Le stanze di Verdi contro spaccio e degrado
7 Gennaio 2021Il Filo di Arianna nel labirinto del Next Generation EU
12 Gennaio 2021Cappuccetto bianco nel bosco, tra lupi e tratturo, sua maestà il pecorino
IRPINIA – Si parte al mattino presto, con 177 pecore al seguito, nove cani e una bisaccia con pane e formaggio, un coltellino e una borraccia d’acqua. L’ovile è in Contrada Valle, a Montecalvo. Una volta usciti dal recinto, percorriamo un centinaio di metri del regio tratturo, cioè un minuscolo tratto dei 211 chilometri del Pescasseroli-Candela, il terzo tratturo più lungo dell’Italia meridionale. L’abbiamo solcato tante volte durante le estati, polveroso, disconnesso e con crepacci che fissavamo fino ad averli completamente superati, a scongiurare che non sbucassero i serpenti. Eppure, con un gregge così grande e con l’eco fresca nelle orecchie della “transumanza”, dichiarata patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, ci sembra di compiere una strada costellata di polvere, sì, ma questa volta, magica. Non siamo in transumanza, ma andiamo al pascolo in inverno, nel bosco di Camporeale. Non appena lasciamo il tratturo per inabissarci in un dirupo, i cani circondano il gregge e lo riportano, come impacchettato in una bolla perfetta, alle pendici del bosco. Il pastore che ci accompagna, Vincenzo, comanda i cani che, una volta eseguita la corretta conduzione del gregge, circondano l’uomo, con movimenti di intesa perfetta. “Sono eccezionali, ci proteggono”. Capita che nel bosco si incontrino i lupi, ma i cani – quando è accaduto – hanno protetto pecore e pastore. “Sono venuti anche degli esperti per avvistare i lupi”. In effetti, è già in corso il censimento dei lupi, dalle Alpi alla Calabria, che avrebbe dovuto concludersi nel marzo 2021, per verificare se sono complessivamente 2 mila, come si ipotizza.
Qui, pochi mesi fa, i lupi si sono avvicinati all’abitazione e all’ovile e hanno aggredito alcune pecore. I cani hanno avvisato, abbaiando, hanno combattuto, ma non sono riusciti a sottrarre un paio pecore dall’aggressione. Eppure sono sopravvissute, grazie anche a un unguento di grasso ed erbe, spalmato sulla gola e creato dal pastore, seguendo gli insegnamenti del padre.
La passeggiata nel bosco dura l’intera giornata. All’ora del pasto, seduti nel bosco, si mangia un formaggio dal sapore mai sentito, né in passato né in futuro probabilmente. Di latte ovino. Le 177 pecore sono laticauda, una razza ovina che ha avuto origine dalla pecora africana, berbera. Molto probabilmente gli arieti sono stati importati dai Borboni, al tempo di Carlo III, nella seconda metà del Settecento. Lo stesso nome laticauda viene da “latus”, largo, e “cauda”, coda: indica che la coda larga ha un’escrescenza adiposa che funziona come le gobbe dei cammelli, ossia un accumulo di grasso a cui attingere nei periodi di magra e siccità.
Non sappiamo se è un pecorino di Lauticauda sannita, ma di sicuro è come un distillato del panorama: erba, alberi e aria, con qualche timido raggio di sole che si infiltra tra i rami, come se fosse un caglio speciale che ricama il latte. Poi, in un istante, quel sapore irrecuperabile viene soppiantato dal caos: le miti pecorelle, un attimo prima inchiodate a brucare il manto del bosco, pulitissimo grazie a loro, si ritrovano sparse ovunque e il pastore deve manovrarle, urlando dei “votallà”. I cani intervengono a farle girare dalla cima del bosco verso la valle che riporta verso casa. Altro attraversamento di tratturo.
Pochi giorni dopo, torniamo in città, un altro lockdown, quando scopriamo che la stella, la superstar del supermercato 2020, è il formaggio. Solo durante l’emergenza Covid, sono stati acquistati 246 milioni di euro in più di formaggio rispetto allo stesso periodo del 2019 (febbraio-maggio). Non solo ovinocaprini naturalmente. La variazione annua è di +27,2% (fonte Assolatte).
E pensiamo improvvisamente a quel gregge, con il cordone di sicurezza creato dai cani, e a quelle fette di formaggio di latte di Laticauda, che evoca l’Africa, tra caglio di sole invernale e polvere di tratturo. Poi, pensiamo anche che è passato Natale e si avvicina Pasqua, uno dei periodi più floridi per i pastori: vendono gli agnelli, a 3 o 4 euro al chilogrammo, per essere poi rivenduti a 13-14 euro al chilogrammo, in macelleria. Nel Sud Italia.
PECORINI, I NUONI VIP AMERICANI
Quella che si è avviata da diversi mesi è una seconda giovinezza per i formaggi ovini e caprini. La produzione nazionale si attesta sulle 80 mila tonnellate l’anno. Quasi un terzo dei pecorini prodotti in Italia è inviato all’estero. Un po’ a sorpresa, il leader delle esportazioni è il Pecorino romano: da solo rappresenta i due terzi del pecorino destinato all’export. Solo gli americani ne acquistano il 70%. L’altro aspetto singolare è che il 95-97% del Pecorino romano è prodotto in Sardegna, solo la parte residuale è assegnabile al Lazio. E non è un caso, la Sardegna ospita quasi la metà del gregge italiano, ossia il 45% degli 8 milioni dei capi ovini nostrani. Delle 143 mila aziende della filiera ovicaprina (parte agricola) il 17% è costituito da imprese sarde. Ed è proprio la Sardegna la regione in cui, paradossalmente, si sono avute le più basse quotazioni degli ultimi anni. “I valori più bassi sono stati registrati in Sardegna, dove il prezzo del latte pagato agli allevatori, che a gennaio 2016 era pari a 85 euro ad ettolitro, a dicembre 2018 è sceso a 62,50 euro ad ettolitro, risalendo nel corso del 2019 fino a 71,50 euro (settembre)”. Per esempio, in Toscana, nello stesso arco di tempo, si è passati da 107,5 a 85 euro ad ettolitro. (fonte: Ismea).
Ora, con i mesi di lockdown, come abbiamo detto, sono aumentati i volumi venduti e anche i prezzi al cliente finale (fino al10% per il pecorino romano). Al tempo stesso, sono stati evidenziati alcuni tratti dei nuovi consumi. Piace il pecorino o il caprino di qualità, soprattutto alle famiglie con un tenore medio-alto, alle persone di età matura, che lo cercano soprattutto negli iper. Nel Nord Ovest Anche i mercati ambulanti sono un’ottima piazza per i pecorini: rappresentano il canale di acquisto per il 26% degli acquirenti. Le fasce d’età più giovani consumano, invece, i pecorini soprattutto al ristorante. Il consumo pro capite annuo potrebbe presto superare 1 chilogrammo.
Non a caso, il cambiamento più importante che è in atto sul mercato italiano e internazionale dei pecorini è quello del riassetto della filiera che vede grandi accorpamenti da parte delle aziende del settore lavorazione e trasformazione del latte vaccino, finalizzati a una migliore strategia della distribuzione. Per esempio, Auricchio, con l’acquisizione di Locatelli (oggi Casearia FOI) e di Gloria, sempre sarda, e con l’acquisto di una delle più grandi società americane di import-export, ha fatto sì che il brand Locatelli diventasse leader per il Pecorino Romano e altri pecorini esportati negli Usa. Lo stesso per Granarolo S.p.A. che ha acquisito il 65% di Casearia Podda per penetrare nel mercato sardo. (fonte: Ismea).