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Tra volatilità dei prezzi e l’importanza dello stoccaggio
L’accordo di Istanbul, firmato lo scorso 22 Luglio ha portato ad uno sblocco dei porti ucraini per far ripartire le esportazioni di grano verso i Paesi che iniziavano a soffrirne la carenza. L’occasione può rivelarsi utile per avventurarsi in una riflessione sul mercato del grano e dei prodotti agricoli in genere, un fenomeno molto più complesso di quanto possa sembrare. Questi asset sono costantemente soggetti a forti variazioni e l’invasione delle truppe di Putin in territorio ucraino ha contribuito ad aumentarle ulteriormente.
I prezzi instabili del prodotto agricolo
Le instabilità stagionali dell’offerta, provocate da fattori non prevedibili e non controllabili (vedi esempio quelli climatici) rendono i prodotti agricoli più volatili nei prezzi rispetto ad altre materie prime. Oltre questo, va considerato che la sostenibilità economica della filiera produttiva di determinati prodotti può ottenersi soltanto in aree geografiche specifiche e circoscritte, con l’effetto tuttavia di non potere beneficiare di modifiche quantitative da immettere sui mercati globali. E dai dati dell’Ifpri (Istituto Internazionale di ricerca sulle politiche alimentari) proprio quello del grano è uno dei prezzi più volatili in assoluto. Un ulteriore elemento che alimenta l’instabilità dei prezzi delle materie prime alimentari è la loro relazione con i quantitativi di stock.
Il problema dello stoccaggio delle scorte
Nell’anno appena trascorso sono stati 44 Paesi su 125 a presentare un rapporto stock/utilizzo al di sotto del 10%. Per farci un’idea, l’Unione Europea si è attestata poco sopra questa soglia, mentre la Cina aveva messo da parte scorte superiori al 40% dei consumi annuali. Lo stoccaggio può avere un effetto stabilizzante nei momenti di carenza di offerta ed essere uno strumento utile per gestire il calo dei prezzi nelle annate abbondanti. Pare banale affermarlo, ma gli effetti della volatilità dei prezzi si ripercuotono tanto sui consumatori quanto sui produttori.
La variazione dei prezzi impatta molto sulle popolazioni più povere
La World Bank ha diffuso un monitoraggio da cui emerge che il 27% della popolazione mondiale risulta impiegato in agricoltura. Parliamo di oltre un quarto dell’intera umanità che, in alcuni Paesi, può essere anche superiore. Siamo di fronte a numeri inequivocabili: in alcune aree del mondo la variazione dei prezzi dei prodotti agricoli e dunque dei redditi può generare tensioni sociali e povertà. Se torniamo indietro al 2011, il fenomeno delle Primavere arabe che portò a svariate sommosse popolari nei territori nordafricani venne scatenato proprio da un aumento dei prezzi dei prodotti agricoli.
Basti ricordare l’immagine della baguette sventolata come simbolo della protesta tunisina che in poche ore fece il giro del mondo.
In un’analisi macroeconomica questo aspetto fa dedurre l’impatto elevato che le materie prime alimentari hanno sul potere d’acquisto della popolazione, vulnerabile ad ogni fluttuazione. Tutte queste premesse sono sufficienti a comprendere perché la “variabile” Ucraina, uno dei principali produttori ed esportatori mondiali di grano, abbia innescato un effetto domino dirompente sui prezzi dell’intera filiera alimentare.
Ecco cosa prevede l’accordo del grano
Torniamo così all’accordo siglato il 22 Luglio, con la benedizione di Ankara, per lo sblocco dei porti. Verranno movimentati almeno venti milioni di tonnellate di grano accumulate dal 24 Febbraio, giorno di inizio della barbara invasione da parte del Cremlino. Questo permetterà anche di liberare spazio per gli stoccaggi in vista del prossimo raccolto. Il bombardamento russo contro il porto di Odessa nelle ore successive alla firma ha, però, fatto accendere l’allarme, mettendo in fibrillazione i mercati che hanno manifestato poca fiducia. Avevamo già parlato in un altro articolo della sfera d’influenza russa in Africa e, sicuramente, Putin coglierà l’occasione per trasformare questi accordi sul grano in un ulteriore arma a suo favore per consolidare ulteriormente la propria reputazione in quei territori, passando ai loro occhi come il benefattore che li ha salvati dalla crisi alimentare.