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di Roberta Caiano
La censura di Internet sta ormai evolvendo anche in India, dove sta prendendo piede il pieno controllo su vari piani, da quello politico a quello sociale, consolidando il pensiero unico. Il concetto di libertà d’espressione sul web e sui social network può ormai definirsi ‘antico’, nonostante la loro giovane età. Infatti, sin dai suoi albori, Internet si è sempre circondato di un’aura controversa e politica strettamente collegata alla reale indipendenza e sicurezza delle azioni espresse dalle persone. In particolar modo, con l’avvento dei social i concetti di censura e di libertà d’opinione hanno assunto una connotazione sempre più ambigua, richiedendo interventi “dall’alto” da parte dei giganti del web, con relativi provvedimenti e regole sempre più rigide. Tutto ciò è stato piuttosto evidente con l’avvio della pandemia Covid-19, la cui proliferazione di notizie al riguardo ha reso necessario la mediazione tra utenti e comunicazione. Tra i più famosi social che hanno aderito a questa iniziativa di filtrazione della diffusione di informazioni troviamo Facebook e Instagram, o anche le app di messaggistica come Whatsapp, i quali hanno agito anche in ottica business ai fini di veicolare messaggi puliti di ogni fake news o a scopo di bombardamento mediatico.
Per quanto nell’immaginario collettivo i big players dell’informazione sono spesso collegati all’Europa, agli Stati Uniti, alla Cina o alla Russia, in verità esistono anche altre realtà dove la censura arriva a gamba tesa e potrebbe staccarsi dai social europei per avvicinarsi sempre di più ad un regime social di stampo indipendente. E’ il caso dell’India che negli ultimi mesi sta subendo una tensione sul piano web e social da non sottovalutare, alimentando le voci di un futuro nel web in pieno stile cinese. Considerato l’elevato numero della popolazione indiana con circa 1 miliardo e 390 milioni, gli utenti che utilizzano i servizi internet sono circa 100 milioni rappresentando il terzo Paese al mondo per persone connesse sul podio insieme a Cina e Stati Uniti. Sono sempre più gli indiani, infatti, che accedono a dispositivi elettronici e digitali spostando così sul web la società di massa. Come tutti gli Stati mondiali, anche in India il coronavirus ha colpito in maniera prorompente non tardando ad ovviare ad un overloading di informazioni attraverso la gestione dei contenuti su alcune piattaforme, come Twitter, con la rimozione dei post più critici nei confronti della gestione della crisi Covid. Risale soltanto ad un mese fa il provvedimento della città di New Delhi che prevede il blocco di contenuti che mettono in discussione la gestione dell’epidemia nel Paese. Tra gli internauti si è scatenata l’indignazione per la censura da parte del governo, arrivata ad oscurare 100 post sui social media per disinformazione. Questa “rivolta” nei confronti del regime politico indiano sul controllo massiccio delle attività sui social network e sul web, partita dalla gestione della pandemia, si è in realtà dilagata fino all’annuncio in questi giorni, da parte delle autorità, di una serie di restrizioni, come la richiesta alle aziende di eliminare i post ritenuti offensivi e l’assunzione di funzionari indiani per gestire i reclami e identificare il ‘primo mittente’ di messaggi controversi e ambigui. In particolar modo, queste nuove linee guide sono state rilasciate a seguito del già consolidato stallo tra il governo di Narendra Modi e Twitter sulla base delle proteste degli agricoltori del Paese, punto nevralgico delle nuove regole restrittive dei contenuti web.
Tra il 2020 e l’inizio del 2021, l’India ha visto nascere la riforma agricola approvata nei giorni scorsi. Nello specifico, le nuove leggi del sistema Modi consentono la vendita dei prodotti al di fuori dei mercati agricoli regolamentati dai singoli Stati dell’Unione, permettendo agli agricoltori di vendere i loro prodotti all’ingrosso a un regime di prezzi concordato e di contenere la concorrenza al ribasso delle grandi industrie agricole. Ma ciò che gli agricoltori temono di più è la concentrazione del controllo proprio da parte di queste poche grandi industrie agro-alimentari, a discapito di quello pubblico, e dunque la riduzione dei medio-piccoli mercati agricoli. Nonostante le proteste, che nel novembre del 2020 hanno toccato picchi di 250 milioni di persone scese in piazza formando una delle più grandi manifestazioni al mondo, la riforma è stata approvata senza tenere conto dei rappresentanti degli agricoltori che contano circa il 60% della forza lavoro indiana. Ciò si è concluso con una ripercussione sui social attraverso la censura e la repressione di post che possano indurre a commenti contro la nuova riforma o le decisioni del governo. Queste iniziative di oscuramento della libertà di opinione e del rintracciamento degli autori dei post non sono piaciute a Whatsapp che ha citato in giudizio il governo indiano, in quanto le regole sarebbero incostituzionali e violerebbero il diritto alla privacy dei cittadini. Infatti, queste regole andrebbero contro il requisito di “tracciabilità” dell’identificazione dell’utente dietro un messaggio, che richiederebbe la violazione della crittografia. Mentre Google ha affermato che sta lavorando per rispettare le leggi locali, insieme con Facebook che, dal canto suo, sta attuando le disposizioni per i nuovi provvedimenti. In realtà, i divieti sulle piattaforme straniere potrebbero non essere così imminenti, ma allo stesso tempo le nuove restrizioni stanno già alimentando i timori che le notizie e il dissenso online vengano sempre più soffocati, fino al timore che si arrivi al blocco delle piattaforme social straniere, con pieno controllo da parte delle autorità locali e la chiusura a qualunque forma di dissenso popolare.