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di Simone Cataldo
Un nuovo fondo presente nel Recovery Plan potrebbe far venire meno le defezioni presenti negli allevamenti italiani. Cifre economiche che puntano alla digitalizzazione degli allevamenti, ramo economico fondamentale del nostro Paese.
In Italia, oltre un allevamento su due non ha a disposizione una connessione a banda larga (Istat). In percentuale un dato che si riassume nel 52,8% e che certamente non può far piacere, dato che il momento non permette a nessun ramo economico e aziendale di fare il salto di qualità. Ma a venire incontro alle esigenze, a queste disparità e difficoltà è lo Stato che all’interno del nuovo Recovery Plan ha messo a disposizione degli allevamenti italiani una cifra pari a 6,31 miliardi di euro: le aziende potranno investirli per l’installazione di reti ultraveloci per colmare i ritardi nell’espansione della banda larga nelle zone interne e montane.
Una cifra non di poco conto e che potrebbe influire positivamente su ogni allevamento del Belpaese, dato che oltre la metà di essi non hanno avuto la possibilità di informatizzare la propria attività. L’approccio della tecnologia in Italia, in particolar modo in questi settori, non è ben visto dai proprietari delle aziende che preferiscono la tradizione. Al contempo però l’installazione di una rete Internet ad alta velocità permetterebbe ad ogni allevamento di apportare modifiche drastiche al lavoro svolto. Difatti per “ingresso della banda larga” si intende l’applicazione di nuove tecnologie per facilitare e rendere sicuri i classici processi, vedi ad esempio la mungitura robotizzata, la gestione informatizzata dei pasti degli animali per evitare sprechi, il controllo degli animali al pascolo per diminuire il fenomeno dello smarrimento e per ultimo il controllo dello stato di salute della mandria. Insomma un monitoraggio costante e sicuro che porterebbe alle aziende introiti maggiori non solo a livello occupazionale, bensì anche sotto il punto di vista della produzione e della stessa messa sul mercato del prodotto che assumerebbe altri risvolti.
Da sempre comparto economico di prim’ordine dell’Italia, l’allevamento italiano vale 17,3 miliardi di euro e rappresenta il 35 per cento dell’intera agricoltura nazionale, con un impatto rilevante anche dal punto di vista occupazionale dove si contano circa 800 mila persone al lavoro. L’ingresso delle nuove tecnologie è ancora un tallone d’Achille per le aziende zootecniche italiane che, seppur gioverebbero del loro ingresso sul fronte della competitività e della sostenibilità, non danno la giusta importanza ai sistemi tecnologici. Difatti essi per utilizzo si suddividono nel seguente modo: sistemi informatici per la gestione della mandria (47,8%), seguono i sistemi per il monitoraggio dell’attività produttiva e riproduttiva della mandria (41,0%), quelli deputati alla gestione in remoto dell’identificazione degli animali (29,9%) e i robot di mungitura (21,4%). Il presidente di Coldiretti Ettore Prandini ha inoltre ben specificato: “il rilancio dell’Italia nell’era post Covid è importante superare il digital divide che spezza il Paese fra zone servite dalla banda larga e altre invece no, fra città e campagne, per far esplodere le enormi risorse che il territorio può offrire”. “Ogni giorno – prosegue Prandini – facciamo i conti con insostenibili ritardi sulle infrastrutture per questo occorre che la fibra e tutti i servizi connessi siano portati nelle aree rurali e messi a disposizione degli imprenditori agricoli per poter usufruire di tutte le opportunità dell’agricoltura 4.0”.
In Italia la suddivisione degli allevamenti vede emergere per produzione e vendita quelli di mucche, bufale, maiali, pecore e capre. Andando in fondo nell’analisi degli stessi, prima dell’avvento della pandemia da Covid-19, nel comparto della produzione di origine animale spiccavano latte di vacca e di bufala (4.040 milioni di euro per 11.200 migliaia di tonnellate), carni bovine (3.109 e 1.409 rispettivamente) e carni suine (2.459 e 2.058). Ancora oggi il punto debole dell’allevamento italiano è rappresentato dai bovini, ma al contempo quelli più stabili anche nell’attuale momento sono quelli di ovini, caprini e suini. In tal senso, un processo di produzione migliore potrebbe portare profitti in tutti i sensi, per questo l’opportunità economica superiore a sei miliardi, messa a disposizione dallo Stato, deve essere accolta così da dare vita a una ripresa maggiore di quanto già potrebbe esser nella media.