrionale del Libano dal 1993, i casi registrati sono aumentati fino a 1400 e si sono verificate anche 17 vittime in tutto il Paese. Il dottor Abdinasir Abubakar, rappresentante dell’OMS, ha infatti affermato che “il colera è mortale, ma è anche prevenibile attraverso i vaccini e l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici. Può essere facilmente trattato con una tempestiva reidratazione orale o antibiotici per i casi più gravi. Ma la situazione in Libano è fragile poiché il Paese sta già lottando per combattere altre crisi, aggravate da un prolungato deterioramento politico ed economico”. Difatti il Libano attualmente si ritrova con un vuoto istituzionale lasciato dal capo di stato Michel Aoun, in carica dall’autunno 2016. Rimane come presidente del consiglio in carica Najib Miqati, facente le veci degli affari correnti del Paese ma lo stallo politico senza la formazione di un governo resta. L’esplosione al porto di Beirut di due anni fa è stata soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso di un territorio già sull’orlo di una crisi economica, politica e sociale senza precedenti. L’avvento della pandemia da Covid 19 così come la crescita incontrollata dell’inflazione e la conseguente carenza di farmaci, medicinali e l’esistenza di un sistema sanitario inefficiente ha portato il Paese dei Cedri a sprofondare ancora di più. L’epidemia da colera è dunque come benzina sul fuoco, in attesa di aiuti esterni. “La vulnerabilità delle persone in Libano – evidenzia l’Organizzazione- è esacerbata dalle difficili condizioni economiche prolungate e dall’accesso limitato all’acqua pulita ea servizi igienici adeguati in tutto il Paese. La migrazione degli operatori sanitari, le catene di approvvigionamento interrotte e l’approvvigionamento energetico inaccessibile hanno gravemente indebolito la capacità di risposta degli ospedali e delle strutture di assistenza sanitaria di base, che ora sono minacciate dalla crescente epidemia e dall’aumento del carico di lavoro”. Nonostante il vaccino contro il colera sia in carenza, l’Oms si sta infatti mobilitando per garantire 600 mila dosi del siero per accorrere in soccorso delle popolazioni più vulnerabili cercando così di contrastarne la diffusione e sforzandosi nel frattempo per garantire più dosi possibili. Ma intanto l’allarme è stato lanciato e non si spegnerà a breve.