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L’isola domina nel settore ittico, ma si lavora anche tanto prodotto estero. Il pesce locale arriva al 20-30% dell’offerta.
Grazie alle sue marinaie, la Sicilia occupa il primo posto nel settore ittico nazionale. Pesce fresco servito sulle tavole dei siciliani, a volte anche frutto della trasformazione e della commercializzazione da parte di imprese locali che importano i prodotti ittici da altre parti del mondo.
Pesca in Sicilia, business da 1 miliardo di euro
Un business che vale oltre un miliardo di euro anche se per il 70% è rappresentata da prodotti che le imprese preferiscono lavorare importandoli da paesi esteri. Il pesce locale, infatti, arriva al massimo al 20 o 30% dovuto al fatto che la domanda supera di gran lunga l’offerta. Secondo i recenti dati Istat, sono circa 33 mila le tonnellate di pesce che viene pescato annualmente nelle coste dell’isola con un ricavato che può superare i 220 milioni di euro.
Le imprese preferiscono importare il pesce dall’estero
La struttura della filiera ittica siciliana è caratterizzata dalla presenza di circa 2.500 imprese individuali o a conduzioni familiare dedite alla commercializzazione del pesce mentre altre centinaia si occupano della trasformazione del prodotto. Il pescato raggiunge numeri esorbitanti con circa 15 mila tonnellate e portano ad un fatturato di circa 134 milioni di euro. Spazio anche alle piccole imprese con un ricavato di 37 milioni di euro grazie alle circa 5.000 tonnellate pescate. A seguire, le reti di circuizioni con seimila tonnellate ed un ricavano di circa 22 milioni di euro e i palangari che pescano oltre le 3.400 tonnellate annue con un fatturato di 19 milioni di euro.
Tra i metodi più usati lo strascico e i palangari fissi
Numeri notevoli che assegnano all’isola il primato per il settore ittico, dovuto anche alle sue coste lunghissime che raggiungono i 1.850 km. La pesca in Sicilia è caratterizzata anche dalle modalità con cui essa viene attuata. Il metodo più comune utilizzato, infatti, è il cosiddetto “strascico”, metodo più usato nelle località di Mazara del Vallo, Sciacca e Porticello. A Lampedusa, a Marsala e Porto Paolo di Capo Passero, invece, vengono utilizzati i palangari fissi. Nello specifico va fatta la distinzione tra palangari fissi e il metodo dello strascico. Il primo consiste in una pezzo di ferro calato in profondità nel mare, solitamente la notte, per poi essere tirato alle prime ore del mattino. Esso è costituito da una trave lunga centinaia di metri con dei braccioli su cui vengono attaccati più ami. E’ il metodo più utilizzato in quanto l’attrezzo può essere facilmente costruito ed è manovrabile.
Cosa assai diversa il metodo dello strascico, che consiste nel trainare attivamente una rete da pesca sul fondo del mare solitamente da una o più barche. Le reti hanno generalmente forma conica, apribile per estrarre il pescato. Lo strascico più utilizzato è la paranza che viene manovrata da un solo peschereccio oppure la sogliolara, una rete molto piccola usata per la pesca di pesci piatti, di molluschi bivalvi come le vongole. La pesca a strascico ha tuttavia degli impatti negativi sull’ambiente poiché è capace di distruggere tutto ciò che si trova sul fondale marino: alghe, pesci, invertebrati, coralli o posidonie.
Ad essere partecipi della trasformazione del mondo della pesca in Sicilia, sono soprattutto le imprese che dominano il mercato. Si tratta di circa106 realtà con fatturato complessivo di circa 430 milioni di euro, molte delle quali nascono proprio dove viene conservata una lunga tradizione di attività artigianali collegate alla lavorazione e alla trasformazione delle sardine, delle acciughe, dei tonni e dei pesci spada.
Pesca abusiva, ricci in via di estinzione
Una seria problematica è dovuta alla pesca abusiva che rischia di mettere a repentaglio l’esistenza di alcune specie viventi. I ricci di mare, per esempio, rimangono un cibo apprezzatissimo dai siciliani e non, ma stando ad alcuni studi del “Monitoring Paracentrotus – Mopa, occhio ai ricci”, il prodotto sta rischiando l’estinzione. A Capo Gallo, a Isola delle Femmine, a Isola di Ustica, a Capo Milazzo e al Plemmirio, i dati non sono rassicuranti. Le specie viventi sono rare o addirittura in alcuni punti assenti. Motivo che spinge i ricercatori a sospendere la pesca dei ricci per un periodo non inferiore a tre anni.