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di Dania Ceragioli
Era il 24 giugno 2018, quando è stato eliminato uno dei più radicati simboli della repressione che riguardano le donne in Arabia Saudita. Quello di potersi sedere in piena autonomia, alla guida di un’auto, potendola condurre senza essere relegate ai sedili posteriori. Una battaglia partita da lontano questa, già negli anni novanta una quarantina di donne salirono a bordo di macchine percorrendo una delle strade principali di Riad, sfidando le leggi che lo impedivano. Episodi del genere si sono ripetuti nel 2011 e nel 2013, quando questa campagna riprese slancio. Le ribelli che hanno lottato per il diritto alla guida, che per noi europee sembra così scontato, hanno pagato a caro prezzo la loro eversione e alcune di esse, come l’attivista Loujain al-Hathloul, sono rimaste in carcere per oltre due anni, con l’accusa di aver tentato di “minare la sicurezza del Regno”. L’Arabia Saudita era rimasto l’unico Paese al mondo a avere ancora questo divieto. Dal gennaio 2022 si aggiunge la possibilità per le donne di lavorare guidando i taxi e già 18 autoscuole dedicate alla concessione di queste speciali licenze si stanno mobilitando, tutto ciò porterà a una nuova emancipazione facendo migliorare enormemente la partecipazione femminile nel mondo del lavoro, che già dall’abolizione del divieto alla guida, dal 19% nel 2016, era salita al 33% nel 2020.
Da quando sono state emesse le prime patenti a oggi, già 174 mila giovani donne ne sono entrate in possesso, con una richiesta sempre più pressante, tanto da indurre a importare insegnanti da tutto il mondo per la formazione di nuovi istruttori. Fra questi anche un’italiana Rosanna Rampin, titolare dell’Autoscuola Brianza di Casatenovo in provincia di Lecco, che attraverso Unasca è entrata a far parte del programma di riforme economiche e sociali “Vision 2030” messo a punto dal principe ereditario Mohammed bin Salmanche che cerca di costruire un’immagine più morbida e di apertura verso il mondo femminile.
laredazione.net ha raccolto la sua testimonianza
Arabia Saudita, una donna italiana fa scuola guida alle allieve arabe
Ho letto che ti sei laureata alla Bocconi, conosci diverse lingue, come sei arrivata all’attività di insegnante di scuola guida?
La passione per questa attività e per tutto quanto ci ruota attorno parte da lontano. Sono figlia d’arte, mio padre lavorava in un’autoscuola come istruttore e io l’ho sempre seguito. Anche se avevo iniziato a frequentare l’università, la sera mi preparavo al corso di teoria, divenendo fra le prime insegnanti donna di teoria in Italia. Nel 1996 a mio padre si presenta l’opportunità di rilevare l’autoscuola e nonostante fossi stata selezionata per lavorare in una banca on line, decisi di seguirlo in quella che sarebbe divenuta l’attività di famiglia. Ho poi conseguito anche il titolo di istruttrice di guida prendendo tutte le patenti necessarie.
Nell’immaginario collettivo (quello delle autoscuole) lo si percepisce come un mondo associato al genere maschile, è davvero così?
Per tantissimi anni il mondo delle autoscuole è stato di dominio prettamente maschile, dagli anni ottanta però è intervenuto un cambiamento. Dapprima sono arrivate le mogli, poi le figlie di chi già operava all’interno, per poi giungere a una vera e propria svolta. Adesso sono molte le donne divenute sia insegnanti che istruttrici in grado di gestire in autonomia la loro attività.
Hai mai incontrato, in quanto donna, delle difficoltà a svolgere questa professione?
Non ho mai avuto grandi difficoltà a svolgere questo lavoro. Mi è capitato però come istruttrice di non essere riconosciuta come tale, gli stranieri spesso chiedono di potersi interfacciare con un uomo.
Ci racconti il percorso anche interiore che ti ha spinta a prendere la decisione di partire per l’Arabia Saudita?
Direi che è dovuto tutto a una crescente insoddisfazione e preoccupazione legata alla gestione del lavoro. Sono aumentati gli adempimenti, la burocrazia comporta nuove responsabilità. In questi 25 anni ci sono stati molti cambiamenti e la pandemia ha peggiorato ulteriormente la situazione. Abbiamo dovuto affrontare una chiusura di tre mesi e quando il lavoro ha ripreso lo ha fatto lentamente. Inoltre un infortunio accaduto a mio padre ha contribuito a far emergere tutto lo stress accumulato. Quando ho saputo di questa possibilità ho deciso che tre mesi per fare questa esperienza potevo concedermeli.
Come sei stata accolta, avevi delle preoccupazioni, delle aspettative?
Prima di partire mi sono informata dai colleghi e dal mio contatto italiano dell’Unasca che aveva aperto questo progetto nel 2020 con l’Efa e altre società europee. Il progetto prevedeva di rimanere per otto ore in uno yard (un grande parcheggio) dove sono stati collocati degli ostacoli, prevedendo le massime difficoltà che un guidatore può incontrare sulla strada. La realtà è stata diversa, anche se ho conosciuto molte colleghe che facevano parte di un team internazionale con cui ho avuto un grande scambio e una grande collaborazione, mi sono sentita un po’ sola. Pur cercando di far emergere la parte migliore di questa esperienza non tutto è stato facile.
Senti di voler lasciare un messaggio a tutte quelle attiviste che hanno lottato per l’affermazione delle donne alla guida?
Le vorrei tanto ringraziare per aver creduto in questa affermazione femminile, in questa emancipazione della donna volta alla possibilità di poter guidare senza avere conseguenze.
In qualche modo stai contribuendo anche tu alla stesura di un nuovo capitolo volto al rinnovamento di questo Paese, senti questa responsabilità?
Mi sento parte del processo di cambiamento, ho un compito enorme, formare insegnanti che potranno concedere questa nuova libertà. Ho condotto corsi di quattro settimane in tre luoghi differenti, all’inizio a Dammam, poi a Medina e infine a Al-Hasa, mediamente composti da 19/24 ragazze. Ho cercato di offrire il mio contributo influendo nella loro preparazione, per molte di loro ho inoltre rappresentato un’assoluta novità, la prima italiana che incontravano. Ho cercato di portare la mia esperienza adattandola al loro sistema di apprendimento, che porterà sicuramente tutte noi verso un passaggio importante.
Cosa ti ha maggiormente colpita delle donne saudite, nei tratti caratteriali intendo?
Le ragazze saudite sono dolcissime, buone, generose e molto riconoscenti. Essendo quasi interamente coperte quasi tutte portano il niqab, non si è quindi distratte dall’abbigliamento, si notano subito gli occhi scoprendone l’anima. Scattano continuamente foto che poi pubblicano su Snapchat una sorta di Instgram locale, anche se loro non amano farsi ritrarre, hanno un grande senso della privacy e del rispetto verso loro stesse. Inoltre le donne in Arabia, a differenza di altre nazioni situate in medio Oriente, lavorano. Pur sposandosi piuttosto giovani vogliono raggiungere una loro autonomia e indipendenza, amano mettersi in gioco.
Ci sono differenze nei metodi di insegnamento che applichi in Arabia rispetto all’Italia?
Le modalità fra Europa e Arabia sono diverse e si differenziano nel metodo. Qua devo spiegare ogni esercizio, devo mostrarglielo, facendolo ripetere fino a quando non lo hanno capito. In questo parcheggio adibito ad area di addestramento ci muoviamo fra i coni. Imparano a fare parcheggi attraverso questi punti di riferimento e il punto di riferimento è rappresentato dal delineatore. Tutto è artificiale, dai dossi, agli incroci, per simulare le pendenze c’è pure una collina. I turni di addestramento sono due, le ragazze iniziano alle sette del mattino fino alle 14,30, mentre i ragazzi hanno il turno pomeridiano e nessun scambio è ammesso fra i due gruppi. In Italia i corsi durano un anno, mentre in Arabia avendo molta richiesta, appena quattro settimane. Le autoscuole fungono anche da motorizzazione, i ragazzi escono già con la patente. Il progetto che stiamo sviluppando prende come spunto il modello inglese e prevede di uniformare l’insegnamento su tutto il Paese. Avendo più donne alla guida ritenute più prudenti e meno spericolate, si prevedono effetti positivi a lungo termine attraverso un minor numero di incidenti.
Ci sono aneddoti di questa esperienza che ti piacerebbe raccontare?
Un episodio divertente è quello che mi è capitato a El-Ahasa, dove le ragazze, rispetto ad altri luoghi, sono molto più coperte. Indossano questi abiti lunghi, neri e anche se le decorazioni possono essere diverse è difficile notare differenze. Dopo un bel po’ che stavo parlando con una giovane, chiamandola per nome, scopro che non era quella con cui credevo di parlare. Inoltre tutte conoscono la canzone “Bella Ciao”, La Casa di Carta è seguita anche da queste parti.
Questo lungo viaggio quanto ha inciso sulla tua crescita personale e professionale?
Ha inciso moltissimo, soprattutto sviluppando in me doti quali pazienza e calma. È sempre un aspettare, tutto è rallentato, nessuno corre, si cammina. C’è stato sicuramente un arricchimento personale, emotivo, umano, grazie a un rapporto di scambio ancora vivo e sincero, c’è riconoscenza verso quello che fai.
L’Arabia Saudita è un Paese dai grandi contrasti, c’è una forte spinta verso la modernità, ma anche un marcato radicamento alle tradizioni. Quali sono le tue impressioni al riguardo?
L’Arabia è un Paese in profonda evoluzione, ci sono grandi cambiamenti in corso. Si sono resi conto che il petrolio non durerà per sempre, quindi stanno investendo molto nel turismo, soprattutto in quello religioso. Stanno implementando l’alta velocità nei trasporti, organizzano eventi, acquistano opere d’arte, costruiscono resort sul Golfo Persico e Mar Rosso per sviluppare anche il turismo balneare. Al-Hasa fra l’altro è patrimonio Unesco. Nonostante questo, resta un Paese profondamente religioso, i muezzin invitano alla preghiera sei volte al giorno. Vedo continuamente gente che srotola tappeti e si mette a pregare in qualsiasi posto si trovi, anche per strada.
Sei riuscita a stringere delle amicizie con le donne che hai conosciuto?
Non ho avuto la possibilità di incontrare europei o italiani, siamo in pochi. Ho stretto rapporti con colleghe e alcune allieve con cui spero di risentirmi.
Hai trovato degli ostacoli con la viabilità saudita?
La viabilità è assurda, prima di partire mi ero preparata la patente internazionale ma devo confessare di non averla usata. Ci vuole malizia per guidare in queste città e il non rispetto delle regole. Non è facile con tutti questi viali a tre corsie in un senso e tre nell’altro. Inoltre è concesso fare inversioni di marcia agli incroci, in Italia queste manovre sarebbero considerate criminali. Usano inoltre il clacson in maniera esagerata, continuamente sia di giorno che di notte e non hanno caselli autostradali, ma dei check point all’ingresso delle grandi città, soprattutto quelle considerate sante.
Ti piacerebbe ripetere l’esperienza in altri luoghi del mondo?
Non escludo di ripartire ripetendo l’esperienza in altri luoghi del mondo. Magari in Paesi africani di lingua francese come il Senegal, dove c’è bisogno di un salto evolutivo nella guida.