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Georgofili, scampato alla strage per un toast

Aldo Cursano è uno dei sopravvissuti alla strage di via dei Georgofili a Firenze, nella notte tra il 26 e il 27 maggio del 1993 – poco dopo l’una. Abbiamo raccolto la sua testimonianza a distanza di trent’anni .

Un istante e tutto cambiò. All’improvviso, in maniera definitiva.  E a distanza di trent’anni rivivere quei momenti è doloroso e al contempo necessario per non scordarsi di ciò che accadde. Aldo Cursano è uno dei sopravvissuti alla strage di via dei Georgofili a Firenze che nella notte tra il 26 e il 27 maggio del 1993 – poco dopo l’una – fu coinvolta in una delle pagine più drammatiche della storia dell’Italia Repubblicana. Una pagina firmata da Cosa Nostra che fece deflagrare un Fiat Fiorino imbottito di 250 chilogrammi di una miscela contenente tritolo, T4, pentrite, nitroglicerina. Una combinazione letale che provocò il crollo della Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili, causando ingenti danni a ben 173 dipinti e 56 sculture ubicati nelle vicinanze, 48 feriti, e la morte di cinque persone: la famiglia di Fabrizio Nencioni, 39 anni, e della moglie Angela Fiume, 36 anni,  – quest’ultima  custode dell’Accademia – insieme alle loro bambine Nadia di 9 anni e Caterina di poco meno di due mesi, oltre che dello studente universitario Dario Capolicchio 22 anni che perì a causa del propagarsi dell’incendio nelle abitazioni circostanti.

In tanti persero le proprie case, i propri mezzi di trasporto, diventando loro malgrado protagonisti di quello che definire incubo sarebbe riduttivo. Un incubo tramutatosi in realtà per volontà di alcuni dei vertici di Cosa Nostra quali Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano, Francesco Tagliavia, Cosimo Lo Nigro, che parcheggiò il Fiorino in via dei Georgofili, Giuseppe Barranca e Gaspare Spatuzza. Aldo Cursano, 59 anni salentino da 40 a Firenze vicepresidente della Fipe Confcommercio, quei frangenti li ricorda dettagliatamente e nel farlo emerge la consapevolezza di quanto ricordare sia fondamentale per portare avanti, nonostante la sofferenza, un messaggio di speranza. «All’epoca ero molto giovane, avevo appena iniziato a gestire il ‘’Caffè Le Rose’’ e mi apprestavo a tornare a casa mia che distava poco meno di un chilometro dalla Torre dei Pulci. Decisi, però, di non tornare immediatamente e di mangiare un toast. Quella scelta mi ha salvato la vita». Cursano parla con pacatezza, mai con enfasi seppur le circostanze comportino emozioni notevoli. Lo fa con l’esperienza e la maturità di chi ha vissuto uno dei momenti più complessi dell’Italia Repubblicana, scossa un anno prima dalle stragi mafiose di Capaci e di via D’Amelio in cui persero la vita Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e i ragazzi delle rispettive scorte. Un’Italia che mai avrebbe immaginato una nuova azione di tale meschinità da parte mafiosa.

«Il periodo nel quale si verificarono i fatti era estremamente delicato», racconta. «Era chiaro a tutti che la mafia volesse piegare lo Stato e si percepiva che volesse colpire con qualsiasi mezzo chi cercava di combatterla. Mai e poi mai, però, ci saremmo immaginati che Firenze finisse al centro di una delle sue azioni, fu per tutti noi cittadini un fulmine a ciel sereno». Un accaduto stravolgente di cui ancora oggi chiedersi il perché porta con sé sgomento, incertezze e incredulità. «Nemmeno gli esperti di criminologia credo potessero immaginare qualcosa di simile: non eravamo pronti, ci colse completamente di sorpresa e nel trovarci catapultati in una situazione simile eravamo allibiti, testimoni di un qualcosa che andava oltre la nostra immaginazione», prosegue. «Ricordo ancora benissimo quello che mi si presentò davanti agli occhi: avevo appena chiuso il mio bar, passai da via Porta Santa Maria verso via Lambertesca, fu una frazione di secondo e uno scoppio improvviso ruppe l’aria: capì subito che qualcosa di terribile era successo». Parlare di fortuna sarebbe inappropriato, ma indubbiamente una serie di circostanze si sono rivelate fondamentali per Cursano e altri che proprio attorno al luogo dell’esplosione risiedevano. «Quello stesso giorno non trovai parcheggio proprio nel punto in cui si trovava il Fiorino contenente l’esplosivo. Decisi quindi di mettere la mia macchina sul Lungarno, presi anche una multa. Beh, a trent’anni di distanza quella scelta mi ha salvato la vita: ho perso la mia casa, ma fortunatamente posso essere qui a raccontare quei giorni. Mi sento la persona più miracolata del mondo, sono eventi che ti toccano da dentro in maniera indelebile. Ho avuto il privilegio di sposarmi con quella che all’epoca era la mia compagna e di costruirmi una famiglia: nulla di ciò è scontato e dopo quella strage ne ho la certezza ogni giorno che passa».

Le domande sono molteplici così come i dubbi sul perché la mafia decise di colpire proprio Firenze, quando sino ad allora era solita operare sul territorio siciliano. «Ancora oggi mi domando il perché di questa strage», sottolinea, «ma avere una risposta è pressoché impossibile. Di sicuro, Cosa Nostra voleva attaccare la città in quanto simbolo per eccellenza della cultura e sappiamo bene che la cultura spaventa i mafiosi. I mafiosi temono il libero pensiero, probabilmente volevano dimostrare di poter colpire ovunque e in qualsiasi momento. Ma nonostante ciò e nonostante l’efferatezza delle loro azioni, non sono riusciti a scalfire la tenacia del popolo fiorentino: la strage di via dei Georgofili è la dimostrazione che la barbarie non avrà mai la meglio e che il linguaggio della brutalità adoperato dai mafiosi non può sopraffare quello dell’amore». Il linguaggio dell’amore così come il linguaggio del coraggio e la forza del dialogo: tre capisaldi di chi ha fatto della lotta alla mafia fondamento della propria esistenza, tre linee guida da seguire per non dimenticarsi di tutti coloro che si sono sacrificati per una società libera dalla ferocia di un fenomeno che, seppur estremamente complesso, può e deve essere sconfitto. «Ogni occasione per parlare della strage di via dei Georgofili», conclude, «così come degli altri attentati mafiosi è fondamentale per tenere viva la memoria delle persone che sono state vittime della inumanità di Cosa Nostra. Fare ciò è doveroso, non solo durante le ricorrenze, affinché il loro ricordo non venga mai meno e affinché i più giovani conoscano ciò che è accaduto. Bisogna lavorare sulle coscienze, ora più che mai».

www.gergofili.it per le fotografie