Corno d’Africa, dove vanno a caccia Cina e Russia

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Corno d’Africa, dove vanno a caccia Cina e Russia


Il nostro viaggio di geopolitica ci porta in Africa Orientale dove fioccano gli affari, per esempio l’azienda automobilistica russa Lada farà dell’Etiopia il centro di produzione di veicoli più grande dell’intera Africa

In questo focus si circoscriverà l’Africa Orientale basandosi sia su riferimenti geografici che politici. Geograficamente, alla regione orientale del Continente possono essere ricondotti il Corno d’Africa e l’area dei Grandi Laghi. Sotto l’aspetto politico, si può circoscrivere l’analisi ai blocchi di Paesi riuniti negli organismi intergovernativi dell’Igad e dell’Eac, utilizzando lo stesso approccio con cui, attraverso il perimetro dell’Ecowass, si sono passati in rassegna i Paesi dell’Africa Occidentale

La regione oggetto di questo articolo, presenta caratteristiche disomogenee, già abbondantemente riscontrabili dallo spettro demografico che la contraddistingue, se si considera come oltre il 70% dell’intera popolazione distribuita su nove Paesi differenti, sia concentrata prevalentemente in tre di questi, ovvero Etiopia, Kenya e Tanzania.

Un tratto distintivo che accomuna i Paesi di questa regione è l’andamento di crescita economica stabile registrato nell’ultimo decennio, con tassi di annui molto elevati nel caso delle economie più grandi.

Questo poderoso sviluppo è stato favorito dall’integrazione nel commercio internazionale e da un aumento vertiginoso degli investimenti esteri, da parte di tutti quegli attori che in quest’area avevano individuato una potenzialità.

La Cina in Africa orientale

A partire dalla Cina, che ostentando una falsa parità con i partner africani, è riuscita in una penetrazione economica e istituzionale senza precedenti, alimentando un vero e proprio impero commerciale che ruota intorno la Belt and Road Initiative, da noi meglio nota con l’appellativo di Nuova Via della Seta.

La Russia in Africa orientale 

C’è poi la Russia, erede dell’Unione Sovietica che a metà del Novecento supportò i vari movimenti di liberazione socialista sorti in numerosi Stati Africani. Ai giorni nostri, spinta meno dalle ideologia e più dalle risorse naturali e da opportunità di mercato, è proiettata nel Continente nero, sguinzagliando i suoi combattenti mercenari.

La Turchia in Africa orientale

Non meno intensa la presenza della Turchia che può vantare un legame antico con l’Africa Orientale, un tempo parte dell’Impero Ottomano ed oggi si racconta come la paladina della Fratellanza Musulmana. Con l’avvento dell’era di Erdogan la politica estera turca si è affidata al concetto di profondità strategica, implementato non solo con iniziative economiche e diplomatiche, ma anche attraverso il soft-power di contenuti culturali, come soap-opere e musica e l’azione di agenzie educative e caritatevoli.

Le monarchie del Golfo

A lavorare in Africa Orientale con l’obbiettivo di costruirsi uno status di potenza internazionale, ci sono anche le Monarchie del Golfo. Emiratini, sauditi e qatorioti in testa, agiscono negli affari e nei conflitti della regione, tuttavia non in un’ottica di cooperazione fra loro, quanto piuttosto in un quadro di rivalità.

Quest’area dell’Africa in particolare, fornisce alle Monarchie del Golfo centinaia di migliaia di manovali e lavoratori a basso costo, spesso non qualificati.

Il filo della storia recente del Corno d’Africa, in particolare, ci riconduce a un passato di dominazione italiana, che nei territori delle attuali Etiopia, Eritrea e Somalia, per diversi decenni, agì al pari di tutte le altre potenze coloniali dell’epoca.

Una influenza macchiata di sangue, omertà e corruzione, che in alcune aree continuò a perdurare anche dopo il tramonto della stagione fascista e la soppressione dei Governatorati a seguito del Trattato di Parigi del 1947. 

La Somalia e l’Italia

È il caso della Somalia, ad esempio, negli Anni Novanta al centro di inchieste sullo smaltimento di rifiuti tossici provenienti dall’Italia e che, nel marzo 1994, furono probabilmente il motivo dell’assassinio alla giornalista Ilaria Alpi, forse vicina ad unire i puntini sulla vicenda.

Ai tempi dell’attento a Ilaria, su cui non si è mai avuta giustizia, la Somalia era nel pieno di una guerra civile scoppiata a seguito della caduta del regime di Siad Barre.

A distanza di ormai trent’anni, la Somalia continua ad essere in uno stato di frammentazione e guerriglia permanente, che ingaggia a rotazione movimenti separatisti, forze governative, guerriglieri jihadisti di Al-Shabaab e bande armate private.

La Somalia è diventata un centro nevralgico per la missione turca in Africa,  in cui oltre a fornire costanti aiuti umanitari, supporto medico e formazione universitaria, nel 2017 ha insediato la base militare di Camp Turksom, vero e proprio centro di addestramento per le milizie regolari somale. L’espansione dei fondamentalisti islamici ha riattivato l’impegno militare statunitense nel territorio, come già si era approfondito in un precedente articolo. Africa, terra di business – La Redazione

Le relazioni fra Taiwan e la Repubblica autoproclamata del Somaliland

Intorno alla Somalia si staglia inoltre un intrigo diplomatico che investe la Cina, sostenitrice dell’amministrazione federale di Mogadiscio, in quanto avverte come una minaccia ai suoi interessi nell’area, le solide relazioni fra Taiwan e la Repubblica autoproclamata del Somaliland, due entità governative di fatto non riconosciute.

L’Eritrea

L’Eritrea, prima colonia del Regno d’Italia, occupata alla fine dell’Ottocento, tanto da esser nota ai tempi con l’appellativo di Colonia Primogenita, oggi è un regime dispotico isolazionista, con lo stesso Capo di Stato in carica dal 1993, che ha bandito tutti i partiti politici ad eccezione del suo, ha imposto la leva obbligatoria a tempo indeterminato, ha sviluppato un sistema di sorveglianza e spionaggio pervasivo, che punisce i dissidenti deportandoli in celle sotterranee o container sigillati.

La capitale Asmara, nota anche come “piccola Roma” oggi è un patrimonio Unesco per la sua architettura modernista, ma rimane pur sempre la capitale di un Paese che, insieme a Corea del Nord e Turkmenistan, è ultimo al mondo per libertà di stampa.

Nonostante la sua interessante posizione geografica, l’Eritrea resta una delle nazioni più povere e sottosviluppate del pianeta. Se soltanto si pensa al fatto che l’unica tratta ferroviaria in funzione nel Paese è quella che collega la capitale alla città portuale di Massaua, costruita all’inizio del Novecento dal Governo italiano, si comprende meglio quanto affermato e quanto la dittatura di Isais Afwerki abbia compromesso la storia di questa terra. L’Eritrea è stato uno dei cinque Paesi che, in sede Onu, votò a favore della Russia, non condannando l’invasione dell’Ucraina e l’esclusione di Mosca dal Consiglio per i diritti umani. Per la cronaca, gli altri tre furono Bielorussia, Siria e Corea del Nord.

Afwerki e Putin hanno rinnovato il proprio sodalizio in un incontro tenutosi a Mosca, nella tarda primavera di quest’anno, in cui si è discusso di un progetto esplorativo per lo sfruttamento del porto di Massaua e di investimenti nei siti minerari di Bisha e Koka. Ma il vero debole, il dittatore eritreo ce l’ha per la Cina. È lì che in gioventù svolse il suo addestramento militare ed è a Pechino che ha spalancato le porte del suo Paese, con l’adesione alla Belt and Road, in barba alle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti per il coinvolgimento nel conflitto del Tigray, uno dei risvolti della guerra intrattenuta con l’Etiopia nel 1998 e mai veramente archiviata.

L’Etiopia

L’Etiopia, erede del più grande impero d’Africa e ai tempi del dominio italiano nota come Abissinia, oggi è nel pieno di una crisi interna dovuta all’avanzata militare dei ribelli di Tigray e che il Governo di Addis Abeba nel 2022 ha iniziato a respingere, con il supporto di droni forniti dalla Turchia. Tuttavia, il potenziale economico del Paese continua ad attrarre gli investimenti dei principali attori impegnati nella regione.

Gli Emirati Arabi, intermediari nelle trattative di pace con l’Eritrea, hanno finanziato un oleodotto e una ferrovia fra i due Paesi.

L’azienda automobilistica russa Lada farà dell’Etiopia il centro di produzione di veicoli più grande dell’intera Africa. Il Governo etiope, nel corso dell’estate, ha inoltre definito un accordo per lo sviluppo dell’energia nucleare con l’azienda statale russa Rosatum, a testimonianza di una partnership ben consolidata con Mosca, già sviluppata nei settori del tessile e della produzione agricola.

Risulta molto più raffinata l’influenza di Pechino, invece, che lo scorso mese ha deciso di farsi notare per aver condonato all’Etiopia 4,5 miliardi di dollari di debito, subito dopo la firma di un Partenariato di cooperazione strategica, mettendo così pressione ai creditori occidentali. Recentemente il Ministro degli Esteri cinese è stato l’ospite d’onore dell’inaugurazione ad Addis Abeba dell’Africa CdC, centro di sanità pubblica d’avanguardia interamente finanziato dal Governo di Xi Jinping.

Un dono cinese è il Palazzo, sede dell’Unione Africana che sorge proprio nella capitale etiope e portano la firma cinese le principali opere infrastrutturali del Paese, ovvero l’aeroporto, le stazioni ferroviarie e la Grande Diga della Rinascita, al centro di un scontro diplomatico con l’Egitto. 

Proprio come l’Egitto, l’Etiopia ha visto accogliere la propria richiesta di adesione al gruppo Brics e, dal primo gennaio 2024 ne diventerà membro effettivo. Il nostro giornale lo aveva anticipato nel corso dell’estate, Il blocco Anti-Occidente si incontra – La Redazione

Il protagonismo cinese in questo territorio si materializza anche nelle sovvenzioni per la realizzazione di un tracciato stradale transnazionale che unirà l’Etiopia a Gibuti, un piccolo fazzoletto di terra e deserto, incastrato fra Eritrea, Etiopia e Somalia, ma soprattutto affacciato sullo Stretto di Bab El Mandeb, che separa la penisola arabica dal Corno d’Africa e attraverso il quale transita un terzo del traffico marittimo mondiale.

Gibuti è un microcosmo popolato dagli eserciti di mezzo mondo e in cui la Cina ha piantato l’osso sacro della sua presenza in Africa, piazzandoci la sua unica base militare estera.

Il Kenya

Un po’ di Italia, in un certo senso, si respira anche in Kenya, per il centro spaziale di Malindi ideato nel 1966 dal professor Luigi Broglio, ancora oggi una eccellenza nel settore e base operativa in funzione dell’Agenzia Spaziale Italiana.

Il Kenya è sicuramente fra i Paesi africani più attivi nelle attività aerospaziali e lo scorso 17 Aprile ha completato con successo il lancio di un satellite, che fornirà dati per il supporto decisionale alla sicurezza alimentare e al monitoraggio ambientale.

Il Kenya è stato anche il primo Paese africano a ribellarsi contro la “trappola del debito” cinese, cogliendo come pretesto il mancato completamento di un progetto ferroviario avviato nel 2014 e mai concluso.

Non è noto sapere se a causa di questa levata di scudi o per altro, nel maggio di quest’anno, sono venuti a galla degli attacchi hacker provenienti da Pechino nei confronti proprio di istituzioni e ministeri kenioti, entrando in possesso di dati e documenti riservati.

Il “Sud Sudan”

Uscendo fuori dal perimetro del Corno d’Africa e delle influenze italiane, il Paese più settentrionale dell’Africa Orientale può essere considerato il Sud Sudan, che detiene anche il titolo di Stato più giovane al mondo, in quanto divenuto indipendente soltanto nel 2011.

La scissione dal Sudan ha ridisegnato la mappa dei giacimenti petroliferi, in quanto i tre quarti dei siti di estrazione una volta presenti nell’intero territorio, sono ora sotto la sovranità esclusiva del neonato Stato, con capitale a Juba. Un riassetto che ha portato a ripensare la politica cinese, primo importatore di oro-nero, subito intervenuta con 8 miliardi di investimenti per migliorare il tessuto sociale del Paese e nel completare, con ulteriori finanziamenti, la colossale rete di oleodotti di collegamento fra il Sud Sudan e l’Oceano Indiano, passando per l’Etiopia, conosciuta con l’acronimo Lapsset.

Un progetto che, quando ultimato, offrirà al Sud-Sudan uno sbocco sul mare indipendente, ridimensionando la centralità del molo di Port Sudan, nei confini dell’altro Sudan, nonché centro nevralgico delle forze navali russe. Forse, anche per questo, il Cremlino non sta restando alla finestra e, attraverso la holding Safinat, ha già aperto i cantieri per una raffineria di petrolio da erigere in Sud Sudan.  

Uno dei Paesi più attivi nell’espansione delle politiche energetiche è senza dubbio l’Uganda.

L’Uganada

Il Governo ha predisposto un piano per raggiungere nel 2025 un ritmo medio di 230 mila di barili di petrolio al giorno, da immettere nel commercio internazionale attraverso l’Oceano Indiano, grazie all’oleodotto Eacop, finanziato dai gruppi Total e China National Offshor Oli Corporation, in grado di collegare i giacimenti del Lago Albert al porto di Tanga, in Tanzania.

L’ambizione ugandese non si limita al petrolio, ma investe soprattutto il comparto del nucleare. A nord della capitale Kampala, infatti, nei prossimi anni sorgerà il secondo stabilimento più grande di tutto il continente dopo quello sudafricano di Koeberg.

Partner del progetto è la China National Nuclear Corporation.

Il braccio della Cina in Uganda si allunga anche nel settore minerario, in quanto sarà la pechinese Wagagai, ad occuparsi delle attività di estrazione e raffinazione dell’enorme deposito aurifero, la cui scoperta è stata annunciata soltanto nel 2022.

A fare le scarpe ai cinesi, ci sono riusciti i turchi, che hanno soffiato l’appalto per la costruzione di una strada ferrata di quasi trecento chilometri. Qualcosa di simile si era già verificata lo scorso anno per i tentennamenti cinesi nella costruzione di sette centrali idroelettriche, a dimostrazione che il Presidente ugandese non guarda in faccia nessuno quando si tratta di fare affari. Un po’ come il suo Ministro degli Esteri, che in visita a Bruxelles nell’Aprile 2021 fu protagonista di un episodio di imbarazzo, quando saltò la stretta di mano alla Presidente Ursula Von der Leyen, una sorta di dejavu del “sofagate” di Ankara. Non dovrebbe stupire tuttavia se collocato in una sottocultura sui diritti civili, che nel Maggio 2023 ha prodotto l’approvazione in Parlamento di un disegno di legge che prevede la pena di morte per gli atti omosessuali.

Chissà cosa ne penserà Putin di questo provvedimento che in quanto a leggi anti-gay se ne intende. Sicuramente sarà rimasto entusiasta per le dichiarazioni del figlio del Presidente ugandese, intenzionato a candidarsi alle presidenziali del 2026, il quale si è  detto disponibile ad inviare militari ugandesi in Ucraina, se soltanto Mosca lo chiedesse.

Come una propaggine della superficie meridionale dell’Uganda, si susseguono i territori del Ruanda e del Burundi.

Il Ruanda

Il Ruanda è ancora segnato dalle conseguenze di uno fra i più drammatici genocidi della storia dell’umanità, evento strumentalizzato spesso dal Presidente turco Erdogan per attaccare la Francia e respingere le accuse di violazione dei diritti umani.

Qui la Turchia è particolarmente attiva, soprattutto come erogatrice di servizi educativi e formativi, mettendo a disposizione borse di studio e somministrando corsi di lingua turca.

Nel 2018 il Governo ruandese aveva sottoscritto protocolli d’intesa anche con la Cina, culminati nello sviluppo del nuovo aeroporto di Burgesera e nella fornitura di strumentazioni militari fra cui missili e veicoli a propulsione atomica. Anche il Ruanda, ad inizio 2023 ha beneficiato di una riduzione del suo debito nei confronti di Pechino, come altri Paesi della regione.

Proficue sono le relazioni che la Cina intrattiene con il Burundi, al punto da riceverne in visita ufficiale il Presidente durante la cerimonia di apertura dei Giochi Universitari, nel cuore dell’estate. La Cina è «un amico di tutte le stagioni» aveva dichiarato nell’occasione il Presidente del Burundi.

La Tanzania

Ma, il Paese in cui la Cina ha stanziato più fondi è senza dubbio la Tanzania, con investimenti sull’aeroporto di Zanzibar e i porti di Bagayomo e Dar-es-salaam, affacciati sull’Oceano Indiano. Proprio quest’ultimo è stato oggetto di un accordo multimilionario con una società di Dubai, per la gestione in esclusiva dei due terzi dell’infrastruttura, provocando l’irritazione di gran parte dell’opinione pubblica, già indignata da una vicenda dello scorso anno, quando una famiglia reale emiratina aveva sfrattato dalle loro terre una comunità di settantamila Masai, per realizzarvi una riserva di caccia di lusso, naturalmente con l’assenso del Governo tanzaniano, motivato dall’incentivare i flussi turistici provenienti da Dubai. La fetta di turisti più massiccia del Paese, in realtà, proviene dalla Russia e, non a caso, nell’ultimo anno la Tanzania ha rafforzato gli Accordi bilaterali sui servizi aerei con Mosca. L’interesse russo nel territorio va, tuttavia, oltre il comparto turistico ed è concentrato nella costruzione di una serie di fabbriche di fertilizzanti, con l’ambizione di farne un polo d’avanguardia per l’intero continente.

La Tanzania ha un ruolo fondamentale nell’agenda africana di Erdogan, già dai tempi della visita ufficiale del 2017, quando vennero siglati dieci accordi di cooperazione fra i due Paesi, che hanno portato al risultato di un interscambio commerciale di almeno 250 milioni di dollari, nel solo 2020.

Ditte turche sono le aggiudicatrici degli appalti più onerosi, come la maxi-tratta ferroviaria da tre miliardi di dollari, mentre la Fondazione Maarif gestisce istituti scolastici per tutte le fasce d’età, dagli asili alle scuole superiori.