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Dieci suicidi: questi i drammatici numeri degli Istituti Penitenziari italiani relativi a questo 2024, iniziato da pochissime settimane.
Il tema, spesso ignorato, torna alla ribalta solo quando una morte desta più scalpore di altre, magari per la giovane età. Così, sul muro di indifferenza che separa i cattivi dai buoni, si apre per un attimo una crepa dalla quale filtrano le storie dei detenuti, ma spesso, troppo tardi.
Il suicidio di Matteo Concetti
Una di queste storie è quella di Matteo Concetti, di 25 anni, morto il 5 gennaio in una cella di isolamento nel carcere di Montacuto, ad Ancona, avrebbe finito di scontare la sua pena ad Agosto di quest’anno. Il giovane era finito nel carcere di Fermo per reati contro il patrimonio, ma aveva in seguito ottenuto l’accesso ad una pena alternativa. Durante questo periodo lavorava in una pizzeria, poi un giorno Matteo era rientrato un’ora dopo l’orario previsto per il ritorno a casa. Così il giudice lo ha fatto ritornare in carcere a Fermo e in seguito è stato trasferito ad Ancona. Matteo era affetto da disturbo bipolare e il suo avvocato aveva provato a far capire che il suo assistito non era compatibile col regime carcerario, presentando un parere medico che attestava il suo problema psichiatrico, ma il Tribunale aveva respinto la richiesta facendolo tornare in carcere, dopo appunto la vicenda della violazione dell’orario di rientro a casa. In seguito Matteo finisce in isolamento per aver tirato uno sgabello ad un agente della polizia penitenziaria. Matteo non voleva tornare in isolamento, era impaurito e agitato. La madre, Roberta Faraglia, che ha intrapreso una battaglia per fare chiarezza sulla morte del giovane figlio, racconta delle sue richieste di aiuto: “Mamma, mi devi portare fuori di qui. Non ce la faccio più. Devi chiamare Ilaria Cucchi, qui mi fanno fare la fine di Stefano”. Poche ore prima del drammatico gesto aveva detto ai genitori che se lo avessero riportato in isolamento si sarebbe ucciso.
La donna racconta di aver chiesto aiuto a tutti, ha implorato le guardie di non lasciarlo solo, ha chiesto aiuto all’infermiere che era venuto per dargli una terapia che non hanno voluto fargli prendere. Ha chiamato il cappellano, gli avvocati e il tutore ma non è stata ascoltata e poche ore dopo Matteo si è impiccato. La donna ha intrapreso una lotta per rendere giustizia al figlio Matteo, accanto ad Ilaria Cucchi, alla quale aveva scritto proprio poche ore prima che il giovane si togliesse la vita.
Aperto un fascicolo per istigazione al suicidio
La Procura di Ancona ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio.Questa è in breve la storia di Matteo. Molti i quesiti ai quali l’inchiesta contro ignoti avviata dal pm Marco Pucilli speriamo possa trovare delle risposte. Matteo era compatibile col regime carcerario? Ha ricevuto le cure necessarie per la sua patologia? Perché il medico del carcere ha dato parere positivo allo spostamento di Matteo in cella di isolamento?
Matteo non c’è più e grazie alla lotta che sta conducendo sua madre e all’interessamento della senatrice Ilaria Cucchi ora conosciamo la sua storia, arrivata in Parlamento anche grazie agli interventi dei senatori Verducci e Scalfarotto.
La situazione attuale degli istituti penitenziari
Ma di storie come quella di Matteo ce ne sono molte, a causa di un regime carcerario che presenta una serie di problematiche che da molti anni non vengono affrontate.
Ne avevamo parlato nel settembre 2022 con Rita Bernardini, presidente dell’associazione “Nessuno Tocchi Caino” che da molti anni si occupa di carceri e giustizia. In quel momento avevamo parlato del tragico numero di suicidi e Rita ci aveva parlato di sovraffollamento, del numero non sufficiente di figure professionali fondamentali all’interno degli istituti penitenziari come psicologi, educatori e medici, dell’ampia fetta di detenuti in attesa di giudizio e di come la nostra Costituzione parli di pene, non solo di carcere. Insomma, il ricorso a questo tipo di reclusione non dovrebbe essere standard, ma probabilmente potrebbe essere l’extrema ratio a cui fare ricorso in assenza di altre possibilità più “leggere” e più adatte alla rieducazione, soprattutto in casi come quello di Matteo Concetti.
La situazione dopo circa due anni non è di certo migliorata, negli istituti ci sono più di 60mila detenuti, a fronte di 47mila posti disponibili, istituti sovraffollati e spesso fatiscenti. Internazionale.it in un articolo del 9 gennaio di Giuseppe Rizzo riporta i dati dell’associazione Antigone, i quali attestano come circa il 10 per cento dei detenuti ha problemi psichiatrici gravi e circa uno su tre fa uso di antipsicotici o antidepressivi ma le ore di aiuto psichiatrico sono in media circa dieci a settimana per ogni cento detenuti, e diciotto quelle per il sostegno psicologico.
La somministrazione di sedativi
Essendo insufficienti queste figure professionali, si tenta di tamponare il problema con l’alta somministrazione di sedativi, assunti dal 42,4 per cento dei detenuti. In molti istituti penitenziari non sono presenti reparti specifici per detenuti con problemi psichici e le rems (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), che hanno sostanzialmente sostituito gli Opg sono insufficienti.
Pertanto, non è un azzardo dire che in molti casi i nostri istituti sono diventati una vera e propria “discarica sociale” nella quale riversare chi ha problemi psichiatrici o di dipendenze da droghe e alcol, che potrebbero essere curati altrove in maniera più efficace.
Come affrontare l’emergenza?
A breve termine occorrono riforme per dare respiro, maggiore ricorso alle misure alternative, più possibilità di lavoro Tutto ciò, rimarrà di difficile attuazione se la politica continuerà ad essere intrappolata all’interno dei luoghi comuni sul tema e di un giustizialismo di fondo, che non fa bene a nessuno, né “dentro” né “fuori”. A lungo termine occorre invertire la rotta a livello culturale, giorno dopo giorno, facendo conoscere le reali condizioni di vita all’interno degli istituti, un esempio è l’iniziativa “Devi vedere” di Radicali Italiani, grazie alla quale entrano in visita ispettiva all’interno delle carceri i cittadini che ne fanno richiesta. Va dimostrato come il binomio per cui più carcere significa più sicurezza non funziona, come dimostrano i dati della recidiva di chi accede a misure alternative e chi sconta l’intera pena in carcere e gli esempi virtuosi di alcuni Paesi europei.
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, intervenuto il 25 gennaio all’Inaugurazione dell’anno giudiziario, ha parlato tra le altre cose di una nuova fase in cui agire nel senso di un attuazione della funzione rieducativa della pena e coniugare l’etica con l’utilità del recupero sociale del reo.