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Abbiamo visitato I luoghi cari a Vincent Van Gogh. Nel 2023 ricorrono i 170 anni dalla sua nascita e abbiamo voluto conoscere meglio dove ha vissuto, dove è stato curato, dove i suoi occhi hanno incrociato i paesaggi.
Andare sulle tracce di un uomo, di un pittore come Vincent Van Gogh nel 2023 in cui ricorrono i 170 anni dalla sua nascita è quasi un dovere morale. Ripercorrere i luoghi a lui più cari, dove ha vissuto, dove è stato curato, dove i suoi occhi hanno incrociato i paesaggi che con grande maestria ha saputo trasferire su tela, è emozionante quanto necessario, per capire l’artista, ma soprattutto la sua natura. Schivato, etichettato come pazzo durante tutta la sua intera esistenza, considerato un peso economico dall’adorato fratello Theo (durante il suo processo artistico era riuscito a vendere soltanto un quadro). Con la sua morte il suo nome è divenuto leggenda, portandolo a essere uno dei pittori più idolatrati in tutte le latitudini. Lo documentano le numerose mostre a lui dedicate come quella sold out conclusasi da poco a Roma.
Il Van Gogh Museum di Amsterdam compie cinquant’anni
Nei centri a lui dedicati come il Van Gogh Museum di Amsterdam, che quest’anno celebra i cinquant’anni dalla sua creazione, dove è esposto il principale nucleo pittorico dell’artista, conferito allo Stato dagli eredi in cambio di cospicue percentuali, è sempre crescente il numero degli ammiratori.
Il Kroller Muller Museum a Otterlo
Grande folla anche al Kroller Muller Museum a Otterlo, istituito grazie alla facoltosa Helene Kroller-Muller che, anticipando i tempi, intuì la forza di queste opere, a partire dai primi del Novecento riuscì infatti a acquisire ben 88 quadri e 180 disegni su carta.
Ma cosa cercano o, meglio, vedono i visitatori nelle opere di Van Gogh?
Forse una speciale tensione emotiva, più degli altri suoi colleghi, Vincent ha saputo andare oltre, facendo prevalere l’interiorità sull’esteriorità. I colori, le forme, non erano propriamente quelle che vedeva, ma quelle che interpretava. Van Gogh riusciva a dipingere in presa diretta ciò che sentiva e a trasferirlo immediatamente su tela. Era un visionario e per l’epoca che stava vivendo rappresentava il futuro, anche per questo la sua arte non era compresa. Sembra di vederlo mentre si addentra in un campo di girasoli per assorbirne gli odori, il calore, le infinite tonalità. Attraverso i suoi quadri è possibile specchiarsi e venire in contatto con le nostre debolezze, le sue fioriture parlano dell’infinito che lui percepiva dentro se stesso, rendendolo prossimo al divino. Nell’istituto in cui è stato curato c’è ancora il suo minuscolo alloggio, qui sono stati creati infiniti capolavori dal valore inestimabile. Nessuna diagnosi di malattia mentale gli è mai stata certificata, anche il dottor Peyron direttore della clinica di Saint Paul de Mausole che frettolosamente gli diagnosticò una forma di epilessia, fu costretto dopo qualche settimana dal suo ingresso a ritrattarla, non avendo constatato sintomi effettivi. Piuttosto ciò di cui era affetto Vincent aveva a che fare con la malinconia attiva che non portava di fatto alla depressione, ma piuttosto a una forma di espressione compulsiva che, attraverso l’uso della tavolozza cercava di assecondare. Questa fu infatti la cura che una volta dimesso, doveva seguire, dipingere solo e soltanto dipingere.
Un quadro al giorno
Negli ultimi 70 giorni della sua vita mediamente dipingerà un quadro al giorno, seppure non riuscendo a sublimare questa sua grande tristezza, che lo porterà a porre fine alla sua vita, inducendolo evidentemente a considerare di avere terminato la sua missione su questa terra e a passare il testimone ai successori. Ma sulla sua fine archiviata come un suicidio, ancora oggi sono svariate le supposizioni e gli interrogativi mai risolti. La sua storia passa anche attraverso questo mistero. Dai colori che usava, nella sua prima parte espressiva sicuramente più cupi e foschi, si lascia spazio nelle fasi successive al giallo e al blu, colori brillanti, raffinati, fra i più amati dal pittore, consentendo ancora oggi a chi li osserva di gioire, di essere rapiti dalle loro infinite declinazioni che raccontano la pienezza della vita, più che la sua parabola discendente.