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17 Ottobre 2025Colombia: il nostro viaggio a Cartagena
La nostra fotoreporter Dania Ceragioli ha visitato il cuore coloniale della Colombia, il crocevia tra schiavitù, commercio e letteratura. Con fotografie di grande bellezza.
Cartagena de Indias, situata sulla costa caraibica della Colombia, è una delle città più suggestive dell’America Latina e un luogo dove storia, dolore e bellezza si intrecciano profondamente. Fondata nel 1533 dagli spagnoli, divenne ben presto un epicentro del commercio coloniale e una delle principali porte di accesso alla Nuova Granada. La posizione strategica la rese anche uno dei più grandi centri della tratta degli schiavi africani nel continente americano.

Cartagena e la tratta degli schiavi
Nei secoli XVII e XVIII, migliaia di navi provenienti dall’Africa occidentale attraccavano nel porto della cittadina, scaricando i nuovi prigionieri fra cui numerose, donne e bambini. Oltre un milione di persone hanno solcato i mari, per poi essere vendute e deportate verso le piantagioni e le miniere dell’interno. Ancora oggi, in alcune piazze del centro storico, come Plaza de los Coches e Plaza de la Aduana, si possono vedere le antiche catene e gli anelli di ferro usati per legare i prigionieri durante le aste pubbliche.

A Cartagena, la tratta degli schiavi non era solo una tragedia umana, ma anche un enorme affare economico. Il valore di uno schiavo variava in base all’età, salute e capacità: un uomo giovane e robusto poteva costare tra i 300 e i 500 pesos nel Seicento, mentre nel secolo successivo il prezzo poteva superare i 1.000 pesos, l’equivalente di diversi anni di salario di un uomo libero. Nonostante, la violenza e la sopraffazione, nacquero anche movimenti di resistenza, guidati da figure come San Pedro Claver, il gesuita spagnolo che dedicò la sua vita a offrire conforto, cura e dignità alle vittime della tratta.

Le compagnie commerciali europee, come la Compagnia delle Indie Occidentali, controllavano gran parte di questi traffici, arricchendo in questo caso la corona olandese e i grandi mercanti locali. Dietro la magnificenza delle fortificazioni, come il Castillo de San Felipe de Barajas, e la bellezza del centro storico, oggi Patrimonio UNESCO, si nascondeva dunque un sistema economico fondato sullo sfruttamento umano.

Le palenqueras, chi sono
Passeggiando tra le sue vie lastricate, si è avvolti da un insieme di profumi e suoni che raccontano più di qualunque libro di storia. In questi frangenti, la località sembra trasformarsi in una creatura viva, un luogo in cui il passato e il presente si toccano. Tra i colori vividi delle facciate coloniali e dei balconi fioriti, si incontrano le donne palenqueras, eredi dirette degli schiavi africani fuggiti e fondatori dei primi villaggi liberi.

Osservarle mentre si muovono lente tra le piazze, sotto il sole tropicale, è come assistere a una danza antica una forma vivente di resistenza e di bellezza. Avvolte in abiti che ricordano i colori della bandiera colombiana, giallo, blu e rosso, portano ceste di frutta sulla testa: papaye, ananas, banane e mango maturi che offrono in dono ai visitatori
La Cartagena de L’amore ai tempi del colera
Le fragranze dei frutti e delle spezie si fondono con l’aria salmastra, creando un’atmosfera sospesa, sensuale e malinconica, che riconduce alle pagine dei libri di García Márquez. Questa duplice identità, venne infatti scelta dallo scrittore, che qui viene chiamato amichevolmente Gabo, come sfondo per uno dei suoi romanzi più celebri, L’amore ai tempi del colera.

Nelle sue parole, la città diventa uno spazio temporale, dove l’amore tra Florentino Ariza e Fermina Daza attraversa decenni di attesa, malattia e trasformazione. Márquez descrive una Cartagena calda, umida, intrisa di fragranze e ricordi, ma anche segnata dal peso della storia coloniale: un luogo che non dimentica, ma continua a respirare.
Si dice che la casa da cui si affacciava Fermina sia rimasta uguale nel tempo, con i suoi balconi in legno intarsiato e le persiane che guardano sul mare. È in quel contrasto tra la vitalità e la lentezza del tempo che si riflette l’anima della città. Le mura fortificate, che un tempo servivano a proteggerla dai pirati e dalle invasioni, diventano nel romanzo un simbolo di difesa emotiva, proprio come Fermina che si chiude nel suo mondo per proteggersi dall’amore.
La tomba di García Márquez
Nel centro storico, nel Chiostro di La Merced, si trova la tomba-monumento del Premio Nobel, circondata da fiori e riverente silenzio. Lì riposa il grande romanziere colombiano, tornato simbolicamente nella città che più di tutte rappresenta il suo universo letterario: un luogo dove il reale e il magico si fondono in un’unica visione.







