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“I bambini che rientrano in questa “eccezionalità neurologica” dimostrano abilità sorprendenti in aree specifiche e una curiosità molto sviluppata”, ci spiega il dottor Foti.
“Gli indirizzi per la plusdotazione rivolti al mondo scolastico sono stati pubblicati soltanto nel 2019 attraverso la nota Miur 562, c’è ancora tanta diffidenza rispetto al riconoscimento di questa particolare “abilità”, soprattutto da parte delle famiglie che non vogliono sottoporre i loro ragazzi ai test per paura di comportamenti discriminanti nei loro confronti”.
A parlarci di questa categoria ancora poco conosciuta è Alessandro Foti*.
Ci può meglio tracciare l’identikit dei bambini plusdotati: il loro è un dono o una maledizione?
“Non esiste ancora una linea condivisa nel mondo scientifico; comunque si può parlare di plusdotazione quando si presenta tra le altre cose, un disallineamento (asincronia) fra le capacità emotive e quelle cognitive. I bambini che rientrano in questa “eccezionalità neurologica” dimostrano abilità sorprendenti in aree specifiche e una curiosità molto sviluppata, preferiscono la compagnia degli adulti rispetto a quella dei loro coetanei, hanno un quoziente intellettivo superiore alla media. Si inizia a parlare di plusdotazione quando il punteggio rilevato attraverso specifici test supera il campione normativo medio, attestandosi sopra un Ql di 120.
Sicuramente non è un dono, la loro intelligenza passa attraverso una rete neurale molto più ramificata che permette un processo cognitivo più veloce; a questo si aggiungono altre caratteristiche quali, a esempio, un’estrema sensibilità. Tendono a isolarsi, si sentono diversi perché le loro capacità intellettive risentono di una struttura di ragionamento differente, e questo li porta a dover gestire importanti disagi emotivi”.
Quindi le loro potenzialità rischiano di non emergere dove necessario?
“Infatti hanno difficoltà soprattutto a scuola dove spesso tendono a annoiarsi e a non impegnarsi. Possono incorrere in grandi insoddisfazioni e in stati depressivi, talvolta per uniformarsi agli altri mascherano i segni distintivi che li caratterizzano.
Contrariamente a quanto si possa pensare, questi bambini possono esperire grandi difficoltà, sentirsi non compresi, faticare ad armonizzarsi con i loro compagni e con la didattica “classica” che non risponde al loro peculiare modo di apprendere e pensare”.
Come possono essere aiutati?
“La scuola, seppure non sufficientemente attrezzata e preparata sull’argomento, ha un ruolo cruciale nell’intercettarli e nel poter fornire loro un percorso adeguato. Si possono distrarre molto facilmente, disturbare in classe con atteggiamenti iperattivi o comportamenti provocatori o al contrario sembrare apatici. Il metodo tradizionale proposto non è in grado di suscitare interesse, hanno bisogno di attenzioni particolari e mirate.
Secondo un sondaggio dell’Università Lumsa di Roma realizzato nel 2018, condotto su un campione di 500 insegnanti, solo il 15% dei docenti aveva dimostrato di conoscere la plusdotazione”.
La scuola quindi come riesce a fronteggiare questa problematica?
“Nonostante la plusdotazione non sia considerata un disturbo genera alunni particolari con difficoltà caratteriali e di apprendimento che devono essere gestite. I bambini e i ragazzi che vengono riconosciuti tali possono rientrare fra quelli ritenuti bisognosi di supporti educativi speciali, BES e avere diritto a piani di studio personalizzati. Si tratta sicuramente di un riconoscimento importante, seppure tardivo, e ancora non capillare”.
Gli psicologi invece come possono intervenire?
“Cerchiamo di sensibilizzare verso il tema ancora troppo in ombra, inoltre proponiamo che già in età prescolare e scolare primaria vengano eseguiti gli specifici test cognitivi, in modo da identificare precocemente le loro peculiarità. Puntiamo anche a fornire una formazione specifica agli insegnanti: esiste un progetto guidato dalla Professoressa Lang di ARP che coinvolge alcune scuole nelle province di Milano e Pavia, che intende attuare proprio specifici percorsi di sensibilizzazione”.
La plusdotazione può essere aiutata a emergere? E in quanto tempo?
“Sicuramente questa che noi definiamo una “frattura” può essere migliorata con un percorso personalizzato che può durare indicativamente da sei ai dodici mesi, meglio se supportato anche dalle famiglie”.
*laureato in Scienze dell’educazione e formazione e in Psicologia del lavoro e delle Organizzazioni. Ha svolto un corso di specializzazione presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II – “Disturbi del comportamento alimentare” e una Summer school presso l’Università La Sapienza di Roma sul tema “Applicazioni scientifiche in ambito forense”. Sta completando un Master post-laurea in Psicodiagnostica presso ARP – Studio Associato di Psicologia clinica di Milano. Tiene lezioni al Master in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.