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12 Settembre 2024Putin va in Mongolia, ma non scatta l’arresto
Il Paese, firmatario dello Statuto di Roma nel 2000, sarebbe stato tenuto ad arrestare il capo del Cremlino, secondo il mandato emesso della Corte Penale Internazionale. Così non è stato.
Esattamente un anno fa, esattamente in questi giorni, Papa Francesco compiva il primo viaggio apostolico di un Pontefice, in Mongolia. Nessuno dei suoi predecessori si era spinto sino alle steppe mongole, dove su oltre tre milioni di abitanti soltanto poco più dell’1% è di fede cristiana. Un anno fa, esattamente in questi giorni, non perdemmo l’occasione di analizzare le sfumature di questa viaggio apostolico, dal significato religioso, ma anche politico. Vi invitiamo a rileggere quel focus, tornato più che mai d’attualità. Nelle ore precedenti quella missione, durante un collegamento video, Francesco si cimentò in un elogio alla grandezza della storia della Russia Imperiale di Pietro il Grande e Caterina II. Un elogio cui avrebbero fatto seguito parole di celebrazione della pax mongolica dinanzi alle autorità e ai fedeli del Paese asiatico. Esattamente un anno dopo, esattamente negli stessi giorni, a raccogliere il testimone lungo questo sentiero tracciato dal destino, è stato Vladimir Putin.
Putin in Mongolia
Il Presidente della Federazione Russa è volato in Mongolia, dove è stato accolto con il tappeto rosso, fra soldati a cavallo e la banda in formazione a riprodurre inni marziali. Alla faccia delle persone riversatesi a manifestare per le strade di Ulan Bator, la capitale mongola, con le bandiere dell’Ucraina e tanto di striscione “Via da qui il criminale di guerra Putin”. Alla faccia, soprattutto, del mandato di arresto pendente sull’inquilino del Cremlino, emesso della Corte Penale Internazionale, che la Mongolia avrebbe dovuto eseguire, in quanto Paese aderente al trattato istitutivo dell’organo. È stata questa, infatti, la prima visita di Putin in Paese membro della Cpi da quando il 18 Marzo 2023 i giudici dell’Aia (Paesi Bassi) lo hanno accusato di deportazione illegale di bambini ucraini. In base al trattato istitutivo della Corte, ovvero lo Statuto di Roma, i 124 Stati aderenti sono tenuti a trattenere i sospettati per i quali è stato emesso un mandato di arresto, se mettono piede sul loro territorio.
Ma non scatta l’arresto di Putin
La Mongolia, in quanto firmataria dello Statuto di Roma nel dicembre 2000, sarebbe stata quindi tenuta ad arrestare il capo del Cremlino. Così non è stato. Come ad esempio non è stato molte altre volte in passato. Spicca su tutti il precedente del 2015, quando l’allora Presidente sudanese Omar al-Bashir non è stato arrestato durante il suo viaggio Sudafrica, innescando rabbiose condanne degli attivisti per i diritti umani. I governanti del Sudafrica, altri paladini della legalità e dell’uguaglianza…andatevi a rileggere la nostra inchiesta sull’Africa per rinfrescarvi la memoria. Ciò accade di frequente, in quanto Cpi non ha una polizia propria e fa affidamento esclusivo sulla cooperazione dei suoi membri per eseguire eventuali mandati. Se ciò non avviene, si attiva una procedura di segnalazione all’Assemblea degli Stati Parte, che si riunisce con cadenza annuale, la quale poco può fare, oltre a comminare sanzioni verbali e al massimo deferire la questione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Vladimir Putin era sicuro del fatto suo quando è salito sull’aereo diretto a Ulan Bator, esibendo una prova di forza nei confronti della comunità internazionale a lui ostile. Ben lontani i tempi in cui l’epico condottiero mongolo Gengis Khan, con le sue conquiste sino al fiume Volga, rappresentava il peggior incubo per il popolo russo. A distanza di nove secoli, proprio la piazza dedicata a Gengis Khan, è stata il palcoscenico della sontuosa cerimonia benvenuto ideata per il Presidente russo.
Le relazioni diplomatiche tra Mongolia e Russia risalgono al 1921, con ambasciate stabilite reciprocamente nelle rispettive capitali. Nonostante a Ulan Bator sorga un monumento in memoria degli antenati vittime delle purghe del regime comunista, sostenuto dall’Unione Sovietica, che in Mongolia si è protratto per quasi tutto il secolo scorso, la posizione geografica e la dipendenza energetica la costringono a schiacciarsi diplomaticamente su Mosca.
La collaborazione Russia-Mongolia
Al centro dei colloqui, infatti, è rientrato il completamento e il potenziamento di un mastodontico gasdotto, che passerà dalla Mongolia, in direzione Cina. I negoziatori hanno elaborato inoltre progetti per l’espansione di una vecchia centrale termica di epoca sovietica, in grado di soddisfare un terzo del fabbisogno della capitale. La dipendenza energetica si materializza ulteriormente nel dato che attesta il 95% delle importazioni di petrolio proprio dalla Russia verso le steppe mongole. Oltre alla cooperazione sulle forniture di combustibili fossili, Putin e il suo omologo hanno siglato accordi di cooperazioni nei settori del commercio e dei trasporti, oltre a discutere dell’ampliamento di un corridoio economico fra Mongolia, Russia e Cina.
Per non ritrovarsi risucchiata dal peso specifico dei suoi due vicini ingombranti, in epoca recente, le autorità della Mongolia hanno implementato una varietà di relazioni estere, che le permette di ostentare una apparente equidistanza su questioni dirimenti e di diversificare la propria economia.
Il ruolo della Corea del Sud
Per accreditarsi in questa operazione di riposizionamento geopolitico, si avvale dall’amicizia con la Corea del Sud, con un cui condivide una radicata comunanza etnica e culturale. Il primo accordo bilaterale con Seoul è del 2006 e facilita i flussi di ingresso e le rimesse di lavoratori mongoli impiegati nella penisola coreana.
Grazie a questa partnership collaudata con la Corea del Sud, nel 2023, la capitale della Mongolia è stata la sede di un inedito trilaterale che ha visto la partecipazione della diplomazia degli Stati Uniti. In quell’occasione si è discusso prevalentemente di cooperazione in materia di cambiamento climatico, suggerita dai massicci giacimenti di risorse minerarie presenti nel sottosuolo della Mongolia. Un potenziale inesplorato che rende il Paese di Gengis Khan un partner ideale per molti governi e aziende occidentali. Non è un caso se alcuni rumors raccontano di Elon Musk interessato a produrre proprio lì le batterie della sua Tesla. Ci sono litio, nichel, manganese in abbondanza, oltre al molibdeno e la grafite, strategici per le celle solari e per i semiconduttori. Senza dimenticare i giacimenti di rame, uranio ed oro.Tutte materie critiche di cui il famoso Green Deal, elaborato dell’Unione Europea, è pieno zeppo di rifermenti fra le sue pagine. Non è un caso se nell’agenda di Bruxelles c’è una partnership con la Mongolia per diversificare le proprie forniture di questi elementi indispensabili per la transizione green, e affrancarsi dalla dipendenza cinese. Una partnership per rinforzare l’accordo di cooperazione Ue-Mongolia già in vigore dal 2017. Una contraddizione se si considera che la produzione energetica della Mongolia deriva al 95% da carbone e petrolio. Della transizione verde, da quelle parti, se ne infischiano, per farla semplice. In questo scacchiere internazionale sempre più complesso, i vertici dell’Unione Europea non hanno potuto alzare la voce contro le autorità di Ulan Bator, che anziché arrestare Putin gli hanno steso il tappeto rosso. Piccoli Paesi come la Mongolia, sino a pochi anni fa insignificanti, assumono una valenza tutta nuova, mettendosi a giocare con abilità sopraffine le partite fra le superpotenze. Esattamente un anno fa, in questi giorni, la Mongolia assumeva una dimensione globale grazie alla visita di Papa Francesco, mettendo in luce gli auspici di farsi riconoscere come attore geopolitico autonomo sulla scena mondiale. Esattamente un anno dopo, negli stessi giorni, di quella autonomia la Mongolia ha fatto uso e ha compiuto la sua scelta, quando anziché arrestare Putin gli ha steso il tappeto rosso, fra soldati a cavallo e la banda in musica, nella piazza dedicata a Gengis Khan.