Storie di Stadio / 45 anni fa il dramma di Vincenzo Paparelli

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Storie di Stadio / 45 anni fa il dramma di Vincenzo Paparelli

Un razzo sparato dalla curva romanista centrò in pieno volto il tifoso laziale.

Domenica 28 ottobre 1979, a Roma alle ore 15:00 si gioca il derby della Capitale. Il cielo è coperto, minaccia pioggia. Vincenzo Paparelli, tifoso laziale, come si conviene ai supporters che frequentano le Curve, è nella sua Nord già alle 13:30. 

Manca oltre un’ora al fischio di inizio e la domenica calcistica romana sta per cambiare definitivamente il suo destino e quello del calcio italiano. L’Italia del pallone (primo sport nazionale) di lì a poco farà i conti con un fatto di cronaca nera mai accaduto in uno stadio.

Sibili e razzi dalla curva Sud

Dall’interno dell’Olimpico, in particolare dalla Curva Sud, ritrovo del tifo romanista, si ode uno strano sibilo e si intravede una scia che attraversa tutto il campo da una parte all’altra delle tribune. La traiettoria compie quasi 200 metri e sospinta dal vento scavalca il tabellone luminoso posto sulla Curva Nord, dove siede anche l’inconsapevole Paparelli che sta mangiando un panino in attesa del match. Passano solo pochi secondi e la scena si ripete: altro “fischio” stridente e altra scia che svolazza sopra il terreno di gioco, finendo anch’essa oltre lo stadio dietro la Nord. 

Razzo in piena curva Nord

Le diverse migliaia di tifosi già presenti nei vari settori dell’Olimpico non hanno neanche il tempo di comprendere cosa stia accadendo quando vedono partire un altro razzo navale, che si alza dalla Sud romanista e finisce stavolta sui gradoni della Nord dove sono seduti i laziali. Stavolta, contrariamente alle precedenti, la traiettoria seguita dal razzo, nel suo percorso sopra il manto erboso, prosegue in direzione dritta per dritta, delineando una linea retta pressoché perfetta. Pochi secondi ed i presenti nella curva bianco-celeste comprendono la tragedia: uno dei tifosi presenti viene colpito in pieno viso dal razzo che gli si conficca in testa, trapassando un occhio: si scatena il panico tra i vicini di gradinata ed in particolare è la moglie Wanda, seduta accanto a Vincenzo Paparelli, che soccorre il marito colpito e caduto a terra, col volto coperto di sangue. 

Razzi di marina usati come coreografia

Vincenzo Paparelli, 33 anni e padre di famiglia, muore colpito in pieno viso da un razzo navale sparato da un teppista della tifoseria avversaria. 

All’epoca, negli ambienti del tifo da stadio, in particolare delle due tifoserie della Capitale, questo tipo di strumeno era “sperimentato” per scopi pirotecnici e coreografici. Si tratta, infatti, di razzi utilizzati in mare, quando occorre inviare una segnalazione di allarme o un ‘Sos’. Alcuni tipi di razzi, una volta esplosi in aria, restano accesi per poi spegnersi piano piano nella lenta discesa. La luce rimane in aria diversi minuti prima di scomparire. Probabilmente questo aspetto affascina le tifoserie che si sfidano a colpi di coreografie pirotecniche, oltre che di striscioni ironici e irriverenti. 

Si tratta di materiale (all’epoca) non vietato, ma pericoloso. Se ne sono resi conto i supporters bianco-celesti nella partita di Coppa Italia disputata dalla Lazio il 17 settembre contro il Vicenza: lanciandone un paio in aria hanno scoperto come la traiettoria sia  difficile da dirigere e controllare. Di razzi navali in quegli anni ne circolavano in commercio diversi tipi, tutti complicati da utilizzare: ad esempio un tipo di razzo aveva una sorta di percussore sotto, che sbattuto a terra faceva partire in aria l’anima interna luminosa. Un altro tipo, invece, funzionava tirando un gancio che provocava la percussione e la conseguente partenza dell’anima interna.

La maledetta domenica del 28 ottobre

Quella maledetta domenica del 28 ottobre del 1979, la “pancia” dell’Olimpico, come ricordano diversi testimoni attraverso alcuni racconti che si trovano sul web, avrebbe “custodito” numerosi razzi. Uno, come detto, colpisce Paparelli, che viene portato in ospedale ma pochi minuti dopo muore. La tragica notizia, intanto, nonostante all’epoca non esistessero né internet né i telefoni cellulari, viene ufficializzata alle 14:15 con un annuncio dagli schermi tv. In pochi minuti attraverso le radioline e con il passaparola tra i tifosi, il dramma diventa di dominio pubbico ed innesca un’altra miccia pericolosissima e incontrollata: il desiderio di vendetta.  

Caos e panico all’Olimpico

Qualcuno si lancia verso le vetrate che separano la Curva Nord dalla “Tribuna Tevere non Numerata”, per cercare di aprire un varco ed arrivare fino alla Curva Sud. Altri tentano un’operazione simile dal lato della tribuna “Monte Mario”,  con lo scopo di raggiungere i rivali romanisti. Allo stadio è il caos ed il derby della Capitale viene segnato da un lungo pomeriggio di follia collettiva. Sono diversi i tentativi di invasione del campo, con le forze dell’ordine che presidiano la pista di atletica nel tratto tra la Curva Nord ed il terreno di gioco. Le squadre entrano sul manto erboso in un Olimpico semi-deserto nonostante i 70mila biglietti venduti nel pre-partita.

Voglia di vendetta e caccia al romanista

Tantissimi spettatori intanto escono dalla Curva Nord, che ha i cancelli aperti e privi di controllo, e vanno a caccia del “nemico” giallorosso dall’altra parte dello stadio. Il ponte Duca D’Aosta, con il lungo viale che conduce fino ai cancelli della Curva Sud,  finisce in stato d’assedio. Intanto in campo i calciatori della Lazio, in particolare Wilson e Giordano, cercano di placare gli animi mentre il pubblico bianco-celeste chiede a gran voce di non giocare. Nonostante tutto ciò la partita si disputa lo stesso, termina 1-1 (vantaggio laziale e pareggio di Pruzzo) ma praticamente a nessuno interessa l’esito agonistico. Quello che rimane impresso di quel derby assurdo è il coro laziale che riecheggia nello stadio indirizzato alla Curva Sud: “Assassini, assassini”. Sull’Olimpico cala dopo un assordante e lugubre silenzio.

Assassino identificato e condannato

G.F., solo 18 anni, noto nell’ambiente della Curva Sud con il nomignolo di «Tzigano», è colui che ha esploso il razzo mortale che ha colpito Paparelli: successivamente identificato, rimarrà a lungo latitante (14 mesi) prima di essere fermato. Morira’ nel 1993, sulla soglia dei 33 anni (gli stessi di Paparelli), per  una overdose o forse per una malattia incurabile (non si è mai accertata la causa). Per l’uccisione del tifoso laziale, lo «Tzigano» era stato condannato nel 1987 a sei anni e 10 mesi di carcere, in quanto ritenuto colpevole del reato di omicidio preterintenzionale. 

Fonti articolo: giornali anni ’80, www.spazio70.com,  www.saladellamemoriaheysel.it