Gli iraniani non sono la Repubblica islamica dell’Iran, e questa guerra non la vogliono

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Gli iraniani non sono la Repubblica islamica dell’Iran, e questa guerra non la vogliono

Abbiamo intervistato gli iraniani democratici, residenti all’estero e in Iran. Contrari ad un’eventuale guerra e a ulteriori attacchi verso Israele ci sono i filo monarchici, da sempre schierati con Israele, ma anche la classe lavoratrice e gli iraniani della diaspora.

Sono queste forse le ore e i giorni più difficili per gli iraniani della rivoluzione “Zan, Zendegi, Azadi” “Donna, Vita, Libertà”, per gli oppositori e i dissidenti del regime teocratico dell’Iran, i democratici e gli iraniani in esilio perché, ancora una volta, sono costretti a subire scelte e conseguenze che non hanno di certo voluto loro, ma quella dittatura (la dittatura degli ayatollah) che dal 1979 li opprime come cittadini, ma prima ancora come esseri umani.

Ed è proprio attraverso la strategia della tensione che il regime iraniano si alimenta, questo perché segue la semplice logica: “se hai paura di me non mi combatti” eppure, nonostante ciò, da settembre 2022, ovvero dall’uccisione di Jina Mahsa Amini, e ancor prima con le manifestazioni di “Girls of Enghelab Street” – campagna iniziata nel 2017 e durata fino al 2019, il popolo iraniano non è mai stato in silenzio e in modo pacifico ha cercato di far valere gli ideali di libertà e democrazia, nonché i propri diritti.

Questa narrazione però in queste ore può essere messa a repentaglio dalle immagini di cittadini iraniani riversi per le strade a festeggiare l’attacco, tra l’altro fallito, della Repubblica islamica contro Israele; un’immagine in cui gli iraniani democratici, in Iran e residenti all’estero, non si riconoscono.

«Chi ha partecipato a quei festeggiamenti» afferma Dareh (nome di fantasia) «può essere stato finanziato dal regime islamico, oppure può avere qualche interesse a far vedere che partecipa a quelle manifestazioni di giubilo, in pratica potrebbe avere qualche tornaconto dalle autorità», d’altro canto, aggiunge sempre Dareh «molti iraniani non vogliono questa guerra inoltre in moltissimi pensano che non sia affatto necessaria». A fare da eco al pensiero di Dareh è anche Parvaneh che dichiara: «Chi festeggiava per le strade è solo una piccola parte del popolo iraniano, quelli sono sostenitori del governo perché dal regime ricevono lavoro, soldi, casa, protezione, e quindi in qualche modo devono, e gli conviene, far vedere che sostengono le autorità».

Gli iraniani non vogliono questa guerra

Contrariamente, dunque, alla narrazione che vuole fare Teheran (di un popolo allineato al regime): se ci fosse un’immagine che descrivesse lo stato d’animo degli iraniani in questo momento non sarebbe certo quella di persone intente a festeggiare, ma di un popolo preoccupato e stanco che teme le terribili conseguenze della guerra. Chi ha vissuto e ricorda la guerra tra Iran e Iraq degli anni ‘80 ha paura, paura delle ripercussioni che le scelte azzardate e vendicatrici della Repubblica islamica possano ricadere su di loro.

«Quando è finita la guerra in Iraq ero una bambina di appena 10 anni» spiega Parvaneh «abitavo nel Nord e la mia città era abbastanza sicura, ricordo però che tantissimi ragazzi e uomini che sono andati a combattere non sono mai più tornati, a ritornare erano invece i loro corpi senza vita. Ricordo anche che ogni giorno c’erano dei funerali, era tristissimo. Ma, rispetto ad adesso, la differenza è che quando era in corso la guerra tra Iran e Iraq la maggior parte dei cittadini sosteneva il regime islamico, adesso, al contrario, il popolo non sostiene più il regime e se deciderà di fare la guerra sarà senza l’aiuto e il consenso degli iraniani».

In effetti stando a quanto riportato da Iran International pare che la voce dei sostenitori al regime sia la minoranza o comunque non generalizzabile all’intera popolazione. Contrari ad un’eventuale guerra e a ulteriori attacchi verso Israele non ci sono esclusivamente i filo monarchici, da sempre schierati con Israele, ma anche la classe lavoratrice e ovviamente gli iraniani della diaspora. Per quanto riguarda i lavoratori, ad esempio, riporta IranIntl: «il Consiglio di coordinamento delle associazioni degli insegnanti, che è molto critico nei confronti delle politiche del governo e spesso organizza manifestazioni di protesta, ha affermato in una breve dichiarazione sul suo canale Telegram che considera le vere vittime dell’attacco di sabato contro Israele i comuni cittadini. Iraniani i cui mezzi di sussistenza sono stati colpiti dai costi di costruzione dell’arsenale missilistico e di droni utilizzati nell’attacco e dalle sue conseguenze».

A proposito va ricordato che i lavoratori, ma anche la classe dei pensionati, in questi mesi non hanno mai smesso di scioperare e protestare contro un governo che ha portato l’Iran ad avere un’inflazione altissima e un tasso del rial instabile tant’è che molti degli iraniani all’estero sono costretti a scambiare denaro al mercato nero.

Non a caso sabato, oltre a chi festeggiava, c’era anche chi faceva lunghe file alle stazioni di servizio per comperare benzina, timorosi che si potesse ripetere lo scenario del 15 Novembre 2019 quando il governo decise di triplicare il prezzo della benzina senza dare alcun preavviso; una decisione che ha avuto un forte impatto sulla vita delle persone e che ha portato alle rivolte contro il regime.

Secondo Iran International e Bbc Persian le autorità hanno dato inoltre un’ulteriore stretta ai giornalisti (già sotto duro controllo del regime), processando almeno due giornalisti e due giornali, tra cui Jahan-e Sanat, un quotidiano economico, per aver espresso preoccupazione per le conseguenze politiche ed economiche di un’eventuale escalation, le autorità hanno poi anche esortato le persone a denunciare chiunque sui social media si schieri con Israele.

Appare chiaro, quasi scontato, che l’ unica via di speranza per un Iran libero dalla teocrazia degli ayatollah sia quella di continuare la rivoluzione “Donna, Vita, Libertà” come si è fatto ieri, come si fa oggi e come si farà domani.