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14 Gennaio 2023Gli uomini che maltrattano le donne, ecco a chi si rivolgono
Chi si rivolge al Centro e cosa accade. Abbiamo intervistato Alessandra Pauncz, Presidente Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti CAM di Firenze. L’assistenza del centro è gratuita, la copre la Asl.
Che cos’è il Centro
“Il CAM di Firenze nasce nel 2009 come progetto sperimentale promosso all’interno del centro antiviolenza Artemisia e nello stesso anno si costituisce come associazione indipendente. È un centro che si rivolge a uomini che hanno agito violenza contro le compagne e che a noi si affacciano spontaneamente. L’assistenza è gratuita, viene coperta attraverso una convezione con l’azienda sanitaria che fornisce tutti i servizi di base, supportata da alcune onlus e progetti europei. Ancora in definizione l’eventuale introduzione di un documento che preveda la richiesta di un contributo per chi arrivi attraverso il Codice Rosso”.
Chi si rivolge a voi
“Gli uomini che si rivolgono a noi sentono di aver bisogno di aiuto, ma nella maggior parte dei casi hanno già commesso violenza o quantomeno un maltrattamento psicologico. Non in tutti i casi si parla di una violenza fisica, ma di situazioni che hanno causato una crisi. Questa è di base l’utenza che abbiamo, oltre a quella inviataci dall’Autorità giudiziaria. Nei primi tempi di attività non avevamo molte richieste, fino a quando non è stata stipulata la convenzione di Istanbul nel 2013 questi programmi non erano molto conosciuti. Dal 2009 al 2015 l’utenza con cui abbiamo lavorato è stata quindi su base volontaria, tranne alcune eccezioni, uomini che avevano ricevuto delle condanne. Tutto ciò è completamente cambiato negli ultimi anni come conseguenza dell’entrata in vigore del Codice Rosso, prevedendo che tutti coloro che abbiano patteggiato per una condanna inferiore ai due anni, con la sospensione della pena, debbano frequentare specifici programmi. Nel tempo, gli uomini che si sono rivolti spontaneamente a noi sono stati integrati da quelli obbligati”.
Il percorso nel Centro
“Quello che intraprenderanno dopo una prima richiesta di accesso, proseguirà attraverso alcuni colloqui individuali, per l’esattezza cinque. Se vi saranno tutte le condizioni previste, potranno essere inseriti in uno specifico gruppo, solitamente la durata di questo percorso è di circa nove mesi. I gruppi hanno cadenza settimanale sono co-condotti da un uomo e da una donna e hanno dei temi che contengono elementi utili all’interruzione dei maltrattamenti, alcuni aspetti legati ai comportamenti, altri riconducibili al riconoscimento delle emozioni, al pensiero, al ragionamento, alla propria capacità empatica. Esiste una parte specifica sulla definizione della violenza e diverse sezioni. Incontri sono dedicati anche a modelli femminili, stereotipi di genere, mascolinità, percezione e controllo”.
Il lavoro nei gruppi
“Hanno una parte strutturata, spesso da sviluppare attraverso un tema che può partire da una storia, una vignetta che evidenzia e mira a riconoscere i segnali di un disagio. Nel lavoro che viene fatto con il gruppo si esplora, si cerca di capire quali siano i segnali fisici, emotivi oltre a visualizzare e capire il problema. Vengono fatti esercizi che servono a evitare comportamenti di violenza sulle donne e al loro riconoscimento. Nel gruppo ci sono varie tipologie di esercizi, si cerca di costruire alternative, il tipo di lavoro è esperienziale e molto concreto, basato su vari passaggi che servono a consolidare tutta una serie di elementi, quali negazione e attribuzione della violenza”.
I numeri
“Oltre alla sede di Firenze abbiamo sportelli su Pistoia, Montecatini, Prato, Empoli e diversi gruppi e attività che avvengono in carcere. Se consideriamo tutte le sedi, tranne il penitenziario, fino al 2020 avevamo in carico circa 50 uomini all’anno, poi nel 2021 sono saliti a 103 e nel 2022 sono arrivati fino a 106. Con l’avvento del Codice Rosso sono praticamente raddoppiati, abbiamo lavorato con 76 uomini nel 2020, 156 nel 2021, nel 2022 dati aggiornati a ottobre ne stiamo seguendo 169, fra tutti gli sportelli e le attività carcerarie. La maggior parte di quelli in carico ha commesso violenza fisica e la metà di questi ha un obbligo, ha una condanna o ha patteggiato una pena. Sono al 70% italiani con un’età media di 45 anni. Il 50% è regolarmente occupato, poco meno della metà sono ancora in relazione con la compagna, il 60% ha figli. Appartengono a tutti gli strati della popolazione, il fenomeno è trasversale”.
La matrice comune
“È sicuramente culturale, sociale, l’8% delle donne ha subito violenza da un uomo e dall’altra parte esiste lo stesso numero che l’ha agita, la disuguaglianza di genere crea questi squilibri e questa forma di discriminazione estrema”.
Le compagne
“Quando l’uomo accede al centro chiediamo di poter contattare eventuali compagne, un modello di intervento questo non previsto da tutti i centri. Solitamente se c’è il loro consenso saranno contattate tre volte, all’inizio, a metà e a fine percorso. Potremo metterci in contatto anche proattivamente nel caso percepissimo nei loro confronti una reale situazione di pericolo, o se l’autore di violenza intenda interrompe il percorso. La maggior parte delle partner collabora con noi. Questo ci fornisce informazioni da dentro sulla situazione, consentendoci una valutazione del rischio e conseguentemente anche un miglior supporto alle vittime. Attraverso il protocollo di valutazione del trattamento raccogliamo dati che vengono poi analizzati da una ricercatrice esterna permettendoci di capire se il trattamento sta funzionando e se la violenza si interrompe”.
Le operatrici
“Crea indubbiamente qualche problema avere a che fare con operatrici donne, ma questo non è casuale, ci sono aspetti che devono essere continuamente stimolati e, lavorare con donne, aiuta più facilmente ad attivare certe dinamiche”.
Il recupero
“I nostri dati sulla valutazione indicano che la violenza si azzera e può diminuire nel giro di tre mesi”.
Progetti
“Abbiamo progetti innovativi che vanno a interessare anche i papà nella fascia che attraversa l’età dei figli 0-3 anni, che li va a raggiugnere nei corsi di preparazione al parto. La nascita del primo figlio è statisticamente considerata uno dei periodi in cui inizia o aumenta la violenza. La nostra formazione è continua, i nostri operatori sono fra i più preparati, frequentano master che durano un anno ed esportiamo la nostra conoscenza anche presso altri centri in attivazione”.
Casi specifici.
“Un autore di violenza che faceva parte di un gruppo, nel corso del suo svolgimento, sapendo di essere stato denunciato, ha scelto di attendere le Forze dell’ordine che stavano venendo a arrestarlo, all’interno della struttura, assieme a tutti noi. Un’altra storia ci riconduce a un ragazzo con alle spalle un episodio molto grave di violenza che, dopo un passaggio in carcere, ha confessato di aver trovato pace solo in quella notte e di essere finalmente riuscito a dormire. Il contenimento spesso è difficile, senza aiuti non si ha la capacità di riuscire a respingere l’aggressività”. I
In evidenza
“Importante è guardare alla violenza dal punto di vista della funzione di responsabilità e della sua neutralizzazione. Non possiamo guardare soltanto agli autori pensando di avere risolto in quanto inseriti in un contesto di supporto, dobbiamo pensare anche alla sicurezza delle vittime e quindi necessariamente incastrare tutte quelle azioni che potranno contribuire a fermarla, che vanno dal distanziamento, agli ordini di protezione, alle misure tutelari in carcere”.
Strumenti ancora da mettere in campo
“Allontanamento, braccialetto elettronico, carcere. Gli interventi dovrebbero essere a più livelli e soprattutto preventivi. Gli uomini che frequentano i corsi spesso ci dicono che tutto ciò che stanno imparando avrebbero voluto conoscerlo prima e che sarebbe stato utile a prescindere dalla violenza. Per quanto riguarda i femminicidi, in questi 10-15 anni i numeri sono rimasti più o meno invariati, mentre per quanto riguarda le denunce c’è stata una leggera flessione, solo il 13% ha avuto la forza di dire basta. Circa l’88% delle donne, da rilevazione dati Istat aggiornati, ancora non denuncia. Le risorse che si spendono sono poche, le attività di contrasto sono sempre le stesse e andrebbero cambiate, ci vuole coraggio e volontà per mettere in atto grandi cambiamenti sociali. Fortunatamente adesso conosciamo meglio il fenomeno e abbiamo più strumenti legislativi, ma se le donne ancora non agiscono è perché non si sentono sufficientemente tutelate”.