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Sale l’attenzione per lo “shopping” cinese in Europa. La Germania si conferma la principale meta: ora tocca al Porto di Amburgo con l’acquisizione del 25% da parte della cinese Cosco.
Il 21 ottobre scorso, a margine dell’ultimo Consiglio Europeo a cui ha partecipato in qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi aveva pronunciato una esortazione, priva di ogni ambiguità: ‹‹Sulla Cina, non dobbiamo ripetere l’errore fatto con la Russia: non dobbiamo ripetere il fatto di essere indulgenti e superficiali. Quelli che sembrano rapporti d’affari, di concorrenza, da parte nostra sono così, dall’altra parte, sono parte di una regia complessiva del sistema cinese››.
Una parte del porto di Amburgo diventa cinese
Come non detto. Soltanto a cinque giorni di distanza dal meeting di Bruxelles e dalle parole di Draghi, il Governo tedesco ha consentito l’acquisizione di un quarto delle quote di uno dei terminal-container del porto di Amburgo, alla compagnia cinese Cosco (Chine Ocean Shipping Company).
Il gruppo Cosco, con sede presso l’Ocean Plaza di Pechino, leader nei servizi di spedizione e logistica, con una flotta di oltre quattrocento navi, secondo i dati di Crucial Perspective, è il terzo polo mondiale dei container, dietro soltanto la MaesK Line ed Msc.
Sebbene l’accordo con l’esecutivo tedesco sia temperato da alcune clausole che impediscono, ad esempio, ai cinesi di nominare membri del Consiglio d’Amministrazione o che negano loro il diritto di veto su alcune decisioni strategiche, l’operazione della Cosco nel porto di Amburgo può essere a tutti gli effetti considerata un tassello importante del piano di espansione della Cina in Europa.
Xi Jinping vuole Taiwan e sfida l’Occidente
Il congresso del Partito Comunista Cinese, andato in archivio sabato 22 ottobre, ha consegnato al mondo uno Xi Jinping, ancora più rafforzato, legittimando l’assolutezza del suo potere con una modifica della Costituzione. Proprio dalla Grande Sala del Popolo di Pechino (che “grande” è senza dubbio, ma “del Popolo” non direi), l’autocrate cinese ha definitivamente lanciato la sfida all’Occidente e, senza troppi giri di parole, ha dichiarato di voler riportare Taiwan sotto l’egida del Dragone, se necessario anche con l’uso delle armi.
Come scrive attentamente Vittorio Ferla: “Ogni iniziativa economica del governo di Pechino, anche attraverso le società controllate, deve essere attentamente misurata perché può nascondere la volontà espansionistica del colosso orientale. E, come ha avvertito Draghi, un eccesso di apertura potrebbe ricacciare l’Europa in un nuovo incubo, dopo quello scatenato dalla Russia”.
Il governo tedesco contrario all’ingresso cinese nel porto di Amburgo
Si comprendono, così, le perplessità e la contrarietà che questa operazione ha generato nel Governo di Berlino e fra i partiti di maggioranza che lo sostengono. Almeno sei sono i Ministri, infatti, nettamente avversi all’ingresso di Cosco nel porto di Amburgo. Dal partito dei Verdi, che esprime il Ministro degli Esteri Baerbock, non l’hanno messa piano: ‹‹Non possiamo permetterci di diventare esistenzialmente dipendenti da un paese che non condivide i nostri valori (come è accaduto con Mosca) e che la completa dipendenza economica basata sul principio della speranza, ci lascia aperti al ricatto politico››. Dichiarazioni dello stesso tenore sono arrivate dal capo dell’intelligence, il quale si è avventurato in una metafora, molto intuitiva, affermando come la Russia sia la tempesta, ma la Cina rappresenti il cambiamento climatico. Altrettanto inequivocabili le parole del segretario di Stato, Baumann, per cui in questo modo si aumenterà in ‹‹modo sproporzionato l’influenza strategica della Cina sulle infrastrutture di trasporto tedesche ed europee e la dipendenza della Germania dalla Cina››. Sulla stessa lunghezza d’onda il parere dell’opinione pubblica tedesca.
L’agenzia Agi ha, appunto, riportato un sondaggio effettuato per conto dello Spiegel, da cui emerge che l’81% dei tedeschi è contrario all’ingresso della Cosco nel porto di Amburgo. Ha resistito alle pressioni, tuttavia, il cancelliere Scholz, favorevole all’accordo, e anzi, il 4 novembre ha incontrato personalmente Xi Jinping a Pechino, risultando il primo leader di una nazione del G7 a recarsi in Cina, dallo scoppio della pandemia. Ufficialmente si è parlato di pace nel mondo e di progresso tecnologico, ma non si è in cattiva fede, a pensare che i colloqui abbiano toccato anche affari commerciali.
Gli intensi intrecci commerciali tra Berlino e Pechino
Perché gli intrecci commerciali ed economici fra Berlino e Pechino sono intensi e non pochi anni. Un articolo pubblicato lo scorso Agosto da Matthias von Hein, citando un’analisi del German Economic Institute che raccontava di investimenti tedeschi di 10 miliardi di euro in Cina solo nella prima metà del 2022, titolava: “Is Germany too dependent on China?” (La Germania è troppo dipendente dalla Cina?).
Nel 2021, la Cina è stata per il sesto anno consecutivo il main-partner commerciale della Germania, rappresentando il 9,5% del suo commercio di merci. Fu proprio l’allora cancelliera tedesca Merkel, nel 2019, a spingere per gli accordi della Nuova Via della Seta in Europa, un progetto alla fine sottoscritto soltanto dall’Italia e dai Paesi orientali dell’Unione.
Cosa accadrebbe se Pechino decidesse di invadere il popolo libero di Taiwan e l’Occidente reagisse con sanzioni simili a quelle impartite alla Russia? Ancora una volta, così come nella vicenda ucraina, laddove proprio la Germania era il Paese più dipendente dal metano del Cremlino, anche in tal caso i cugini di Berlino sarebbero gli europei più imbrigliati dalla ragnatela di Xi Jinping.
“La Germania rischia di diventare il ventre molle dell’Ue”, scrive Vittorio Ferla.
Occorre rivalutare i moniti e le azioni di Draghi, almeno adesso che non è più soggetto al gioco al ribasso della politica politicante di alcuni partiti nostrani. Diversificare gli approvvigionamenti economici ci ha consentito di sganciarci dalla dipendenza di Mosca. Diversificare le partnership commerciali ci permetterà di essere meno legati alla Cina.
Un via tracciata, che l’Europa dovrebbe seguire. Per il bene suo e dei suoi cittadini.