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Nel lontano 2006 le ultime elezioni politiche a Gerusalemme est, Gaza ed in Cisgiordania
di Paolo Trapani
L’annuncio dell’ennesimo rinvio, laconico e stringato, è arrivato il 30 aprile scorso: con poche righe, il Presidente Abu Mazen ha annunciato lo slittamento delle elezioni. “Abbiamo deciso – ha detto il leader politico – di rinviare il voto fino a quando non sia assicurata la partecipazione dei residenti a Gerusalemme est“.
Secondo il calendario programmato, i palestinesi, nell’arco temporale dalla seconda metà di maggio fino ad agosto, avrebbero dovuto scegliere prima i rappresentanti del Parlamento palestinese e poi il presidente dell’Autorità nazionale palestinese. Ma adesso, per l’ennesima volta, le consultazioni non si svolgeranno, allungando ulteriormente il periodo di vuoto elettorale. Le ultime elezioni legislative svoltesi in Cisgiordania, a Gerusalemme est e nella striscia di Gaza risalgono al lontano gennaio del 2006.
Palestinesi spaccati tra loro
Al di là della motivazione ufficiale, legata alla oggettiva difficoltà di far votare i palestinesi residenti a Gerusalemme, dove vige l’autorità dello Stato di Israele, quella che emerge è la spaccatura interna alle forze politiche palestinesi. Da sempre, infatti, i due principali movimenti, Al Fatah ed Hamas, sono in aperta contrapposizione su tutto e l’ipotesi di rinvio, che già trapelava nelle scorse settimane, era stata aspramente criticata dai secondi, che avevano accusato apertamente Abu Mazen di non voler votare, non certo per il problema legato a Gerusalemme ma per “altri interessi”.
La spaccatura tra le forze forze politiche palestinesi, che va avanti da anni, vede i due movimenti apertamente distinti e distanti anche dal punto di vista territoriale: Hamas ha molti consensi nella striscia di Gaza, Al Fatah é più forte in Cisgiordania e a Ramallah, dove ha sede il movimento fondato nel lontano 1959.
Ovviamente, la cosa più facile e immediata è stata scaricare tutto sulla presunta e indiretta responsabilità degli israeliani. Così è arrivato l’annuncio dello slittamento che, però, da molti è stato letto come un voler prendere tempo.
Da parte loro, le autorità israeliane, non avevano mai detto o negato di voler consentire le votazioni a Gerusalemme, ma scegliendo di non scegliere non hanno di certo agevolato l’organizzazione delle consultazioni.
Al di là però del disinteresse israeliano, la sensazione è che Al Fatah ed il suo leader ormai 85enne non godano di un tale consenso da potersi contendere concretamente la partita con Hamas e gli altri avversari politici minori. Questo è probabilmente il motivo di fondo del rinvio.
Il voto dei residenti di Gerusalemme est non è numericamente cospicuo, ma politicamente è decisivo, visto che da sempre i palestinesi rivendicano Gerusalemme est come la propria capitale.
Stando ai sondaggi, se si votasse oggi per il Parlamento, Al Fatah arriverebbe con fatica al 40%, Hamas potrebbe conquistare un 30/35%. Dunque nessuno dei due principali contendenti avrebbe la maggioranza.
Se, invece, si andasse alle urne per scegliere il Presidente Palestinese, Abu Mazen non arriverebbe al 30% . Molto amato e seguito, tra i palestinesi, rimane Marwan Barghouti, ex leader di Fatah da anni agli arresti in Israele: sfiorerebbe il 50% dei consensi.
Più staccato, infine, risulterebbe il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, che arriverebbe ad ottenere il 19%.
Lo stallo politico ed elettorale si aggiunge all’attesa dei vaccini
Nei mesi scorsi Israele è divenuto un modello mondiale della campagna di vaccinazione, arrivando a vaccinare praticamente tutta la sua popolazione. I territori palestinesi invece sono fermi al palo. Oltre 5 milioni di persone che vivono tra la Cisgiordania e la striscia di Gaza sono in attesa della somministrazione del siero.
Israele da parte sua sostiene che, secondo gli accordi di Oslo del 1993, i palestinesi sono responsabili della fornitura dei vaccini alla propria popolazione. Le organizzazioni umanitarie, invece, considerano Israele, in quanto forza occupante, obbligata a fornire i vaccini in base alle Convenzioni di Ginevra.
A pagarne le conseguenze è la popolazione che subisce in questa fase lo stallo politico, il vuoto elettorale e la mancata attivazione di una massiccia campagna vaccinale. Tutto ciò si aggiunge alla strutturale criticità umanitaria che vige nei territori che da sempre i palestinesi considerano come propri.