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25 Novembre 2021Donne in bilico tra costrizioni e tradizioni
in Etiopia, Myanmar, India e West Papua
di Maurizio Benedettini
Ad ogni latitudine ci possiamo imbattere in situazioni in cui le donne paiono sospese tra costrizioni e tradizioni. Occorre chiedersi se il salvaguardare le tradizioni, non rischi di trasformarle in costrizioni ed infine nell’ennesima forma di violenza contro le donne. Peraltro il mantenimento delle tradizioni non deve essere un motivo di immobilismo, di rifiuto del nuovo. Bisogna trovare un difficile equilibrio tra evoluzione e memoria.
Nel mio piacere di viaggiare ciò che mi emoziona di più sono soprattutto le donne, l’altra metà del cielo. Se vuoi sapere quello che succede, entra in una casa, bevi un tè caldo e parla con una donna. Nei Paesi a cui si riferiscono le immagini di questo articolo, il tempo è rallentato. Sono società fragili dove basta poco per cambiare tutto.
Anche a queste latitudini le donne sono la memoria di un popolo; sono soprattutto loro che tramandano tradizioni e costumi, cioè l’identità culturale a cui appartengono.
Nel sud dell’Etiopia le donne svolgono le mansioni più faticose, per esempio camminano anche per 20 Km a piedi sotto il sole per andare a prendere una tanica da 30 litri d’acqua. Nelle tribù Mursi e Surma portano il piattello labiale e grandi orecchini che ne deformano labbra e lobi.
Qualche studioso sostiene che questa pratica si sia sviluppata per rendere poco attraenti le donne, evitando che venissero violentate e vendute come schiave. Ipotesi credibile ma non suffragata da prove.
Esistono molte altre usanze che sono apparentemente inspiegabili, crudeli quanto inutili. Perlomeno ai nostri occhi “occidentali”.
In Myanmar le donne Kayan cominciano a mettere gli anelli al collo molto giovani, nel rispetto della tradizione e di un forte senso di appartenenza. Non si sentono birmane o thailandesi, sono Kayan.
La mia personale sensazione è che il lungo collo le faccia sentire più belle, più attraenti.
L’India è la democrazia più popolosa del pianeta.
La vita delle vedove indiane ha radici antiche. Secondo la tradizione indù, nel rito del “sati” la moglie doveva seguire il marito nell’altro mondo per ribadire l’eternità del vincolo matrimoniale immolandosi sulla pira funeraria del defunto consorte.
Anche se non subiscono questo destino, non si possono risposare e sono costrette a vivere di elemosine ai margini della Società, rifiutate persino dai figli. Se sono fortunate vengono accolte in una delle strutture adibite alla preghiera e alla meditazione (ashram) dove prestano servizio in cambio di poche rupie e un po’ di riso che garantisce loro la sopravvivenza.
Sono le donne che si occupano della raccolta del tè, un lavoro in cui sono richieste velocità, precisione e una forte resistenza alla fatica. Nel 2015 le piantagioni di tè del Kerala nel sud dell’India, sono state teatro di una grande mobilitazione.
Migliaia di raccoglitrici hanno bloccato strade, assediato gli uffici delle piantagioni, messo in atto una lotta per opporsi a condizioni di lavoro da schiave, dove una giornata di raccolta viene pagata 3 dollari e mezzo.
L’unica cosa che è cambiata rispetto all’epoca coloniale sono i proprietari delle piantagioni.
In West Papua (Indonesia) qualche anno fa notai che ad alcune donne mancavano delle falangi. Ho così saputo che un’antica usanza, oggi spero in disuso, prevedeva che quando muore uno stretto congiunto maschio, padre, marito o figlio, si amputino da sole una falange a simboleggiare il dolore della grave perdita.
Nelle tribù Korowai, famosi per vivere in capanne costruite sugli alberi a parecchi metri da terra, ogni uomo può avere più mogli. Sono soprattutto le donne del nucleo familiare che si procurano il cibo, come la farina di sago, un amido che si ottiene dal midollo di alcuni tipi di palma e alimento base della loro dieta, piccoli pesci di fiume o larve di coleotteri. Gli uomini si occupano della caccia e dell’abbattimento delle palme da cui si ricava il sago.
In ognuna di queste comunità i legami familiari sono fortissimi, farne parte è molto importante. La solidarietà all’interno della tribù è molto sentita. Ribellarsi è possibile, ma sei fuori dal clan con tutto ciò che comporta. Sei sola.
La condizione odierna delle donne ha radici profonde.
Foto di Maurizio Benedettini