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24 Novembre 2022Lo sportello contro la violenza di genere, “La MALA Consilia” di Bologna si racconta
Intervista alle attiviste de “La Consultoria studentesca autogestita” di Bologna. Oltre al contrasto alla violenza di genere, lo sportello è anche punto informativo tra pari su benessere psicologico e sessuale.
La MALA Educaciòn si forma, come collettivo transfemminista universitario, nel 2017, all’interno del più ampio movimento studentesco Link- Studenti Indipendenti Bologna. Nasce, come ci dicono le sue attiviste, in risposta al dibattito su «come, a partire dall’università, si possa cambiare la società esistente, proprio attraverso i saperi». Un cambiamento in senso, appunto, transfemminista.
Dello stesso 2017, è il primo ciclo di seminari del neo-gruppo. Agli incontri, le attiviste scelgono di dare il nome di “La MALA Educaciòn”: da qui, il nome ufficiale del collettivo.
“La MALA Consilia”, piuttosto, nasce, prima, come approfondimento teorico del percorso femminista all’interno dell’esperienza politica de “La MALA Educaciòn”. Poi, come realizzazione politica nello spazio fisico, attraverso uno sportello, mutualistico e informativo, “La Consultoria Studentesca autogestita MALA Consilia”. Si occupa di: contrasto alla violenza di genere all’interno degli spazi universitari e contrasto alle discriminazioni; salute, info contraccezione e benessere sessuale; sostegno al supporto psicologico.
Inaugurato, nell’ottobre del 2019, nel complesso universitario di via Filippo Re, oggi è aperto tutti i martedì, dalle 12 alle 14, in Via Zamboni 34. Ma le attiviste sottolineano tutte le criticità del trasferimento al civico 34: un luogo ristretto e, spesso, in condivisione con altri gruppi studenteschi distanti dai loro convincimenti politici. Chiedono uno spazio tutto per sé, e safe, ovvero sicuro e non giudicante: come dovrebbe essere, anche per tutelare le persone che a questo spazio si rivolgono.
La Mala Consilia è anche luogo virtuale: attraverso i contatti social e Whatsapp.
In questi cinque anni, il lavoro della Mala Consilia all’interno Università di Bologna è stato sostanziale: al processo di revisione ed elaborazione dell’attuale Codice di comportamento per la prevenzione delle molestie morali e sessuali e il loro contrasto; nell’accompagnamento e ascolto attivo, pratico ed empatico, alle studentesse che hanno deciso di denunciare le molestie sessuali perpetrate da personale docente, all’interno dell’Ateneo di Bologna. E che lo hanno fattorivolgendosi, prima di tutto, allo sportello di Mala Consilia. Infine, alla nascita, lo scorso ottobre, dello sportello contro la violenza di genere dell’Università di Bologna: uno sportello istituzionale,promosso dall’UniBo e gestito dalla Casa delle donne per non subire violenza Bologna.
Di questi temi, abbiamo approfondito con Sofia, Giorgia e Roberta, attiviste della MALAEducaciòn e della Consultoria Studentesca autogestita MALA Consilia.
Definite il vostro spazio come uno “spazio politico transfemminista”. Cerchiamo di spiegarlo, a chi non conosce questa parola: cosa vuol dire spazio politico transfemminista?
Sofia. Allacciandomi all’esempio dello sportello: non siamo uno sportello che deve preoccuparsi unicamente di sopperire a una mancanza, dal punto di vista dei servizi. Quello che a noi interessa è di essere, prima di tutto, un punto di riferimento e un punto di nodo: di collegamento, nello spazio cittadino e nello spazio fisico, con altre realtà. Il nostro obiettivo è elaborare percorsi, naturalmente alla pari perché non siamo delle professioniste, che possano aprire un percorso politico. Nel senso che “il personale”, che si concentra sul “singolo”, diventa un qualcosa su cui formarci anche noi: discutere, riflettere sul mondo che ci circonda, sugli ideali che sentiamo più nostri. Stabilire dei percorsi, che devono portare realtà, non so, come l’educazione sessuale o l’accesso all’aborto, accessibili a tutti, aperte. In questo senso, lo sportello è uno spazio politico.
Roberta. Noi, in genere, spieghiamo questo concetto con un’esperienza che abbiamo avuto nel 2019, a partire dalla segnalazione di una studentessa che ci ha raccontato di aver subito delle molestie da parte di un docente. Lì, ci siamo rese conto che non c’era un regolamento dell’UniBo che tutelasse le studentesse e gli studenti che subivano molestie. C’era: ma non era accessibile da parte degli studenti, delle studentesse. Proprio a partire dalla volontà di rispondere a dei bisogni, abbiamo avviato un percorso politico: del “Mee too Unibo”. Riprende il “Mee too” del caso Weinstein. Il “Mee too”: per fare in modo che qualsiasi persona che, in passato, aveva subito molestie, potesse riconoscersi in un “mee to”, in un “non sei sola, siamo tutte”. Da lì, abbiamo avviato un iter politico, anche dentro gli organi universitari: per approvare un nuovo regolamento.
Il Codice di comportamento per la prevenzione delle molestie morali e sessuali e il loro contrasto, nella sua ultima revisione, è del maggio 2020. Voi avete avuto una parte di pungolo politico nel processo di elaborazione di questo testo. C’è, però, ancora un punto di criticità che voi mettete in luce.
Giorgia. Questo che noi leggiamo è il prodotto di un compromesso: di mesi di interlocuzione con la Consigliera di Fiducia, la prorettrice, i vari senatori del Senato Accademico. È stato un processo lungo, avvenuto durante il Covid. Le criticità erano tre. La prima: il regolamento era esteso solo al personale amministrativo. Dai professori ai docenti, tutti quanti: esclusi gli studenti e le studentesse. La seconda criticità, anch’essa molto importante, era che vi era un limite di tempo per denunciare: di novanta giorni. La denuncia poteva essere esposta entro i novanta giorni, e basta. E, poi, era obbligatorio un confronto, tra la persona che aveva subito la molestia e lo stesso molestatore.
Quest’ultimo punto: è ancora presente nel Codice?
Giorgia. Non siamo riuscite a escluderlo totalmente: però, è solo su approvazione della vittima, sul consenso della vittima. Non è obbligatorio. Prima, era obbligatorio: per risolvere la controversia era obbligatorio questo incontro, fra molestatore e vittima.
Questi tre aspetti sono stati modificati. Ad oggi, non esiste più un limite temporale per denunciare; il regolamento è esteso anche agli studenti e alle studentesse; appunto, su quest’ultimo punto c’è il consenso della persona, che può avere un eventuale confronto, o meno.
All’inizio del vostro percorso di “Consultoria”: quali tipo di emergenze avete visto, da subito?
Roberta. Principalmente, all’inizio, c’era bisogno di avere dei punti di riferimento informativi rispetto all’accesso alla salute. Perché, a Bologna, non si sa dove si fanno le cose: ma, questo, è un problema più generale. Uno studente fuori sede non è considerato un vero e proprio cittadino: è escluso da tutta una serie di servizi, al di là del diritto di voto. C’è pochissima informazione: rispetto al sapere come prenotare una visita ginecologica nel pubblico; poca informazione sui metodi contraccettivi, sull’iter per abortire; anche sulle MTS, le malattie sessualmente trasmissibili. C’è poca informazione, da questo punto di vista: quindi, il nostro primo obiettivo, rispetto a questi temi, è stato fare rete, con tutta una serie di realtà.
Un punto di riferimento informativo. Avete avuto però mai la possibilità di essere un “nodo” con i servizi del territorio?
Sì, certo. Abbiamo fatto rete, con tutta una serie di realtà.
Quali realtà?
Roberta. Prima di tutto, il Centro Antiviolenza. Durante lo sportello, se ci rendiamo conto che delle persone hanno bisogno di un supporto, che vada oltre il nostro ascolto da pari, ma che sia un supporto da professioniste, noi indirizziamo alla Casa delle Donne. E le persone vengono comunque mandate da noi, quindi, lì, c’è una garanzia: facciamo un po’ da garanti, rispetto a questo.
Rispetto alla ginecologa: abbiamo una ginecologa convenzionata, privata. Se ci chiedono il numero della ginecologa, c’è una convenzione con il prezzo della prestazione. La stessa cosa con le psicologhe.
Questo del supporto psicologico. Qualcuno vi chiede, del supporto psicologico?
Sofia. Sì. Due tipi di percorsi, di situazioni, che si possono creare allo sportello. Situazioni in cui dobbiamo semplicemente dare informazioni: per esempio, su dove rivolgersi per fare un check-up per le malattie sessualmente trasmissibili. Oppure, ci chiedono dei riferimenti di psicologo o ginecologo.
Ci sono stati dei casi dove, per quanto riguarda l’interruzione, non solo c’era bisogno di un aiuto dal punto di vista pratico: dove rivolgersi, a quali consultori. Anche a un accompagnamento: perché spesso non c’è il supporto della famiglia o, per scelta della persona, non si vuole coinvolgere altri. Quindi, abbiamo offerto accompagnamento proprio fisico, all’interruzione. E anche dopo, ci siamo rese punti di riferimento.
So che vi siete spostate in Via Zamboni 34. Come descrivete quel momento, storico per voi, cosa è successo in quella fase?
Roberta. Lo spazio di via Zamboni 34 è sempre stato, per noi, uno spazio amico. Nel senso che, effettivamente, abbiamo sperimentato uno sportello già prima di aprire la “Consultoria” là (in via Filippo Re, ndr), in via Zamboni 34.
Quindi, avevate già fatto una sperimentazione “pilota”.
Una sperimentazione pilota, all’interno del 34, prima di avere lo spazio (in via Filippo Re, ndr).Quindi, già conoscevamo tutti i limiti, di quello spazio. Chiaramente, dopo aver avuto la possibilità di avere uno spazio nostro, safe, senza orari, ritornare al 34 è stato complicato.
Non vi sentivate, poi, di condividere quello spazio con altre realtà.
No. Poi, uno spazio presente all’interno dell’Università: che aveva degli orari, rispetto a Filippo Re. Non potevamo utilizzarlo sempre. Piccolo, comunque: ci potevamo fare solo lo sportello e non tutte le altre attività che avevamo già sperimentato in via Filippo Re. E che, comunque, avevamo in programma di continuare a fare, nella Consultoria. Penso: alle autoformazioni pubbliche, le autocoscienze, laboratori vari, che avevamo organizzato. Quindi, ritornare in via Zamboni 34, nonostante fosse uno spazio che già avevamo utilizzato e che conoscevamo, è stato una bella batosta. È a tutt’oggi lo spazio che utilizziamo per lo sportello.
Quindi, adesso, la vostra attività si concentra nello sportello.
Organizziamo anche dei seminari, degli incontri, delle formazioni pubbliche, però in altri spazi[…]. Abbiamo continuato nell’attività politica: solo che siamo un po’ migranti, in questo.
Sullo sportello contro la violenza UniBo. Questo percorso: com’è nato? Come pensate i due percorsi, la Consultoria e lo sportello contro la violenza dell’Università di Bologna? C’è qualcosa che vi distinguerà?
Roberta. È nato perché l’Università si è resa conto, dopo gli ultimi casi di segnalazioni di violenza[…]. Si è resa conto che uno spazio del genere è necessario all’interno dell’Università, anche istituzionalizzato. La cosa che abbiamo sempre voluto chiarire con loro è che la funzione dello sportello universitario è diversa dalla nostra esperienza. Ha riconosciuto anche il nostro lavoro, e la necessità di avere uno spazio del genere in Università e hanno deciso proprio tramite la Casa delle Donne aprire questo sportello.
Avevate già svolto dei progetti con la Casa delle Donne per non subire violenza?
Sofia. Sì. C’erano già stati degli invii di percorsi, da parte nostra. Anche dei confronti proprio su come agire.
Giorgia. C’è da dire che, molte delle nostre pratiche, vengono dal CAV (dal Centro Anti Violenza, ndr): proprio da lì. Abbiamo fatto tante formazioni, con loro: su come si dà ascolto a vittime di violenza. Abbiamo fatto tanti incontri, dall’inizio, dal 2019.
Sofia. Naturalmente, c’è la volontà di collaborare insieme e, in qualche modo, trovare dei punti di incontro. In ogni caso, per noi sarà importante continuare il nostro, di percorso, anche in associazione a quello di questo sportello. Perché nasciamo con una storia completamente diversa. E poi, secondo noi, anche dal punto di vista simbolico: siamo qualcosa di diverso. Innanzitutto, siamo pari. E siamo qualcosa di esterno all’università. Siamo fisicamente in via Zamboni, ma non facciamo parte, come istituzione, dell’Università: se non come studentesse, ma alcune di noi hanno anche già concluso il loro percorso. Quindi, siamo, da questo punto di vista, meno implicate. E questo potrebbe essere un ulteriore punto di forza. Poi, abbiamo anche molta esperienza: perché svolgiamo ormai da parecchio tempo questa attività. E anche il nostro ruolo, come dicevamo prima, non è solo di sopperire a certe mancanze: ma è proprio politico, di cambiamento dall’interno, di sovvertire un tipo di educazione.
In che modo bisognerebbe cambiare la dinamica all’interno della didattica, in che modo bisogna “sovvertire” questo sistema che, secondo voi, è maschilista? Come si potrebbe fare una “rivoluzione della didattica” che possa portare a una, invece, pienamente femminista?
Roberta. Sicuramente non ghettizzando gli studi di genere a un solo corso. Rendere le tematiche femministe trasversali a qualsiasi ambito del sapere: cosa che, ad oggi, non è. Rivoluzionare i piani di studio, i testi. Sì, vedere se non ci sono, negli insegnamenti, determinati approcci antifemministi, o patriarcali. Insomma, detta in maniera semplice: fare un’indagine rispetto agli insegnamenti, i corsi, i libri di testo.
Come vedete i ragazzi nel contesto universitario, vedete che qualcosa si sta muovendo? Li vedete predisposti a mettere in discussione determinati stereotipi?
Sofia. Io trovo che un miglioramento c’è. Nel senso che se ne parla di più, grazie ai social. Anche perché, nel bene e nel male, il femminismo è diventato un po’ mainstream: alcune parole, come “patriarcato”, risuonano molto di più. Almeno, questa è la mia percezione, rispetto già, banalmente, a cinque anni fa. Il problema è che, forse, alcuni ambiti universitari, alcune realtà, sono un po’ impermeabili. Cioè, magari, tra i vari collettivi, che non siano per forza di stampo transfemminista e vicini alle nostre idee politiche, c’è questa vicinanza comune: questo sostenere determinate tematiche. Però, andando più in ambito universitario, si fa ancora fatica ad arrivare a determinate consapevolezze: c’è ancora molta ignoranza.
Ci sono dei rischi di non arrivare, veramente, a tutti? Anche questo che avete detto, del femminismo mainstream. Pensate che possa diventare un ostacolo per un collettivo come il vostro?
Sofia. Il rischio c’è sempre […]. Però, la nostra speranza è quella di, in qualche modo, con l’autoformazione, attività pubbliche, bazzicando nell’ambiente universitario… di avvicinare gli studenti. Anche con il percorso politico.
Giorgia. Il fatto che facciamo eventi, spesso pubblici […]. È anche un’occasione: persone che non ne sanno niente, magari, passano lì davanti, danno un’occhiata, vedono un cartellone, magari ti fanno una domanda. Il fatto di essere così radicati sul territorio è una delle forze.
Se doveste fare un bilancio di questi anni: vi portereste a casa un bilancio positivo?
Roberta. Per quanto mi riguarda, un bilancio positivo. Da zero, abbiamo iniziato a fare dei ragionamenti su questi temi, in Università. Positivo, che abbiamo stretto tante relazioni in città.Positivo, che anche se, ad oggi, non abbiamo uno spazio, c’è un progetto: che fa qualcosa, di concreto.
Giorgia. Banalmente, anche solo come esperienza personale, il bilancio è iper-positivo. Nel senso che impari tantissimo: dalle casistiche che ti si presentano davanti, ma anche dall’esperienza collettiva. C’è da dire che rimane sempre il problema dello spazio.
Questa è una nota dolente.
CREDIT: Le foto sono state gentilmente concesse dal collettivo “La MALA Consilia”. Non è possibile farne uso, in nessun caso, senza il di loro consenso espresso.