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Se vuoi raccontarci la tua esperienza, scrivi a lorenza.cianci@outlook.it o a redazione@lareadazione.net. A fine articolo ti segnaliamo nel dettaglio come fare.
Sono un o una giovane studentessa dell’Università di Bologna. A marzo del 2020, quando c’è stato il primo lockdown, avevo da poco iniziato l’università. Avevo, compiuti, 19 anni. Dall’ottobre 2019 fino ai primi mesi dell’anno nuovo, ho avuto pochi momenti per capire bene come funziona questa nuova vita da “fuorisede”: siamo, infatti, costretti tutte e tutti tra quattro mura. A volte non mi sento bene, mi sento in una condizione di fragilità psicologica. Mi sento spesso sola o solo, in una dimensione storica e in una città del tutto nuova, per me. La mia famiglia abita a centinaia di chilometri di distanza. Questa sensazione, di malessere, dura anche oggi, che stiamo transitando in una fase nuova, ma ugualmente preoccupante, della pandemia: possiamo uscire e vivere la socialità, ma sempre con grande accortezza. Vorrei rivolgermi a un esperto o un’esperta di salute mentale che mi ascolti senza giudicarmi; che mi consigli un approccio o un orientamento terapeutico adeguato e, non da poco, un dialogo che sia quanto più accessibile dal punto di vista economico. Non voglio essere costretto o costretta a domandare ai miei cari dei soldi in più, al momento. Ma non mi sento bene, mi sento sola o solo, con tanti dubbi. Cosa posso fare? Dove posso andare a cercare un aiuto psicologico sicuro, professionale, accessibile, nella città di Bologna, in cui vivrò, immagino, almeno i prossimi tre anni? Se mi rivolgessi al mio medico di famiglia, quello rimasto alla mia residenza, potrebbe prescrivermi un’impegnativa medica per una consulenza psicologica a Bologna? E io la potrei utilizzare, questa impegnativa, in un ospedale differente dalla mia AUSL di residenza, tramite CUP ambulatoriale o direttamente andando in ospedale a Bologna?
Il punto di partenza di un’inchiesta sul supporto giovani adulti/e sul territorio di Bologna
Questa inchiesta è partita più di tre mesi fa, proprio alla luce di queste, molteplici, domande. Che rimandavano, innanzitutto, a una diffusa percezione proveniente dall’ambiente universitario. Per poi estendersi, anche tra noi redattori della Redazione.net, al nostro personale vissuto: giovani adulti anche noi per la maggior parte, abbiamo vissuto e ci siamo confrontati, ogni giorno, a casa e a lavoro, con la parola emergenza. La percezione di essere, tutte e tutti noi, sulla stessa barca: un misto di speranza, che finisca presto questo momento drammatico, e di responsabilità, quella di raccontare con la lente di chi vive ogni giorno questo momento. Oltre a questo, avevamo anche quel quid che arrivava dai primi dati delle istituzioni e dei comitati nazionali sui numeri della richiesta di supporto psicologico da parte dei giovani, proprio a partire dal primo lockdown. Per citare una fonte su tutte, rimandiamo al rapporto Unicef Italia del novembre 2020 (“The Future We Want”, consultabile qui). A partire da un sondaggio che ha visto la partecipazione di 2000 ragazzi tra i 15 e i 19 anni, e dallo studio dei suoi risultati, è nato un vero e proprio Manifesto: “The Future We Want”, “Il Futuro che Noi Vogliamo”. Tra i punti del Report finale si legge (pp.7-8) anche la richiesta «al Governo Nazionale e ai Ministeri competenti, alle Regioni, ai Comuni e alle Organizzazioni della società civile» di «salvaguardare la salute degli adolescenti garantendo equo accesso al sistema sanitario pubblico e gratuito per tutti e incentivando reti di ascolto e supporto psicologico e la diffusione di messaggi di sensibilizzazione sul benessere mentale».
Ecco, dunque, il punto da cui siamo partiti.
Il metodo dell’inchiesta al supporto giovani adulti/e sul territorio di Bologna
L’inchiesta è stata condotta proprio mettendosi nelle scarpe e sui passi di uno studente o una studentessa che ha più di 18 anni nel periodo di lockdown e di pandemia da Covid-19. Che, magari, è anche alle prese con il primo anno di università, lontano da casa, o comunque in un contesto inedito della sua vita: di scoperta di sé, e del mondo attraverso gli occhiali di una città a più dimensioni, come è la città di Bologna. Sono tanti i “contesti tipo” che abbiamo vagliato, anche confrontandoci con “voci” di professioniste e professionisti del settore, operatori e operatrici del sociale.
Cosa è emerso?
È emerso, evidente, che una rete di comunità di supporto, sul territorio bolognese, esiste, anche riguardo l’importante aspetto della tutela psicologica individuale per i giovani adulti, residenti o non. Molto spesso è difficile, però, discernere l’iter da seguire, orientarsi tra i servizi, mettersi in contatto con le strutture competenti, avere presto soddisfazione del bisogno immediato di una tutela psicologica. Lungi dall’essere esaustiva, questa inchiesta è un primo approccio per cercare “connessioni”: tra realtà che si sono impegnate nel supporto psicologico ai giovani adulti maggiorenni prima della pandemia, durante la pandemia, e anche in questo momento difficile, da un punto di vista umano, quello di una possibile prospettiva di transizione. Mettere in luce le criticità vorrà dire permetterci di pensare che si possa migliorare un servizio virtuoso sul territorio in cui studiamo, lavoriamo e viviamo.
Questa necessità di una tutela psicologica di prossimità, di vicinanza territoriale e “di base” è, da alcuni anni, presente nelle discussioni della collettività e delle autorità sanitarie: è nelle varie ipotesi di progetti pilota temporanei regionali e nelle prime proposte di legge. Che, in questi anni, sono state oggetto di dibattito; in parte, di sperimentazione. È presente, la questione della tutela psicologica, anche, nel discorso della politica; e dei media. È del 13 dicembre scorso la notizia del via libera della Corte Costituzionale alla legge sull’istituzione del servizio di psicologia di base nei distretti Asl della regione Campania (legge n.35, agosto 2020), a sostegno dell’impegno dei medici di famiglia. Una decisione che fa capo presumibilmente alla presa di coscienza di un sempre crescente bisogno di tutela psicologica. Infine, è proprio ieri l’articolo sul Resto del Carlino, a firma Rossella Rappocciolo, sulla necessità, per l’Ordine degli psicologi Emilia-Romagna, di aprire un dibattito fecondo sulla questione. Che giunga a istituire la figura dello psicologo di base, ritenuta ormai fondamentale, anche alla luce dell’aumento di richieste d’aiuto nel periodo della pandemia da Covid-19.
Un’ inchiesta che ha la volontà di essere “aperta”
L’inchiesta verrà pubblicata a più puntate: ognuna sarà dedicata a uno specifico “contesto tipo” e all’ascolto di una “voce” di una esperta o esperto (psicologi e psicologhe, operatori e operatrici sociali, studiosi, studiose di Youth Studies) sul supporto psicologico giovani adulti, nella fase di pandemia attuale.
Vogliamo anche il tuo contributo.
- Se sei un’associazione, una help line, una Onlus o una comunità di professionisti psicologi e operatori sociali professionali, che si è occupata di supporto psicologico ai e alle giovani adulti/e over 18 sul territorio bolognese e vuoi raccontarci la tua esperienza o il tuo progetto, contattaci a lorenza.cianci@outlook.it o a redazione@lareadazione.net
- Se sei una psicologa o psicologo, un operatore o operatrice (+) che lavora nell’ambito di contesti giovani adulti e vuoi esporci criticità o raccontarci la tua esperienza, contattaci a lorenza.cianci@outlook.it o a redazione@lareadazione.net
- Se sei una o un giovane e vuoi raccontare la tua esperienza con il supporto psicologico durante la pandemia da Covid-19, scrivici a: lorenza.cianci@outlook.it o a redazione@lareadazione.net
Ti assicuriamo che “ascolteremo” tra le righe con attenzione la tua esperienza senza pregiudizio alcuno: di genere, identità sessuale, di nazionalità, di appartenenza, religiosa e politica (+). Pubblicheremo il racconto della tua esperienza, premurandoci di farlo nell’assoluto anonimato e togliendo qualsiasi riferimento possa ricondurre a te. Ti chiediamo di non inviarci testi che incitino all’odio o che abbiano al suo interno contenuti diffamatori rivolti a persone fisiche e giuridiche. Chiediamo di non inviarci foto, perché, per tutela della privacy, non potremmo in nessun caso pubblicarle.