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17 Maggio 2023Mafia-imprenditoria: come le organizzazioni criminali diventano invisibili
Abbiamo realizzato un approfondimento su mafia e riciclaggio di denaro, attraverso le imprese esistenti, proprio come è accaduto nel caso di Matteo Messina Denaro, alias Andrea Bonafede, che risultava dipendente di una srl di Bentivoglio di Bologna (sede legale), con sede operativa a Campobello di Mazara, operante nei settori ambiente, nolo, trasporti e pulizie.
Non solo pizzo, droga, omicidi, traffico di armi e azzardo. Tra le attività illecite condotte dalle organizzazioni mafiose anche le infiltrazioni nelle imprese pulite, ad esempio, e il conseguente riciclaggio di denaro sporco. Così la mafia di oggi tende a diventare sempre più invisibile, mimetizzandosi in attività legali.
Il cambiamento della mafia nel corso degli anni
Una trasformazione, susseguitasi nel corso degli anni, che ha fortificato le più grandi organizzazioni malavitose, consentendo il consolidamento del potere mafioso su tutto il territorio nazionale. Il fenomeno delle infiltrazioni della mafia nell’economia legale è sempre più frequente e, nel corso degli anni, ha consentito di triplicare i guadagni rispetto a quelli generati con business più tradizionali, legati al traffico di droga, alle estorsioni, al traffico di armi e al gioco d’azzardo.
Vere e proprie aziende che fatturano 40 miliardi annui
La mafia, infatti, secondo una stima della Cgia guadagna circa 40 miliardi di euro annui che costituiscono più del 2% del Pil nazionale attraverso proventi ascrivibili all’infiltrazioni della criminalità organizzata nelle diverse aziende. Tuttavia, è sorprendente come attività illegali riescano a prendere parte al Pil in Italia e, a sottolinearlo, è l’Ufficio Studi Cgia di Mestre: “Se a parole tutti siamo contro le mafie, nelle azioni concrete non sempre è così”. Dal 2014, l’Unione Europa consente con apposita normativa a tutti i Paesi membri di conteggiare nel Pil alcune delle attività illecite facendo in modo da far lievitare di 17,4 miliardi di euro la ricchezza nazionale. A questi 17,4 miliardi vanno aggiunti anche circa 79,7 miliardi di euro celati dalle sottodichiarazioni, 62,4 miliardi di euro dal lavoro in nero e altri 15,2 miliardi di altri profitti nascosti al fisco.
Il paradosso: le organizzazioni criminali hanno il ruolo di “portatori di benessere economico”
Si tratta del regolamento (UE) n. 549/2023 del Parlamento Europeo e del Consiglio emanato il 21 maggio 2013 che ha rivisitato il Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nell’Unione Europea ai fini del SEE. La normativa, ha definito le politiche dell’Unione e il monitoraggio delle economie degli Stati Membri e dell’unione economica e monetaria. Secondo tale regolamento, infatti, la Commissione avrebbe dovuto utilizzare aggregati dei conti nazionali e regionali ai fini amministrativi dell’Unione e contribuire al monitoraggio delle economie degli Stati membri dell’UEM. E’ stato istituito, inoltre, un sistema di conti nazionali che corrisponde alle esigenze della politica economia, sociale e regionale della Comunità.
Grazie a questa scelta, denuncia la CGIA, alle organizzazioni criminali verrebbe riconosciuto seppure indirettamente il ruolo di “portatori di benessere economico”. Nel dettaglio, è come se buona parte della ricchezza dell’Italia sia dovuta agli introiti illegali delle mafie. Un fatto piuttosto ambiguo visto che, il governo italiano è stato sempre in prima linea nella lotta contro la criminalità organizzata. Parere negativo anche dalla Banca d’Italia secondo la quale la penetrazione nell’economia italiana non riguarda solo i territori del meridione, bensì il Centro e il Nord e, nello specifico, le città di Latina, Roma, Genova, Imperia e Ravenna, con oltre 17,4 miliardi di euro provenienti da attività illecite legate alle organizzazioni criminali.
Secondo l’Eurispes la mafia genera ricavi per 220 miliardi
Appare ancora più strano, come la criminalità organizzata riesca a generare ricavi per oltre 220 miliardi di euro, secondo le stime dell’Eurispes, contribuendo alla formazione del Pil italiano di circa 11 punti percentuali. Considerate delle vere e proprie holding finanziarie, organizzazioni criminali sono riuscite nel tempo a consolidare il proprio potere, infiltrandosi in imprese apparentemente pulite e sfruttando il tessuto imprenditoriale per riciclare i proventi delle attività illegali. Nel mirino, figurano le imprese con maggiori difficoltà dovute al calo di fatturato, degli ordinativi, una diminuzione degli investimenti o uno squilibrio fra domanda e offerta: la mafia, disponendo di ingenti risorse finanziarie si offre di aiutare le imprese italiane chiedendo l’ingresso nel circuito imprenditoriale. Tra le attività preferite dai mafiosi, quelle immobiliari, quelle del trasporto, del commercio di ingrosso e dettaglio, dell’edilizia, quelle attive in ambito logistico e quelle sanitarie, attività che, seppur in difficoltà, potrebbero conseguire alti indici di redditività.
Come le organizzazioni mafiose riciclano il denaro sporco
Va analizzato il modus operandi utilizzato dalla criminalità organizzata per rendere invisibili i lori proventi illeciti. Si tratta di tre step fondamentali che le organizzazioni malavitose utilizzano per ripulire i frutti delle attività illegali.
Il “placamento”
Attraverso il “placamento” o più comunemente chiamato collocamento, il denaro contante viene trasformato in maniera scritturale con l’ausilio di depositi bancari o attraverso istituti di credito o di intermediazione finanziaria, avvalendosi di diversi collaboratori che frazionano l’intera somma da riciclare al fine di eludere i controlli.
Il Layering
Successivamente, si passa al Layering o stratificazione, con il quale si elimina ogni traccia contabile e ogni rapporto connesso tra i beni o denaro e le attività delittuose commesse. Per queste operazioni vengono utilizzate banche con sede nei paradisi fiscali.
L’integrazione
Infine, si dà il via all’integrazione con la quale il denaro viene ripulito e coperto da anonimato e reinvestito nell’economia legale. Naturalmente, queste operazioni comportano dei costi dovute alle tassazioni e alle varie commissioni che la mafia accetta di pagare.
La relazione della DIA
A confermare i dati del riciclaggio adoperato dalle organizzazioni criminali, anche la relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia del 2021 (la più recente). Le movimentazioni finanziarie di stampo mafioso sono in continua crescita. Dati sempre più allarmanti che, tuttavia vengono monitorati da un severo sistema di controlli. Secondo le stime della DIA, infatti, nel primo semestre 2021 si sono registrate circa 68.534 operazioni sospette con una crescita del 26% rispetto all’anno precedente. Il sistema dei controlli ha selezionato circa 11.915 segnalazioni di operazioni sospette, di cui 2.459 riconducibili al fenomeno mafioso.
Dalla Chiesa il primo a studiare le infiltrazioni mafiose nel tessuto imprenditoriale
“Ma mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. Vede, a me interessa conoscere questa accumulazione primitiva del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti. Ma mi interessa ancora di più la rete mafiosa di controllo , che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci, procura le vie di riciclaggio e controlla il potere, il segreto bancario”. Ed è con questo pensiero che il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, assassinato dalla mafia il 3 settembre 1982, iniziò le proprie indagini sulle presunte infiltrazioni mafiose nel tessuto economico italiano. Ed è sempre lui che per la prima volta ha parlato della capacità del fenomeno mafioso di generare la propria ricchezza su quotazioni in borsa e su partecipazioni societarie. Segno di un’escalation di “affari” svolti dalla mafia che va dallo sfruttamento della prostituzione, alla corruzione, alle estorsioni, ai traffici di droga e di armi fino al mondo degli affari e dell’alta finanza facendo in modo di diventare “invisibile” nel tempo.
I blitz in Sicilia per intrecci mafia-imprenditoria
Per fare alcuni esempi, diversi sono stati i blitz in cui le Forze dell’ordine hanno ricostruito la mappa degli affari di Cosa Nostra infiltratasi nel sistema imprenditoriale siciliano.
Tredici supermercati
L’operazione portata a termine nel 2022 dalla sezione Gico della Guardia di Finanza ha permesso di ricostruire gli affari delle famiglie mafiose all’interno della rete di supermercati controllati dal gruppo Gamac Group S.r.l, società di proprietà del noto imprenditore Carmelo Lucchese che controllava 13 supermercati dislocati tra Palermo, Bagheria, Carini, Bolognetta, San Cipirello e Termini Imerese. Secondo l’accusa, l’imprenditore Lucchese si sarebbe rivolto al boss per liberarsi di alcuni soci e sbaragliare la concorrenza facendo in modo di espandersi territorialmente con l’apertura di nuovi punti vendita del settore agroalimentare. Nell’ambito dell’operazione furono sequestrati beni per un valore di oltre 150 milioni di euro.
Anche nella provincia di Agrigento, la mafia ha le mani sul settore della grande distribuzione organizzata. A dimostrarlo sono i fatti avvenuti nel 2008. Gli inquirenti hanno scoperto le infiltrazioni mafiose anche in fase di progettazione del grande centro commerciale “Le Vigne” di Castrofilippo. Con l’operazione denominata “Agorà”, gli uomini della squadra mobile su richiesta della DDA di Palermo eseguirono i provvedimenti di custodia cautelare nei confronti degli imprenditori Luigi Messana, Angelo di Bella e Vincenzo Leone di Canicattì, oltre a Calogero Costanza e Gerlando Monreale di Favara e del capomafia di Canicattì Calogero Di Caro. Le accuse si concentrarono sull’associazione a delinquere di stampo mafioso per aver favorito l’allora latitante Giuseppe Falsone. Nella medesima operazione fu eseguita anche una maxi confisca di beni.
Ecco l’attuale organizzazione di Cosa Nostra in Sicilia.
Tuttavia, in Sicilia la mafia è tutt’ora un’organizzazione ben strutturata. Ed è la DIA a parlare della struttura della criminalità organizzata su tutta l’isola.
L’attuale mappatura di Cosa nostra, da Catania a Palermo
Gli uomini della direzione investigativa antimafia hanno tracciato la mappa del potere criminale sulla Sicilia con cambiamenti sulla parte orientale con i clan di Catania nel pieno della propria operatività. Il capoluogo siciliano continua ad essere suddiviso in 8 mandamenti composti da 33 famiglie mentre la provincia si compone in 7 mandamenti capeggiati da 49 famiglie. Si tratta delle zone di San Lorenzo Tommaso Natale, Resuttana, Porta Nuova, Pagliarelli, Noce, Passo di Rigano Boccadifalco, Villagrazia Santa Maria di Gesù e Ciaculli. Sette, sono i mandamenti della provincia: Partinico, Misilmeri, Belmonte Mezzagno, Villabate Bagheria, Trabia, San Giuseppe Jato, Corleone e San Mauro Castelverde.
A Catania, continuano a regnare le storiche famiglie Santapaola-Ercolano e Mazzei con influenza dei clan Cappello-Bonaccorsi, Laudani, Pilleri-Di Mauro, Sciuto, Cursoti, Piacenti e Nicotra. Nella provincia trapanese, invece, sussistono 4 mandamenti, ovvero, quello di Trapani, Alcamo, Mazara del Vallo e Castelvetrano capeggiati da 17 famiglie. A Enna, invece, Cosa nostra è articolata nelle famiglie di Villarosa, Calascibetta, Enna, Pietraperzia e Barrafranca mentre a Vittoria regna la cosiddetta stidda con egemonia del clan Dominante-Carbonaro che continua ad essere il sodalizio di maggiore influenza. Sempre secondo la relazione della DIA, i Madonia controllano i mandamenti di Mussomeli e Vallelunga Pratameno, mentre a Riesi e Gela operano le famiglie degli Emmanuello e dei Rinzivillo. Nel territorio dei nebrodi, invece, ci sarebbe il controllo della famiglia Mistretta che sarebbe legata a quella di San Mauro Castelverde. Il quadrante nord della città di Siracusa viene controllato dal sodalizio Nardo-Aparo-Trigila, mentre nel contesto urbano operano i Bottato e gli Attanasio, fortemente legali al clan Cappello di Catania.