Ex Ilva, il processo non si deve fare a Taranto

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Ex Ilva, il processo non si deve fare a Taranto

Il processo sui danni ambientali non si potrà celebrare in città perché vi potrebbe essere troppo coinvolgimento. Così potrebbero cadere in prescrizione alcuni reati. Nel frattempo oggi sono attese le manifestazioni di interesse delle holding per l’acquisizione dell’azienda.

“Fino ad allora, le sorprese sono dietro l’angolo, c’è da scommetterci”.

Così si chiudeva il nostro articolo del giugno di tre anni fa, quando dopo aver dato notizia della pronuncia del Consiglio di Stato contro la sentenza emessa dal Tar, di spegnimento dell’area a caldo di ex-Ilva, accennavamo al cronoprogramma dell’accordo fra lo Stato e la holding Am InvestCo Italy.

Gli ultimi tre anni dell’ex-Ilva

In questi tre anni, in effetti, le sorprese non sono mancate.

Gli indiani di Arcelor Mittal hanno salutato, nel capitale sociale è entrata Invitalia ed è nata Acciaierie d’Italia. Da Febbraio 2024 c’è un nuovo triumvirato di Commissari nominato dal Governo. Tutto questo mentre procede, massiccia e ininterrotta, una cassa integrazione che va avanti dal luglio 2019 e, nel frattempo, la produzione continua a scendere, inesorabilmente. Come se non bastasse, lo stabilimento continua ad assorbire denari pubblici: nella sola gestione Mittal e Acciaierie, lo Stato ha iniettato 1 miliardo, cui si devono aggiungere i successivi 320 milioni del prestito-ponte del Ministero dell’Economia e i 300 milioni paracadutati da Patrimonio Destinato. A fare da sottofondo a queste dinamiche, un intreccio intricatissimo di pronunce giudiziarie, arrivate non solo dal Tar e dal Consiglio di Stato, ma anche dal Tribunale di Milano, dalla Corte Europea dei Diritti dell’uomo e dalla Corte Europea di Giustizia. Quintali di carte bollate su e giù per il vecchio-continente, per cercare fare chiarezza su ogni aspetto della gestione passata e sul futuro della più grande acciaieria d’Europa.

L’ultima sorpresa è arrivata pochi giorni fa.

Non così sorprendente in realtà per chi era addentrato nei fatti. Loro se l’aspettavano prima o poi, più prima che poi a dir il vero, e infatti si dicono rammaricati per il tanto tempo perso. Secondo i giudici della sezione distaccata di Taranto della Corte d’assise d’appello di Lecce, il processo sui possibili danni ambientali provocati dall’ex Ilva non si può svolgere nella città di Taranto. Non nella città dove gli stessi membri del collegio giudicante, togati e popolari, vivono, dove potrebbero aver subito danni, dove anzi potrebbero essere addirittura parti lese e quindi non imparziali nelle loro decisioni.

Tutto da rifare, quindi.

Il processo sui danni ambientali non si potrà fare a Taranto

Annullato il verdetto di primo grado che risale al maggio 2021 e accolta la richiesta dei difensori di spostare il procedimento a Potenza. Lo avevano chiamato “Processo Ambiente Svenduto”. Le indagini erano iniziate nel 2008 con i dati sulle emissioni inquinanti e bisognerà attendere il 26 luglio 2012, quando la Procura di Taranto sequestra gli impianti dell’area a caldo ed ordina i primi arresti. Nel giugno 2013 lo stabilimento viene commissariato e il Governo nomina Enrico Bondi, poi sostituito negli anni successivi da una girandola di nomi.

A processo era finita la gestione di un’epoca, quella dei fratelli Riva, ma anche dirigenti, controllori e politici. Tra i 26 condannati in primo grado per un totale di 270 anni di pena, anche l’ex Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, l’ex Presidente della Provincia, l’ex Direttore Generale di Arpa Puglia. Si stabilì inoltre sia la confisca degli impianti dell’area a caldo che la confisca per equivalente dell’illecito profitto nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva forni elettrici, per una somma di 2,1 miliardi. I reati contestati andavano dall’associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, alla corruzione, alla concussione, all’omicidio colposo. Ma, adesso, a sedici anni dall’inizio delle indagini, come richiesto dalle difese degli imputati si deve ricominciare daccapo. Anche se la Procura potrebbe ricorrere in Cassazione contro questa decisione. 

Alcuni reati potrebbero cadere in prescrizione 

Con un pericolo dietro l’angolo e cioè la prescrizione di diversi reati. Un nuovo ingranaggio che alimenta una situazione di incertezza permanente che, tuttavia, non ha nessuna conseguenza sulla procedura di vendita del gruppo siderurgico. 

Attese le manifestazioni d’interesse 

La prossima data cerchiata in rosso, in tal senso, è il 20 settembre con la presentazione delle manifestazioni d’interesse da parte delle holding che decideranno di partecipare alla contesa. Sono almeno sei i player interessati all’acquisizione, ha fatto trapelare il Ministro Urso, alcuni di loro provenienti dal Canada, dall’Ucraina, dal Giappone. Il decreto Salva-infrazioni del 2023 aveva già messo al riparo le operazioni di vendita dalla sussistenza del sequestro degli impianti, consentendo il trasferimento dei beni dell’impianto se l’azienda è di interesse strategico nazionale.

Ulteriore chiarezza sarà fatta fra due settimane con la pubblicazione delle motivazioni della Corte d’Assise d’Appello di Lecce riguardo il trasferimento del Processo Ambiente Svenduto a Potenza e ci sarà, poi, da attendere l’udienza del Tribunale di Milano del 24 ottobre sull’applicazione della sentenza della Corte europea: se l’azienda inquina, va fermata.

Altre sorprese, sono dietro l’angolo.