Il mondo Senzatetto
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Africa occidentale: prosegue la nostra analisi su cosa sta accadendo in quest’area del Continente “conteso”.
Il mosaico del continente africano che nelle ultime settimane stiamo cercando di comporre, si arricchirà, attraverso questo articolo, di altri tasselli. Passeremo in rassegna i Paesi dell’intero arco che si affaccia fra l’Atlantico ed il Golfo di Guinea.
L’Africa occidentale
La regione occidentale è composta da una molteplicità di Paesi, anche di piccole dimensioni, che si riconoscono nella comunità Ecowass, istituita nel 1975, un organismo transnazionale con l’ambizioso obiettivo di favorire una progressiva confederazione economica, politica e militare fra i suoi componenti.
Che cos’è l’Ecowass
Dopo la stagione della Guerra Fredda, i Paesi dell’Ecowass si sono indirizzati verso forme di democrazie e multipartitismo più o meno funzionanti e consolidate, tant’è che laddove colpi di Stato o prese di potere autoritarie hanno sovvertito l’ordine istituzionale, l’organizzazione ha reagito con la sospensione immediata e la minaccia di intervento miliare per ripristinare lo stato delle cose.
È il caso del Burkina Faso, del Niger, del Mali )che già abbiamo trattato nell’articolo precedente) e della Guinea. La regione è prevalentemente di stampo francofono ed anglofono, con le eccezioni della Guinea-Bissau e delle Isole di Capo Verde che, invece, furono colonie portoghesi.
Le varie Guinea
Piccolo inciso: da non confondere la Guinea, la Guinea-Bissau e la Guinea Equatoriale, tre Stati distinti fra loro a cui, allargando lo sguardo oltre l’Africa, potremmo aggiungere anche la Papua Nuova Guinea, nell’Oceano Pacifico.
L’arcipelago di Capo Verde, in particolare, è ancora strettamente legato al Portogallo, soprattutto culturalmente, tanto che la sua valuta è agganciata al valore dell’euro con un regime di cambio fisso e le istituzioni locali da tempo chiedono di avviare i negoziati per aderire addirittura all’Unione Europea. Del resto, basterebbe dare uno sguardo veloce alla bandiera ufficiale di Capo Verde per cogliere il forte sentimento europeista che aleggia su queste isole paradisiache al largo dell’Atlantico.
Ma non lasciamoci illudere perché, al di là delle spiagge capoverdiane, si estende un’area in cui gli impulsi anti-occidentali dominano le azioni dei Governi e delle popolazioni.
Il Senegal piace alla Turchia
A cominciare dal Senegal, principale dirimpettaio dell’arcipelago di Capo Verde, in cui circa un anno fa, il Presidente Macky Sall, lo stesso Presidente che pochi mesi fa ha fatto arrestare il principale leader dell’opposizione con l’accusa di “corruzione di giovani” ed ha bloccato l’accesso ad Internet per limitare le proteste, ecco proprio questo Presidente, rimproverò l’Unione Europea di essere la responsabile di una imminente carestia nell’intera Africa, a causa delle sanzioni inferte alla Russia, a seguito dell’invasione in Ucraina. Qualcuno avrebbe dovuto raccontargli che mentre intonava tali presagi, Putin teneva bloccate nel Mar Nero venti milioni di tonnellate di grano. Molto attiva in Senegal è soprattutto la Turchia, con cui durante il Business Forum di fine settembre ha siglato cinque nuovi accordi, a conferma di un sodalizio che nell’ultimo decennio ha fatto registrare un aumento del valore dell’interscambio commerciale fra i due Paesi di oltre sedici volte. Sono state ditte e fondi turchi a costruire a Dakar, l’aeroporto internazionale, il centro sportivo, il mercato e attraverso la compagnia Tika, pozzi e sistemi di depurazione della acque.
A gestire invece l’infrastruttura portuale di Dakar sono gli Emirati Arabi.
Sul finire dello scorso anno, inoltre, il Senegal ha plastificato la sfida a distanza fra Stati Uniti e Cina. Alla visita ufficiale del Segretario del Tesoro di Washington, Janet Yellen, fece seguito di pochissimi giorni l’arrivo di funzionari governativi di Pechino, che già da tempo hanno messo le loro firme sui principali contratti di sviluppo economico senegalesi, con un occhio di riguardo sul centro-dati di raccolta informazioni digitali.
Il Gambia e la Cina
La mano lunga della Cina non si è fatta sfuggire nemmeno il piccolo Gambia e soprattutto le sue preziose riserve ittiche. Dalle coste del Gambia, sino alla Mauritania, Pechino ha installato quaranta fabbriche per la trasformazione del pescato in farina di pesce che, poi, in Cina viene data in pasto ai maiali. Fa niente se in questo modo si stia alterando l’ecosistema marino e sociale di quella porzione di Atlantico, anzi il Presidente del Gambia è così felice che per ringraziare Xi Jinping, il 31 ottobre 2023 ha annunciato la fine delle relazioni diplomatiche fra il suo Paese e Taiwan per motivi di “interesse nazionale”.
Guinea-Bissau
Non va meglio in Guinea-Bissau, in cui le aziende cinesi praticano un disboscamento senza precedenti, che non preoccupa le istituzioni locali, forse perché impegnate a sottoscrivere contratti per l’acquisto di navi da guerra e di elicotteri dalla Russia, come avvenuto nell’autunno dello scorso anno.
La Guinea e tantissimo ferro
Nell’altra Guinea, la Cina gioca una partita più strategica, puntando con forza la più grande riserva mondiale di ferro non sfruttata al mondo, quella di Simandou. La richiesta di ferro dalle parti di Pechino è destinata ad aumentare ancora e l’ambizione della nomenclatura del Partito Comunista è di ridurre al minimo le importazioni di questo minerale dall’Australia, oggi suo principale fornitore. La soluzione della Guinea che, grazie a questa riserva, secondo gli studi di Fitch, potrebbe aumentare la propria produzione di ferro del 570% nel 2026, sarebbe la chiusura perfetta del cerchio, con tanto di fiocco. Rosso naturalmente.
Anche i sempre presenti emiratini coltivano interessi nel territorio, attraverso la remunerativa gestione del porto di Kamsar.
La svendita degli ecosistemi marini e forestali
La svendita degli ecosistemi marini e forestali è una fenomeno molto frequente nella regione del Golfo di Guinea, dove oltre al già citato caso del Gambia, la Sierra Leone ha ceduto ai cinesi uno dei suoi tratti di costa più belli, Black Johnson, tra la altre specie faunistiche, oasi anche per balene e delfini, oltre che di antilopi nel suo retroterra.
In questi oltre duecentocinquanta ettari di spiaggia e foresta pluviale, le aziende di Pechino realizzeranno un porto industriale, con impianti di gestione dei rifiuti marini e di stoccaggio del pesce. A nulla sono servite le sollevazioni delle popolazioni locali e di organizzazioni internazionali, come a nulla sono servite anche nella confinante Liberia, per un caso molto simile.
La Liberia e il commercio di foresta pluviale
Qui, il Presidente George Weah, ex-calciatore del Milan, ha ceduto una gestione trentennale di un milione di ettari di foresta pluviale alla Blue Carbon Ilc, società degli Emirati Arabi, che li investirà in compensazione per i crediti di carbonio.
Una forma di greenwashing allo stato puro, sdoganata nell’ultima Cop27.
L’accordo è stato tenuto segreto sino all’agosto di quest’anno, quando una fuga di notizie proveniente da fonti governative, ne ha fatto emergere parte dei dettagli, alimentando il già denso fumo di corruzione che incombe da anni negli ambienti istituzionali della Liberia. Gli Stati Uniti, storici alleati del Paese (basti osservare le similitudini fra i due vessilli nazionali) hanno condannato ben cinque funzionari del Governo di Weah, negli ultimi tre anni, proprio per corruzione. Tuttavia l’ex calciatore che spesso e volentieri si allontana dal suo Paese per diversi mesi non se ne preoccupa, così come non si preoccupa delle sempre più frequenti manifestazioni di protesta dei suoi cittadini che lamentano la carenza di beni di prima necessità e l’inflazione alle stelle. Weah ha trovato il tempo, tuttavia, di rinnovare gli accordi con la Cina, sulle politiche per il trasporto marittimo e garantendosi degli sconti sulle tasse portuali, in caso di scalo nei porti cinesi.
La Costa d’Avorio
Uno dei principali motori economici dell’Africa Occidentale è la Costa d’Avorio, che durante il recente Expo di Dubai, ha fatto sapere di avere nel mirino l’obiettivo del miliardo e mezzo di dollari di investimenti internazionali. L’Accordo di Partenariato Economico con l’Unione Europea, che esenta da dazi e quote tutte le sue esportazioni, è soltanto un mattoncino di questo progetto, in cui la parte del leone la giocano i finanziamenti cinesi, diversificati nel settore dell’alimentazione dell’acqua potabile, di progetti nel settore sanitario, nell’estensione dell’aeroporto di Fèlix (abbr.) e nel secondo terminal del porto di Abidjan.
Tuttavia, la contaminazione culturale più diffusa in Costa d’Avorio è quella russa, con intere trasmissioni televisive e radiofoniche che quotidianamente passano in rassegna la propaganda putiniana, come il caso del breve cartone animato, divenuto un fenomeno social locale, in cui un miliziano russo armato di mitragliatrice, a bordo di una jeep, viene avvicinato da un soldato ivoriano che gli dice qualcosa del tipo: «La Costa d’Avorio ha bisogno di te. Giù con l’imperialismo, giù con la Francia!».
Sintomo di un allarme securitario, amplificatosi nel Giugno del 2020, quando nella località di Kafolo al confine con il Burkina Faso, si sono intensificati gli assedi dei terroristi islamici. Negli ultimi tre, quattro anni, l’attivismo dei gruppi jihadisti si è esteso dal suo epicentro originario del Sahel, andando ad interessare anche le zone settentrionali dei Paesi costieri dell’Africa Occidentale e generando centinaia di migliaia di rifugiati.
La penetrazione terroristica, in molti di questi casi, si associa a preesistenti commandi di criminali e briganti, trasformando intere aree in zone di approvvigionamento e di organizzazione logistica, in cui praticare traffici illeciti di armi e droga, come avviene ad esempio nella località di Cinkassé, in Togo.
Il Togo
Per far fronte alle minacce, la leadership politica togolese, che potremmo definire senza essere smentiti una democrazia dinastica e autoritaria, lo scorso anno, ha incaricato il suo Stato Maggiore, di prendere in consegna dalla Russia tre elicotteri da combattimento. Una conferma del primato militare del Cremlino nell’Africa, come avevamo approfondito nel primo articolo di questa serie. Africa, terra di business – La Redazione
Una vicinanza quella di Putin, che già si era osservata ai tempi Covid, quando il Togo fu uno dei Paesi che si affidò alla somministrazione del vaccino Sputnik V.
Il Benin
L’attività jihadista si è manifestata anche in Benin, dove nel 2019 vennero rapiti due turisti francesi nel parco del Pendjari. Proprio dal Benin, nell’estate del 2022, il Presidente francese Macron aveva accusato la Russia di essere “una delle ultime potenze imperiale coloniali” rimaste al mondo. Nonostante i segnali autoritari della guida del suo ricco Presidente, la crescita economica del Paese è una delle più significative dell’area, sostenuta dalle esportazioni di cotone e dagli investimenti in opere infrastrutturali, che rendono questa piccola lingua di terra uno snodo vitale per gli scambi commerciali fra le comunità del Golfo di Guinea.
Il Benin, insieme ai già citati Togo e Costa d’Avorio, oltre a Burkina Faso e Ghana, è coinvolto nella Accra Initiative, un organismo orientato a sviluppare strategie coordinate nella lotta al terrorismo islamico.
La stabilità politica manifestata in elezioni regolari tenutesi negli ultimi trent’anni, rende il Ghana un dei Paesi più democratici del continente africano, virtù che tuttavia non le ha permesso di evitare una congiuntura di difficoltà economiche che ha indotto il Governo ad annunciare la sospensione dei pagamenti sul suo debito estero.
Ad accogliere questa richiesta è stata la Cina, lasciando in forte imbarazzo il Fondo Monetario Internazionale.
Il Ghana
L’Università del Ghana aveva già preparato il terreno con la diplomazia culturale, impegnandosi a potenziare l’insegnamento della lingua cinese nel Paese.
Anche la Turchia è impegnata in progetti di sviluppo ghanesi e affiderà a proprie imprese la costruzione del terzo terminal dell’aeroporto internazionale di Accra.
Fenomeno trainante di molte economie della regione è il settore degli idrocarburi, che il Ghana ha implementato abbastanza recentemente con la scoperta dei principali giacimenti avvenuta soltanto nel 2007 e l’affidamento del sito alla compagnia norvegese Aker Energy. Le ambizioni di diventare esportatori di oro nero di rilievo, sono aumentate anche in Costa d’Avorio con la scoperta da parte di Eni del giacimento di Baleine, avvenuta nel 2021. Il Benin infine è parte in causa del più importante progetto in questo senso, l’oleodotto di oltre due mila chilometri che collegherà la sua area portuale al sito estrattivo di Agadem, nel cuore del Sahel. Un progetto a cura della China National Petroleum Company, che permetterà di quintuplicare le esportazioni di barili.
La Nigeria, lo Stato che avrà più abitanti dell’Unione europea
A dominare il mercato del petrolio dell’Africa Occidentale è però la Nigeria, il Paese più popolato in assoluto dell’intero continente e secondo le proiezioni demografiche, nei prossimi decenni, conterà da solo più abitanti di tutta l’Unione europea messa insieme o degli Stati Uniti d’America.
Sin dalla sua indipendenza dalla Corona Britannica, la superficie nigeriana è imbrigliata in una trama di malgoverno, corruzione, iperburocrazia, iniquità, ingiustizie, superstizioni, in cui si intrecciano le varietà di lingue, etnie e religioni che la compongono. Una trama così intricata che non possiamo dipanare in poche righe. Ci basta citare il dato di World Poverty Clock secondo cui quasi metà della sua popolazione vive in condizioni di povertà estrema, con il paradosso che l’area del Paese maggiormente interessata da questa situazione di fragilità è proprio quella più ricca di petrolio, ovvero la regione del Delta del fiume Niger. La mancanza di un quadro normativo adeguato e la dilagante corruzione delle classi politiche locali, hanno fatto sì che le attività di esplorazione ed estrazione di oro-nero, anziché generare benefici economici per le comunità locali, provocassero soltanto danni ambientali e igienici irreversibili.
I terroristi Boko Haram
Il quadro della Nigeria è ulteriormente aggravato dalle dinamiche securitarie, con le incessanti rivendicazioni separatiste nel Sud del Paese e le violenze indiscriminate dei terroristi del gruppo Boko Haram, nel Nord-Est.
Le scorribande efferate Boko Haram sono una costante anche nel confinante Camerun, impegnato anche, nella sua porzione più Occidentale, con un altro fronte aperto dal 2017, dagli indipendentisti anglofoni.
Il Camerun in funzione anti-Australia
In questo scenario di instabilità, il Governo camerunense ha tuttavia perso il sostegno degli Stati Uniti che nel 2020 hanno rimosso il Paese dal loro programma di partenariato per la cooperazione in materia di sicurezza, a causa delle documentate frequenti violazioni di diritti umani.
A garantire la fornitura militare è subentrata la Russia con cui il 12 aprile 2022 è stata siglata una intesa in tal senso. Un modo anche per Putin di mettere al sicuro i propri appetiti economici in Camerun, come gli investimenti di Gazprom e le mire di Lukoil al largo di Kribi. Due imprese cinesi, invece, si stanno occupando della costruzione di una linea ferroviaria per collegare la costa camerunense a un giacimento di ferro al confine con la Repubblica del Congo. Una operazione che ha fatto andare su tutte le furie l’amministrazione dell’Australia, cui già erano state accordate le licenze per questa infrastruttura. Una conferma dell’attivismo di Pechino per limitare le potenzialità l’Australia, che già abbiamo osservato qualche rigo più in su.
La Guinea Equatoriale che dal 1979 ha lo stesso Capo
Chiudiamo questa lunga, ma speriamo interessante carrellata, con un piccolo Paese molto particolare e poco conosciuto che, per ragioni facili da comprendere, non è membro dell’Ecowass, ma ne può essere geograficamente (e soltanto geograficamente) assimilato. Composta da due isole (Bioko e Annobon) e da un’area interna rigogliosa di foresta pluviale, la Guinea Equatoriale è un mondo un po’ a parte. Qui governa ininterrottamente dal 1979 Teodoro Obiang, il Capo di Stato in carica da più tempo al mondo, secondo soltanto al sultano del Brunei.
Obiang e la sua famiglia (il figlio è il Vice-Presidente del Paese) sono detentori di un potere assoluto su tutto il territorio nazionale. Dispongono degli introiti delle concessioni petrolifere attraverso la GePetrol, di cui sono essi stessi amministratori, rinchiudono oppositori e personaggi scomodi nelle galere di Black Beach, di cui in gioventù proprio Teodoro Obiang fu Direttore, ruolo oggi comunque ricoperto da un altro dei suoi figli. Consentono il deposito di rifiuti tossici e scorie radioattive nell’isola di Annobon, a tutto danno della popolazione locale.
Recentemente hanno anche deciso di spostare l’attuale capitale Malabo, situata sull’isola di Bioko, nell’area interna ed hanno individuato un luogo nel cuore della foresta, dove presto sorgerà dal nulla Ciudad de La Paz, un centro amministrativo iper-moderno, della cui costruzione si occuperanno aziende cinesi, brasiliane e nord-coreane.
L’Africa Occidentale è tutto questo e molto altro. Abbiamo preferito soffermarci soprattutto sulla dinamiche delle relazioni internazionali e degli aspetti legati alla sicurezza, ma siamo consapevoli che analizzare uno Stato nella sua interezza comprenderebbe tante altre materie. Quest’area non è esente, ad esempio, dagli impatti del cambiamento climatico, manifestatosi attraverso innalzamenti del livello del mare ed erosione della costa. Fenomeni che generano conflitti interni agli stessi territori, fra contadini, pastori e pescatori in competizione fra loro per le risorse naturali, fenomeni che alimentano la mobilità migratoria sia interna alla regione, sia indirizzata verso le rotte nordafricane dirette in Europa. Lo scacchiere d’Africa – La Redazione
Attività migratorie a cui contribuiscono uno dei tasso di natalità più alti al mondo e l’attività di malfattori e organizzazioni locali che, con il solo scopo di arricchirsi, vendono ai loro conterranei disperati sogni, spesso irrealizzabili e che trovano di frequente il loro epilogo in drammi durante le traversate nel deserto o nel cuore del Mar Mediterraneo.