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Baraye, l’inno della rivoluzione iraniana vince ai Grammy

La canzone del cantante iraniano Shervin Hajipour è diventata l’inno delle proteste della rivoluzione. In 48 ore dalla sua pubblicazione Baraye fu ascoltata da oltre 40 milioni di persone.

“Per poter ballare per strada

Per il timore nell’attimo di un bacio

Per mia sorella, tua sorella, per le nostre sorelle

Per i pianti ininterrotti

Per la ridondante immagine di questo momento

Per un volto sorridente

Per gli studenti, per il futuro

Per questo paradiso imposto

Per i geni imprigionati

Per i bambini afgani

– 

Per la sensazione di tranquillità

Per il sole che sorge dopo lunghe notti

Per l’uomo, la patria e la prosperità

Per la ragazza che sognava di essere un ragazzo

Per la donna, la vita e la libertà”

Per la libertà

Per la libertà

Queste alcune strofe della canzone Baraye del cantante iraniano Shervin Hajipour che ai Grammy 2023 ha vinto nella nuova categoria “Best Song for Social Change” (Miglior canzone per il cambiamento sociale). Una vittoria significativa, questa, non solo per il fatto che è la prima volta che un cantante iraniano vince ai prestigiosi Grammy Awards, ma specialmente perché questa canzone è diventato l’inno delle proteste della rivoluzione iraniana.

In 48 ore dalla sua pubblicazione Baraye fu ascoltata da oltre 40 milioni di persone.

Il compositore fu incarcerato

Un inno così forte e potente da essere cantato in tutte le piazze e manifestazioni del mondo, e talmente scomodo per la Repubblica islamica che a fine Settembre incarcerò il compositore 25enne Shervin Hajipour, successivamente rilasciato ad Ottobre su cauzione. Le accuse che portarono alla detenzione di Hajipour erano per “propaganda contro il regime” e “istigazione alla violenza”…e tutto questo per aver scritto e cantato una canzone che divenne la colonna musicale delle proteste in nome di Zan, Zandegi, Azadi (Donna, vita, libertà).

Hajipour era assente alla premiazione

Non appena saputa della sua vittoria, sono state tantissime le reazioni di plauso verso il cantante iraniano. L’Iran International riporta che l’attivista e giornalista Masih Alinejad ha scritto: «Una volta, se venivamo uccisi sul pavimento della strada, o appesi con una corda, nessuno avrebbe sentito le nostre voci. Ma ora, il nostro grido di protesta, la nostra musica e la nostra arte, ha varcato i confini del mondo. Questa è la voce della rivoluzione femminile, la vita della libertà». 

Anche Hamed Esmailiyon, portavoce dell’Associazione delle famiglie delle vittime del volo PS752, ha dichiarato in un tweet: «Per Shervin, per Tomaj, per Fereydoun Farrokhzad, per tutti gli artisti che sono stati uccisi, torturati o imprigionati dalla Repubblica islamica». 

Ad annunciare il premio, sul palco della Crypto Arena di Los Angeles, è stata la first lady americana Jill Biden, che ha definito Baraye un canto ispiratore per l’unità e per cambiare il mondo. Hajipour, che attualmente vive in Iran, era assente alla premiazione, ma appena saputo della vittoria ha festeggiato. 

«Se lo meritava davvero e questo premio ha reso tutti noi iraniani felici e orgogliosi» dice una ragazza a LaRedazione.