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La nostra inchiesta sulla strategia adottata da Teheran per infiltrarsi silenziosamente in Occidente, in America e in Europa.
Parte I: l’Iran Experts Initiative negli Usa
La Repubblica islamica dell’Iran non è così lontana dall’Occidente come spesso, a parole, viene fatto intendere.
E la recente partecipazione di Ebrahim Raisi, Presidente iraniano, alla 78esima sessione dell’Assemblea Generale dell’ ONU del 19 settembre a New York, dimostra infatti che, nonostante nel suo Paese il regime continui ad uccidere e giustiziare innocenti, Teheran e le sue autorità non sono isolate.
Ma a svelarci di più è un’inchiesta congiunta tra Iran International e Semafor che conferma che l’Iran è da anni, in particolare dal 2013, attivo in una politica di soft power. Dal report emerge che tre collaboratori di Robert Malley (Rappresentante speciale statunitense per l’Iran messo in congedo obbligatorio a giugno di quest’anno in seguito alla sospensione del suo nulla osta di sicurezza nel mezzo di un’indagine in corso) facevano parte di una rete affiliata al governo iraniano denominata Iran Experts Initiative.
Un piano, questo dell’Iran Experts Initiative, istituito dal Ministero degli Esteri iraniano nel 2013 al fine di:
– espandere il soft power
– rilanciare l’immagine del regime a livello internazionale
– promuovere le posizioni di Teheran sulle questioni di sicurezza globale, in particolar modo sul suo programma nucleare
– costruire rapporti con accademici e ricercatori stranieri influenti.
Il dossier si basa su migliaia di email scambiate, sopratutto nel 2014, tra diplomatici iraniani e membri della rete. Tra questi compare anche Mostafa Zahrani, membro del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie, diplomatico veterano della Repubblica islamica, nonché consigliere di Mohammad Javad Zarif, ex ministro degli Esteri iraniano. Le mail risultano attendibili perché contengono copie di passaporti, curriculum, biglietti aerei, domande di visto, ricevute di pagamento, documenti accademici, e gettano una luce diversa sulle operazioni effettuate del ministero degli Esteri iraniano durante i negoziati nucleari con le potenze mondiali.
Quello che emerge è una strategia tentacolare e nascosta adottata da Teheran, una strategia che silenziosamente è riuscita ad infiltrarsi in Occidente, in America e in Europa.
Che cos’è l’Iran Experts Initiative
“Ammorbidire l’immagine di Teheran ed inserire l’Iran all’interno dei dibattiti diplomatici internazionali” con questa frase si potrebbe sintetizzare l’obiettivo dell’Iran Experts Initiative, la “rete giovanile” formata alla fine del 2013, anno dell’elezione di Hassan Rouhani, e non è un caso, visto che lo scopo dell’allora presidente iraniano era quello di trovare un accordo con l’Occidente sulla questione nucleare, e ridare così un volto “nuovo” all’Iran.
Per creare l’IEI erano stati reclutati analisti, ricercatori, studiosi, scrittori iraniani di alto profilo con il fine di promuovere le politiche di Teheran nel mondo. Saeed Khatibzadeh (mente del progetto) e in quel periodo occupato all’ambasciata iraniana a Berlino, in una mail del 5 marzo 2014 diretta a Majid Takht Ravanchi, uno dei principali negoziatori nucleari iraniani di quegli anni, e a Zahrani, scrive:
«L’IEI è formata da un gruppo centrale di 6-10 distinti iraniani di seconda generazione che hanno stabilito affiliazioni con i principali think-tank internazionali e istituzioni accademiche, principalmente in Europa e negli Stati Uniti».
Chi faceva parte dell’IEI è riuscito, grazie al propria autorevolezza e prestigio, ad essere inserito in contesti diplomatici di stampo internazionale e a lavorare per importanti think tank occidentali, fornendo consulenza agli Stati Uniti e all’Europa. E qui arriviamo a Robert Malley. L’inchiesta rivela che Ariane Tabatabai, Ali Vaez e Dina Esfandiary, collaboratori di Malley, erano membri dell’Iran Experts Initiative, in quanto i loro rapporti con la Repubblica islamica non erano strettamente “formali”, ma molto stretti e interessati.
In una mail dell’11 marzo è proprio Khatibzadeh che comunica a Zahrani che dopo un incontro avvenuto a Praga ha ottenuto il sostegno per l’IEI da due giovani accademiche: Ariane Tabatabai e Dina Esfandiary.
Il dubbio che i colloqui e gli incontri diplomatici avvenuti in quegli anni siano stati, in qualche modo, “manipolati” da ingerenze provenienti da Teheran sorge spontaneo. Nel report diffuso da Semafor si legge:
«I partecipanti all’IEI sono stati prolifici scrittori di editoriali e analisi e hanno fornito approfondimenti in televisione e su Twitter, propagandando regolarmente la necessità di un compromesso con Teheran sulla questione nucleare – una posizione in linea con le amministrazioni Obama e Rouhani dell’epoca».
Sintetizzando si può dire quindi che la formazione dell’Iran Experts Initiative trova linfa in un contesto politico iraniano che vuole avvicinarsi all’Occidente (quello di Rouhani appunto), e che cerca di farlo attraverso personalità credibili, tra cui anche i tre collaboratori di Malley.
Ariane Tabatabai, Ali Vaez e Dina Esfandiary, e le loro coinvolgimento nell’IEI
Compreso lo scenario in cui avvengono questi scambi, cerchiamo ora di capire meglio chi sono i tre collaboratori di Malley citati nel dossier.
Ariane Tabatabai. Tabatabai è una funzionaria del Pentagono, un ruolo che richiede un nulla osta di sicurezza del governo degli Stati Uniti. Una posizione messa a rischio in queste ore in quanto alcuni senatori statunitensi hanno sollecitato il Pentagono a revocare l’autorizzazione di Tabatabai.
Oltre che essere un ex ricercatrice del think tank “RAND Corporation”, professoressa associata di studi sulla sicurezza presso la Georgetown University, e consulente civile internazionale per la NATO, in passato ha lavorato come diplomatica nel team di negoziazione nucleare iraniana di Malley dopo che l’amministrazione Biden è entrata in carica nel 2021.
Dal report emergono corrispondenze tra Tabatabai e Zahrani che non si possono definire propriamente formali. In una mail, ad esempio, domanda all’allora Presidente degli Esteri consigli ed opinioni se accettare o no un invito per partecipare a un incontro in Israele e lavorare con funzionari in Arabia Saudita.
Ali Vaez. Partiamo da chi è: Direttore del progetto Iran dell’International Crisis Group. Ha guidato gli sforzi del Crisis Group per contribuire a colmare il divario tra l’Iran e il P5+1, conducendo all’accordo sul nucleare del 2015; è stato inoltre spesso citato in qualità di analista da vari giornali statunitensi, tra cui il New York Times, il Wall Street Journal, il Washington Post e il Los Angeles Times.
Membro dell’IEI, Vaez chiese a Zahrani una revisione per un articolo che aveva scritto e che doveva essere ancora pubblicato. «Attendo con ansia i vostri commenti e feedback» ha scritto in farsi il 4 giugno 2014, riporta il dossier. Zahrani condivise poi l’articolo con il ministro degli Esteri Zarif.
Il pezzo, in origine intitolato The Conceptual Perils of Nuclear Diplomacy with Iran, divenne False Dilemmas in the Iran Talks, anche se non è dato sapere se le correzioni provenissero da Teheran, i suoi rapporti con le autorità iraniane sembrano comunque essere più che professionali.
Dina Esfandiary. Esattamente come Vaez, fa parte dell’International Crisis Group, fornendo consulenza al programma Medio Oriente e Nord Africa. In precedenza, è stata membro del dipartimento per il Medio Oriente alla Century Foundation, ricercatrice presso l’Harvard Kennedy School’s Belfer Center e consulente dell’International Institute for Strategic Studies di Londra. Nel 2015 con Tabatabai, Esfandiary scrisse un articolo dal titolo Mission Impossible: Iran Is Too Powerful to Contain, sostenendo che l’Iran era una potenza impossibile da contenere. Il suo nome, assieme a quello di Tabatabai, compare nella mail dell’11 marzo 2014 (citata nel paragrafo precedente) tra Khatibzadeh e Zahrani e che confermava la sua adesione nell’IEI.