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Firme digitali, bocciata la raccolta per le candidature politiche

La lista di Marco Cappato ha provato a candidarsi alle elezioni presentando la sola firma digitale, ma il 20 Settembre ha perso il ricorso

In un nostro precedente articolo, noi de Laredazione.net, avevamo analizzato la modalità della raccolta firme per accedere alle elezioni per i partiti politici non presenti in Parlamento; personalmente, avevo sottolineato quanto la sola raccolta delle firme nel formato cartaceo fosse alquanto anacronistica e non proprio in linea con il processo di transizione digitale che il nostro Paese intende fare.

La sfida delle firme digitali di Referendum e Democrazia

L’esito di questa raccolta firme si è conclusa, com’era immaginabile, con alcuni partiti che sono riusciti a essere ammessi alle elezioni, come ad esempio Italexit e Unione Popolare, ed altri che sono rimasti esclusi perché non hanno raccolto un numero sufficiente di firme.

C’è però chi ha tentato un’altra strada: ovvero raccogliere le firme esclusivamente nel formato elettronico, mi riferisco alla lista di Marco Cappato, Referendum e Democrazia. Avvalendosi del sistema di certificazione SPID e della disponibilità della società ItAgile che ha fornito la piattaforma al costo di 1.50 euro a firma per sostenere i servizi resi disponibili, non essendo stata preparata una piattaforma pubblica, la lista di Cappato è riuscita, comunque, a raccogliere circa 10mila firme per la Camera e circa 17.500 per il Senato.

Un fatto storico, questo, che nonostante tutto non ha ricevuto il riscontro mediatico che avrebbe meritato, anche semplicemente per il fatto di aver provato a seguire un metodo alternativo rispetto a quello tradizionale, e ripetiamolo, in antitesi con le prospettive di digitalizzazione a cui la pubblica amministrazioneauspica.

Una volta depositate le firme, com’era presumibile, a fine Agosto, le Corti d’Appello e la Cassazione non hanno ritenuto valide le firme digitali presentate dalla lista Referendum e Democrazia. Marco Cappato ha quindi fatto ricorso per la riammissione della sua lista, e alcuni giorni prima dell’udienza fissata per lunedì 19 Settembre presso il Tribunale Civile di Milano, il Governo (La Presidenza del Consiglio, il Ministero dell’Interno e della Giustizia) ha deciso di costituirsi in giudizio contro l’ammissione della lista di Cappato, sostenendo che un’eventuale ammissione avrebbe implicato uno slittamento delle elezioni. Rinvio mai chiesto da Referendum e Democrazia, che chiedeva semplicemente il riconoscimento e l’ammissione delle liste presentate nella circoscrizione della Lombardia per il Senato. 

L’esito del ricorso

L’attesa per conoscere l’esito dell’udienza tenutasi il 19 Settembre è durata all’incirca 24 ore, un periodo in cui si è rimasti nell’incertezza se si sarebbe andati al voto oppure no, ma nemmeno tale circostanza ha aiutato ad accendere i riflettori su questo caso. È verso le 13.00 del 20 Settembre quando Marco Cappato tramite il suo sito e i canali social comunica che il suo ricorso è stato rigettato e che la sua lista non è stata ammessa al voto perché il giudice non è stato posto in condizione di verificare la sussistenza delle firme, in quanto depositate e in possesso degli uffici elettorali e contenute in chiavette Usb.

Modalità digitale della raccolta firme e la legge dimenticata

A fronte di quanto esposto viene da chiedersi se si è fatto tutto il possibile per agevolare la candidatura, per queste elezioni, dei partiti non presenti in Parlamento. Nell’esempio di Referendum e Democrazia perlopiù le firme erano quasi 28.000, firme che rappresentano cittadini che hanno manifestato, esattamente come per i referendum dell’Eutanasia e della Cannabis (bocciati dalla Corte Costituzionale perché ritenuti inammissibili) un proprio diritto e una tra le massime espressioni di partecipazione alla vita pubblica.

Se si fa riferimento poi all’articolo 3 co. 7 della Legge del 2017 L. 3.11.2017, n. 165 che prevedeva che il Governo, entro sei mesi, definisse le modalità per consentire in via sperimentale la raccolta con modalità digitale delle sottoscrizioni necessarie per la presentazione delle liste, allora la vicenda assume tratti ancora più assurdi.

La domanda quindi che resta è: perché dal 2017 nessuno ha provato a sperimentare quanto previsto dall’art.3 comma 7?