Stop dello stop di auto diesel e benzina
5 Marzo 2023Holy Spider, il film vietato dal regime iraniano
6 Marzo 2023La vita davanti a sé, per i tanti Momò
L’opera teatrale, con Silvio Orlando, si chiude con tre semplici parole “bisogna voler bene”.
La vita davanti a sé, lo spettacolo teatrale in cartellone questa stagione, con protagonista Silvio Orlando, vincitore per la stessa del Premio Le Maschere del Teatro Italiano 2022 come “Miglior monologo”, ci introduce un tema drammaticamente attuale. Quello della convivenza fra diversi, culture, religioni, stili di vita, ma anche pensieri che dimorano in maniera differente nella testa di adulti e bambini, che solo nei libri sembrano dialogare con maggiore facilità.
La trama de La vita davanti a sé
Tratto dall’omonimo romanzo pubblicato nel 1975 e adattato per il cinema nel 1977, al centro di un discusso Premio Goncourt, La vita davanti a sé di Romain Gary è la storia di Momò, (la voce narrante) un bambino arabo di dieci anni che in realtà scopre di averne quattordici. Vive nel quartiere multietnico di Belleville nella pensione di Madame Rosa, anziana ex prostituta ebrea che abbandonata la professione per mantenersi ha tirato su un piccolo orfanotrofio clandestino, per cui ottiene sussidi, prendendosi cura di ragazzi abbandonati o figli di colleghe più giovani.
In questo intenso e commovente romanzo si parla di amore e di accudimento, si racconta di vite alla deriva,ma che alla fine trovano il loro riscatto. Spazio anche per qualche momento di ironia soprattutto quando ci si rende conto che chi dovrebbe essere protetto e salvato diviene inconsapevolmente la vera colonna portantedella storia. Silvio Orlando, con la sensibilità e la maestria attoriale che gli appartengono, ci conduce abilmente dentro le pagine di questo libro con la leggerezza di quel bambino, ritornando lui stesso alla sua infanzia.
Romain Gary, raccontando il dopoguerra parigino, sembra leggerci una pagina contemporanea, presagio di crisi economiche, flussi migratori e grandi conflitti internazionali. Ma nel suo racconto c’è spazio per la speranza, per un abbraccio, è una storia che ci parla dell’importanza degli altri, senza cui è impossibile poter vivere, una storia che ci invita a osservare le persone che ci stanno intorno pur diverse da noi e andare incontro alle loro necessità.
Per tutti i Momò che erano sul barcone che si è spezzato
Necessità che forse non sono state pienamente comprese in questi giorni in cui divampa la polemica sull’ennesima tragedia del mare. Quanti Momò (diminutivo di Mohamed) erano su quel barcone che si è spezzato nelle acque davanti alla costa di Crotone, desiderosi di andare incontro a un futuro migliore? Ne sono morti sedici (nella speranza che questo numero non debba essere aggiornato) fra quei minori imbarcati, restituiti ormai cadaveri dalla marea alla spiaggia. Provenivano da paesi differenti dall’Afghanistan, dall’Iran, dal Pakistan, ma tutti avevano un denominatore comune la fuga. Salpati dalla Turchia, come tutti i bambini avevano solo esigenze primarie proprio come il nostro Momò, che spesso commetteva piccoli furti e svariate marachelle per bramare attenzione e magari un abbraccio.
Rimangono ormai sulla sabbia vestititi, giochi abbandonati e la vita spezzata di chi non è riuscito a raggiungere un’esistenza più decorosa. In molti sostengono che non sarebbero dovuti partire, che è stato imprudente affrontare un viaggio in tali condizioni, ma da secoli l’uomo affronta il mare, è una sfida che si rincorre e in questo tacito accordo prevale sempre l’obbligo e la regola di tendere una mano a chi si trova indifficoltà fra le sue onde.
Come possiamo condannare chi pur rischiando di morire cerca di dare un futuro più dignitoso e libero ai propi cari? Ci siamo probabilmente anestetizzati al dolore, l’indifferenza fa ormai parte delle nostre vite, ma non dovremo perdere la rotta e la memoria di un passato che ci restituisce a nostra volta un trascorso damigranti, non dovremo quindi accantonare l’empatia e la compassione verso il prossimo e il diverso e principalmente dovremo ogni tanto indossare i panni dell’altro.
Come il libro anche l’opera teatrale si chiude con tre semplici parole “bisogna voler bene” cerchiamo di far nostre questi semplici parole, ne abbiamo tutti un gran bisogno.
I CREDITI FOTOGRAFICI SONO DI LAILA POZZO