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Ecco che cos’è il “Made in Italy”, approvato il 31 maggio, che destina un miliardo per acquisire quote di minoranza in “imprese nazionali ad alto potenziale o di imprese nazionali che, in ragione della rilevanza sistemica già raggiunta, possono generare importanti esternalità positive per il paese e ridurre i costi di coordinamento tra gli attori delle filiere coinvolte”.
Parafrasando Checco Zalone in Quo Vado verrebbe da chiedersi: ‹‹Ma sono veramente di centrodestra questi?››. Il nuovo Governo, infatti, si sta distinguendo sempre più per l’introduzione di una serie di nuovi divieti e reati e lo fa con orgoglio.
Non disdegna di aumentare la spesa pubblica, aumentare la stampa di moneta, promettere pre-pensionamenti per tutti, rifiutare il mercato su balneari, tassisti e servizi pubblici locali, propone norme per limitare gli affitti brevi.
Lo fa un po’ per convinzione ideologica, un po’ per un affannato tentativo di far notare la propria identità poiché in politica estera non si sta discostando dal precedente Governo, un po’ per compiacere le proprie lobbies di riferimento.
Un fondo “sovrano” o “sovietico”
In pochi però si aspettavano che il Governo avrebbe partorito un fondo “sovietico” , anche se loro in realtà lo hanno chiamato “sovrano”. È una delle misure inserite nel decreto, chiamato in maniera linguisticamente non-sovrana “Made in Italy”, approvato il 31 maggio che destina un miliardo per acquisire quote di minoranza in “imprese nazionali ad alto potenziale o di imprese nazionali che, in ragione della rilevanza sistemica già raggiunta, possono generare importanti esternalità positive per il paese e ridurre i costi di coordinamento tra gli attori delle filiere coinvolte”.
Sintetizzando, si prende un miliardo delle tasse dei cittadini per metterlo in un organismo pubblico che dovrà intervenire nel capitale di alcune imprese private per indirizzarle “verso l’infinito e oltre”.
Che cos’è un fondo sovrano
Il primo punto critico è un equivoco sulla natura stessa di cosa sia un fondo sovrano, che, in realtà, è uno strumento adottato dai Paesi con un forte avanzo valutario, i quali lo finanziano con i proventi derivanti dalle esportazioni, per poi investirli all’estero in attività finanziarie o partecipazioni.
Si tratta prevalentemente di Paesi esportatori di petrolio che quindi non utilizzano i loro fondi sovrani per sostenere le imprese nazionali, ma anzi acquistare quote di produttori all’estero e accrescere la loro influenza in altri mercati.
Siccome l’Italia non è il Qatar, la Norvegia o l’Arabia Saudita, il Fondo Sovrano/Sovietico italiano altro non è che una riedizione del compianto Ministero delle Partecipazioni Statali, soppresso nel 1994 dal Governo Ciampi. Ma, entrando nel dettaglio, ci accorgiamo del cortocircuito cui stiamo andando incontro.
Il fondo da un miliardo potrebbe arricchirsi con afflussi privati, ma pare comunque una cifra modesta, se è vero che si tratta di una misura rivoluzionaria. Al contrario, per chi la ritiene inutile se non dannosa, un miliardo è anche troppo.
Quali sono le imprese “ad alto potenziale”
La dotazione di un miliardo suggerisce che gli interventi saranno in piccole aziende, che. se hanno bisogno di un Socio pubblico, è perché tanto bene non vanno e magari stanno per fallire.
Del resto, le aziende “ad alto potenziale” (quelle indicate testualmente dall’articolato del decreto) fondamentalmente non hanno problemi di capitalizzazione e difficilmente sarebbero liete di avere lo Stato come Socio.
Quindi il Fondo ha come obbiettivo l’aiuto ad imprese che non hanno bisogno di quel tipo di aiuto.
Verrebbe da chiedersi, poi, chi e secondo quale metodo deciderà quali sono le “imprese ad alto potenziale” o quelle che “generano esternalità positive per il Paese” oggetto del decreto? Come farà questo burocrate illuminato a sapere quale impresa sarà determinante per il futuro della nazione? E se fosse così abile da vederci un’opportunità di remunerazione, perché non dovrebbe investirci per conto suo? Come del resto i privati chiamati ad arricchire il plafond da un miliardo.
Chi ci dice, a questo punto, che non corriamo il rischio di veder impiegati questi soldi dei contribuenti italiani per accontentare le pressioni politiche provenienti da associazioni di categoria, gruppi di consenso o “cacicchi” locali?
Il precedente del Patrimonio Rilancio
Una cosa del genere insomma, c’era da aspettarsela piuttosto da un Governo statalista, dirigista e, infatti, l’aveva già fatta Giuseppe Conte tre anni fa.
Si chiamava Patrimonio Rilancio, ricavava i fondi da Cassa Depositi e Prestiti e metteva a disposizione oltre quaranta miliardi di euro. Di cosa ne è stato di quello strumento, quanto sia stato speso, si sa ben poco. Ciò che sappiamo è che esiste ancora, non ha prodotto effetti benefici e ne abbiamo appena creato un doppione in miniatura, però questo si chiama “sovrano”. È vero.
Quote di minoranza dello Stato in società strategiche
Lo Stato Italiano già possiede quote di minoranza in società strategiche che realizzano decine di miliardi di utili – Ferrovie, Poste, Leonardo, Eni, Enel, Fincantieri – com’è giusto che sia in una economia avanzata.
E il nostro ordinamento già prevede strumenti collaudati per apportare capitale e favorire partnership pubblico-privato, basti citare Cdp Equity e il Fondo Strategico Italiano. Non è stato fatto niente di migliorativo quindi.
L’attesa riforma del mercato dei capitali è ferma
In Senato, inoltre, è ferma da tempo la riforma del mercato dei capitali, che contiene una serie di semplificazioni per rendere più agevole l’ingresso in Borsa delle piccole-medie imprese. Perché le imprese che hanno intenzione di crescere preferiscono usare il mercato, piuttosto che un fondo “sovrano”.
Ed è nelle dinamiche di mercato che entra in gioco il fattore attrattivo del Made in Italy, perché la presenza e l’influenza imprenditoriale italiana nel mondo esistono già, anche senza fondo sovrano. Sono queste imprese i veri ambasciatori nel mondo del Made in Italy.
Un Fondo Sovrano/Sovietico alimentato con credito venduto al risparmio, potrebbe essere anzi dannoso per le nostre eccellenze leader nelle esportazioni e nell’innovazione, che si vedrebbero ridurre credito disponibile.
Le imprese dallo Stato non si aspettano investimenti nel capitale di rischio, ma semplificazioni, sgravi, servizi di qualità, giustizia civile efficiente.
Per dare risposta ai nostri campioni del Made in Italy e futuri tali non serve nostalgia dell’Unione Sovietica o del Ministero delle Partecipazioni Statali, ma ricordarsi quale è il ruolo delle casse statali nella struttura produttiva italiana: operare un supporto pubblico selettivo agli investimenti orientati alla crescita.