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È il dilemma dominante degli ultimi decenni. Quello che ha fatto interrogare esperti di economia e di sociologia in tutto il mondo. Quello che ha creato spaccature, molto spesso di natura puramente ideologica, fra le persone di ogni angolo del pianeta, dando vita ad una sorta di dualismo della specie, degno di una puntata di Ciao Darwin.
Parliamo del capitalismo
Il sistema economico-sociale che si è andato affermando progressivamente nel tempo, scardinando i meccanismi di stampo feudale. Un sistema fondato sull’organizzazione della produzione per il mercato e per la vendita finale. Il sistema che ha aperto le porte alla globalizzazione, in ogni settore. Nell’ultimo periodo, questo sistema ha iniziato a far sorgere malumori anche nei suoi più convinti sostenitori, in quanto causa di delocalizzazioni incontrollate, aumento della concorrenza di altre aree del pianeta e insostenibilità del welfare. Elementi che si aggiungono alle critiche originarie, secondo cui il capitalismo non è adatto ad una equa distribuzione della ricchezza, ma anzi ha accresciuto i gap salariali fra i vertici e i dipendenti delle società.
I poveri negli ultimi decenni
Eppure, i dati raccolti dal Prof. Pierluigi Del Viscovo ci raccontano uno scenario secondo cui il capitalismo sia stato, sino ad ora, il miglior mezzo di contrasto alla povertà, per l’intera umanità. Fino a duecento anni fa, poco più del cinque percento della popolazione mondiale viveva sopra la soglia della povertà estrema.
Oggi, secondo le stime della Banca Mondiale (Birs) almeno il sette percento degli abitanti della Terra vive al di sotto di quella soglia. Un ribaltamento del canovaccio a 360 gradi.
La specializzazione del lavoro e l’aumento della produttività avevano generato un miglioramento delle condizioni di vita e un allungamento della stessa. Basti vedere che in pochi decenni il numero di abitanti sul pianeta registrò un incremento più che triplicato. Ma c’è un’altra osservazione da tenere ben salda.
Infatti, se fino al 1970 con il crescere della popolazione mondiale si accresceva anche il numero di poveri, da quel momento la quota di poveri ha intrapreso un trend discendente. In meno di mezzo secolo, quasi 1,5 miliardi di persone sono uscite dalla povertà.
Cina, la povertà in calo
I numeri della Cina sono esemplificativi di questo fenomeno. Nel 1980 l’88% viveva in estrema povertà, mentre nel 2010 era solo l’11%. L’industrializzazione delle aree del mondo arretrate ha consentito tutto ciò, permettendo contemporaneamente in Occidente di creare posti di lavoro nel settore dei servizi.
Il Boston Consulting Group ha mostrato come nel decennio 2004-2014 la competitività manifatturiera dei principali paesi sia cambiata, registrando perdite di punti-indice un po’ ovunque. Fattori quali i tassi di cambio e il costo dell’energia hanno contribuito, ma l’impatto più importante lo hanno avuto il costo e la produttività del lavoro. E in questo sfondo, in Occidente si fa strada sempre più una inclinazione alla rassegnazione, riconsegnando settori all’economia di Stato sotto forma di redditi, debito pubblico e nazionalizzazioni. Una rassegnazione che sovraccarica gli equilibri e mette in profonda crisi la tenuta delle nostre democrazie.