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24 Settembre 2021Aria di referendum in Italia: la firma digitale porta all’exploit della democrazia diretta
di Roberta Caiano
Tira aria di referendum in Italia. In queste ultime settimane stiamo assistendo ad una serie di iniziative popolari che mirano a raggiungere una democrazia diretta grazie alla firma dei quesiti referendari. Dopo il referendum sulla Giustizia Giusta lanciati dai Radicali e dalla Lega di Matteo Salvini, il referendum sull’eutanasia legale lanciato dall’Associazione Luca Coscioni e il referendum sulla legalizzazione della cannabisa cui fanno seguito molte associazioni tra cui l’organizzazione no profit ‘MeglioLegale’, anche il quesito referendario sulla caccia messo in atto dall’associazione promotrice ‘Aboliamo la caccia’ sta ottenendo i risultati sperati. Uno dei motivi principali per cui nel nostro Paese si sta assistendo ad un exploit di partecipazione referendaria riguarda la sottoscrizione online di referendum nazionali e leggi di iniziativa popolare. Da agosto, infatti, grazie ad un emendamento del decreto Semplificazioni approvato a fine luglio dalle commissioni Affari costituzionali e Ambiente della Camera è possibile firmare la propria adesione non più soltanto ai banchetti in piazza ma con un semplice click. Questa nuova forma di raccolta firme è risultata essere una giocata vincente in quanto nel giro di poche settimane sta raggiungendo picchi di consensi mai avuti prima. In particolar modo, il referendum sulla cannabis legale è stato decisamente proficuo portando ad una raccolta di oltre 500 mila firme nel giro di una sola settimana, così come quello sull’eutanasia legale che dall’1 luglio ha ottenuto oltre 900 mila adesioni. Nonostante il numero limite stabilito sia stato raggiunto prima del 30 settembre, giorno in cui avverrà il deposito delle firme in Cassazione, i promotori del referendum sulla cannabis legale ovvero l’associazione Luca Coscioni, Meglio legale, Forum Droghe, Società della Ragione, Antigone e i partiti +Europa, Possibile e Radicali italiani, Sinistra italiana proseguono la raccolta dei consensi al fine di garantire un margine di sicurezza.
Con questa nuova modalità digitale di raccolta consensi non sono mancate le polemiche, già in atto da alcuni anni nel nostro Paese, e le richieste di aumentare la soglia delle firme o abolire in maniera decisiva il quorum. Il numero limite di 500 mila elettori, infatti, è nato in un dibattito nel 1947 nel periodo post-seconda guerra mondiale portando così alla formulazione dell’articolo 75 della Costituzione secondo cui un referendum “per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge se la richiesta arriva da 500 mila elettori o da cinque consigli regionali”. Del resto, in questi 74 anni non soltanto l’aspetto demografico della popolazione è mutato, ma gli stessi aspetti sociali e tecnologici con l’avanzamento imperterrito della tecnologia hanno subito una trasformazione rilevante. In primis internet si pone come antesignano di un processo di rivoluzione da cui si fa fatica a tornare indietro. Difatti, la stessa modalità di fruire dell’informazione è cambiata aprendo possibilità diverse rispetto al passato. Se si pensa che nel caso del quesito referendario sulla legalizzazione della cannabis, ad esempio, la maggior parte delle adesioni è avvenuta dagli under 25 è emblematico di una cultura partecipativa in continua metamorfosi. Del resto, se fino a poco fa era idea comune che i referendum potessero non ottenere consensi nei giovani, grazie allo strumento di raccolta firme online cresce senza dubbio la loro collaborazione nella vita del Paese. Un altro caso rappresentativo è dato dal referendum sull’abolizione della caccia in riferimento alla legge 157 del 1992 sulla protezione della fauna selvatica, il cui tema non è sicuramente nuovo. Da anni ormai le associazioni ecologiste e animaliste si battono contro la caccia agli animali, ma con l’avvio alla firma digitale i consensi sono in continuo aumento sebbene la “guerra” tra le organizzazioni non sia mancata. Infatti, non tutte le associazioni, tra cui Lav (Lega Anti Vivisezione) ed Enpa (Ente Nazionale Protezione Animali) per citarne due illustri, non hanno aderito al quesito referendario rilevando una mancanza di un piano strategico per far partire al meglio la macchina organizzativa necessaria per indire un referendum. Come si legge sul sito ufficiale della Lav, la decisione non ha nulla a che vedere con l’estraneità all’abolizione della caccia: “Abbiamo consultato alcuni professionisti costituzionalisti che ci hanno consigliato di iniziare questo percorso nel 2023, un periodo nel quale potranno concentrarsi le migliori opportunità a cominciare dalla istituzione della piattaforma digitale nazionale, gestita dallo Stato, sulla quale raccogliere le firme qualificate. Noi iniziamo a lavorarci dai prossimi mesi per fare le cose per bene e avere le maggiori chance di successo possibile. Il referendum non è uno scherzo e non ci si può improvvisare”. All’associazione si allaccia anche l’Enpa, la quale sul suo sito ufficiale specifica: “L’Enpa ha difeso la legge 157 del 1992 con numerose e continuative azioni legali – ad esempio contro i calendari venatori – e istituzionali, per adeguare e aumentare le tutele sui selvatici in ottemperanza alle richieste dell’UE. Pertanto, la nostra associazione non intende sostenere il quesito referendario proposto, che toglie tutele e protezione alla fauna selvatica, mette a rischio la vita degli animali, la biodiversità, ed è contro le direttive europee. Il referendum è un prezioso strumento di democrazia e non può essere ridotto ad una pericolosa improvvisazione”.